Racconti
In questa sezione pubblichiamo racconti, storie ed aneddoti di chi ha volato sullo Spillone o ha avuto esperienze dirette, in volo o a terra, collegate al nostro amato Centroquattro.
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Ringraziamo gli amici del sito web F-104 Starfighter Italian Site per aver condiviso con noi l’archivio storico dei racconti.
Starfighter, amore mio, addio
di Osvaldo Ciurleo
Contributo originale pubblicato su:
https://osvaldociurleo.altervista.org/starfighter-amore-mio-addio/
Il 30 Maggio 2004 è la data che resterà impressa nella memoria di tutti, a ricordare la fine di un aeroplano che ha fatto parlare di sé più di ogni altro, che ha fatto soffrire e gioire generazioni di piloti e di appassionati e che ha rappresentato, per la nostra Aeronautica, la spina dorsale della difesa aerea per ben 41 anni.
Il Lockheed F104 Starfighter passerà alla storia per la sua controversa e affascinante nascita, per la sua tecnologia assolutamente innovativa per gli anni in cui venne progettato, per i punti di forza e per le tante debolezze che hanno prodotto di volta in volta definizioni quali “la bara volante”, “il missile pilotato da un uomo”, “il fabbricante di vedove”.
Per noi rimane semplicemente “lo spillone”, con la sua caratteristica forma slanciata che sfreccia nei cieli portando con sé utta la nostra passione per il volo e la voglia di lasciarsi andare nel cielo più blu, a velocità supersonica.
La storia dello Starfighter
Il progetto dell’F104 trae origini da un requisito per un velivolo da superiorità aerea, formulato nel 1952 dall’USAF.
La responsabilità di sviluppare tale requisito fu affidata alla Lockheed, nei laboratori che Clarence (Kelly) Johnson, acuto ingegnere aeronautico e presto responsabile del programma, amava chiamare “Skunk Works” per la natura riservata e segreta dei lavori e delle ricerche.
Le linee progettuali dell’aeroplano si distinguevano decisamente dai velivoli del suo tempo, per le avanzate innovazioni aerodinamiche, la tecnologia e il design.
L’F104 nasce rispettando lo stile e la tradizione della Lockeheed, ovvero, massima segretezza e tempi molto veloci. Già! Dopo soli 355 giorni, nel 1954, il collaudatore della Lockheed Tony Le Vier potè decollare da Palmade e portare in volo il prototipo. Il volo fu effettuato con un motore Curtiss Wright J65 da 4760 kg di spinta con postbruciatore. Il motore era incapace di esprimere al meglio le caratteristiche del velivolo, progettato e sviluppato sulla base di una specifica per un motore più potente. In seguito la General Elettric produsse quello che sarebbe stato uno dei motori jet più affidabili della storia (problemi iniziali a parte), il J79 che equipaggiò il 104 nelle versioni successive e capace di produrre una spinta di circa 4500 kg, incrementabili ad oltre 7000 kg con l’ausilio della post-combustione.
L’F104A aveva un’ala di 6,687 m, una lunghezza di 16,694 m, una altezza di 4,111 m ed un peso a vuoto di 5.698 kg. L’ala caratterizzata da ampie superfici di controllo e vistosi flap per sfruttare la massima portanza che un’ala così piccola può fornire, aveva un profilo spesso pochi centimetri, al punto che le leggende volevano che l’ala fosse stata ottenuta da un unico pezzo di metallo fresato.
Essa rappresentò uno dei principali problemi di sviluppo, essendo al limite delle possibilità per consentire all’aeroplano di spiccare il volo. Ma se decollare era relativamente possibile, era molto meno e addirittura critico il suo atterraggio. La necessità di piste molto lunghe fece sì che i test di collaudo della macchina fossero fatti nel deserto.
Le piste lunghe, in seguito, furono una caratteristica importante di tutte le basi NATO che avevano adottato l’aeroplano o che, semplicemente, avrebbero potuto ospitarlo. Per aumentare la portanza dell’ala, Johnson ebbe un’intuizione geniale, inventando un sistema assolutamente innovativo, se si pensa al periodo tecnologico in cui si lavorava intorno all’F104. Da uno degli stadi del motore, veniva spillata aria compressa e portata sino al bordo di uscita della piccola ala in seno alle cerniere degli enormi flap. Qui, una sequenza di fori sparava aria ad alta velocità sulla superficie dei flap, rallentando il distacco dello strato limite, aumentando, quindi, la portanza e diminuendo la velocità di atterraggio.
La fusoliera era molto lunga e sfilata con un timone di profondità a “T”, anche questo assolutamente insolito, interamente mobile. Al posto di pilotaggio fu applicato un seggiolino eiettabile verso il basso, che nel corso degli anni, visto l’alto pericolo cui erano sottoposti i piloti alle basse quote, fu sostituito con i più sicuri, eiettabili verso l’alto.
Capace di volare a due volte la velocità del suono, per brevi periodi e con una elevata accelerazione, era un velivolo le cui caratteristiche sono ancor oggi molto vicine ai velivoli più avanzati dei nostri tempi. Nonostante i numerosi problemi del motore, dal super stallo alla difficoltà di accensione e all’accoppiamento inerziale insito nella formula costruttiva del caccia, l’F104 mantenne alto il suo prestigio grazie ai record raggiunti:
- di salita a 27.812m il 7 maggio del 1958
- di velocità a 2.259,82 km/h il 16 maggio 1954
- ancora di salita a 25.000 m in 4 min e 26 sec
l futuro dell’F104 fu particolarmente complesso e difficile quando fu impiegato dall’USAF prima e durante la guerra del Viet-Nam del Sud. Così, delle 722 macchine pianificate per l’USAF, soltanto 296 ne vennero acquistati. Forse, averlo costretto ad un ruolo di bombardiere tattico e di appoggio al suolo, ne hanno fatto segnare rapidamente la sua fine, una fine dalle cui ceneri la Lockheed avrebbe permesso di far vivere il suo aeroplano per oltre 50 anni ancora, nelle forze aeree di Germania, Italia, Canada, Belgio, Taiwan, Grecia, Giappone, Olanda, Danimarca, Giordania, Pakistan, Norvegia, Turchia, Spagna, con oltre 2700 aeroplani impiegati.
Le versioni dell’F104
Dal primo volo ai nostri giorni si sono succedute numerose versioni del velivolo:
- XF104 il primo prototipo
- YF104 modello preserie
- F104A, velivolo monoposto di serie, entrato in servizio presso l’USAF nel gennaio del 1958, nel ruolo di velivolo da superiorità aerea diurno con l’Air Defence Command. Ne furono costruiti 153 esemplari, propulsi con il J79-GE-3B, da 4354 Kg di spinta a secco e 6700 Kg con postbruciatore. Disponeva di ipersostentatori soffiati e seggiolino eiettabile verso il basso
- XF104 il primo prototipo
- YF104 modello preserie
- F104A, velivolo monoposto di serie, entrato in servizio presso l’USAF nel gennaio del 1958, nel ruolo di velivolo da superiorità aerea diurno con l’Air Defence Command. Ne furono costruiti 153 esemplari, propulsi con il J79-GE-3B, da 4354 Kg di spinta a secco e 6700 Kg con postbruciatore. Disponeva di ipersostentatori soffiati e seggiolino eiettabile verso il basso
- F104B versione biposto del precedente F104A
- F104C, sviluppo della versione A che, nel ruolo di intercettore, incorporava qualche capacità “caccia bombardiere” e “strike” per il Tattical Air Command grazie ad una cellula rinforzata ed una sonda per il rifornimento in volo
- F104D versione biposto del precedente F104C
- F104DJ ed F104F, rispettivamente versione Giapponese e Tedesca dell’F104D
- F104G, la versione più nota e fortunata del velivolo. Sviluppata per soddisfare il requisito della Luftwaffe (attacco nucleare tattico e ricognizione), questa versione, riprogettata e strutturalmente diversa dalle precedenti, evolve le capacità dell’F104 in velivolo caccia monoposto multiruolo e J79-GE-11 da 4536 Kg di spinta a secco e 7167 con postbruciatore. In versione Bivalente, (per l’intercettazione e l’attacco) l’F104G montava il radar NASAAR, la piattaforma inerziale, ipersostentatori da manovra ed altri dispositivi, rappresentando uno dei primi velivoli caccia “hi-tech” della sua era. Dotato di un cannoncino M.61 Vulcan da 20 mm a 6 canne rotanti alloggiato nella fusoliera per il combattimento aereo, era armato, in funzione del ruolo, di missili Aria-Aria Sidewinder, bombe convenzionali e “speciali” (nel ruolo strike). L’adozione del missile Aria-Aria AIM-7 “Sparrow” a guida semiattiva impose la rimozione del cannoncino per alloggiare i sistemi di guida del missile stesso. Questa versione offriva 5 punti di attacco per carichi esterni: un pilone ventrale da 907 Kg, due sub-alari da 454 Kg e due rotaie alle estremità alari per missili Aria-Aria, sostituibili con serbatoi ausiliari. L’F104G equipaggiò negli anni ’60 le Aeronautiche di molti paesi NATO dell’Europa ed altri paesi e furono prodotte circa 1200 unità.
In merito alle prestazioni fornite da questa versione, i valori raggiunti sono stati:- Velocità max: 2494 Km/h a 12000 m di quota (senzacarichi esterni e per breve periodi);
- velocità max: 1474 Km/h a livello del mare;
- velocità di salita iniziale: 254 m/sec;
- tangenza pratica: 16500 m di quota;
- autonomia di trasferimento: 3200 Km.
- TF104G, versione biposto della versione F104G
- RF104G, versione da ricognizione dell’F104G. Privato di cannoncino per alloggiarvi, nel vano recuperato, un serbatoio ausiliare di carburante. Dotato di 3 fotocamere
- CF104, versione dell’F104G monoposto costruita in Canada in 200 esemplari destinata a svolgere il ruolo “caccia-bombardiere”
- CF104D, versione biposto del CF104
- F104J, versione monoposto ottimizzata per il combattimento aereo, fu costruita in 210 esemplari su richiesta del Giappone
- F104S, versione migliorata dell’F104G europeo, sviluppato dalla Lockeheed e FIAT e costruito esclusivamente in Italia dall’Aeritalia (Leonardo). E’ stato adottato dalla Turchia (40 esemplari) 2 dall’AMI che ne ha acquistato 205 unità. Entrato in servizio nel giugno del 1969 quale velivolo multiruolo di elevate prestazioni in termini di velocità ed accelerazione grazie alla versione potenziata del motore J79GE-19 da 5029 Kg di spinta a secco e 8120 Kg con postbruciatore. Dotato di un’avionica più avanzata ed una maggiore capacità di carico, ha gradualmente perso l’impiego nel ruolo di cacciabombardiere per la successiva adozione di velivo li più moderni dedicati al ruolo (Tornado IDS). La versione “S” offre ben 9 punti di attacco per un totale massimo di 3402 Kg di carico. La configurazione di intercettazione è normalmente composta da due missili Aria-Aria Sparrow, due Sidewinder in piloni sub-alari ed altri due Sidewinder o due serbatoi da 645 l alle estremità alari. La versione “S” ha subito nel corso degli anni due importanti aggiornamenti per consentirgli di avere una vita operativa sino ad i nostri giorni. Il primo forte aggiornamento ASA (Aggiornamento Sistema Arma) risale all’anno 1984 ed ha visto un forte up-grade dell’avionica per supportare i più moderni sistemi di arma. L’ultimo aggiornamento porta L’F104S alla versione ASA-M che conferisce al dedizione al ruolo di intercettore puro, requisito indispensabile per il servizio di allarme. Il velivolo infatti è vicino al target in meno di 10 minuti dal segnale di allarme (Scramble).
- QF104, deriva dall’F104A, ed è la versione Radio-pilotata destinata a costi, tuire il radio-bersaglio per la verifica dei sistemi d’arma
- NF104, versione aerospaziale derivato da una dei primi esemplari costruiti. Propulso da un motore ausiliario a razzo per i test ad alta quota e velocità. Utilizzato dalla NASA nei programmi di ricerca dell’alta velocità e tangenza.velivolo una particolare.
F104 in Italia
In Italia, lo Starfighter ha vissuto la storia più intensa, effettuando attività operativa per oltre 40 anni.
L’allora colonnello Giorgio Bertolaso, comandante della 4a Aerobrigata, condusse da Torino Caselle sulla base di Grosseto il primo Starfighter, di costruzione americana ed assemblato in Italia presso gli stabilimenti della Fiat. Il 15 febbraio del 1965, a Grosseto veniva costituito, sul modello delle “Operational Conversion Units” della Royal Air Force, il 20° Gruppo Autonomo Addestramento Operativo con il biposto TF104G e più tardi anche con gli F104G. Il gruppo aveva in dotazione 24 TF104 ai quali, più recentemente, si aggiunsero 6 TF104G acquistati dalla Luftwaffe.
Il primo pilota abilitato fu il capitano Zanin nel 1965. Da allora con 136 corsi, l’ultimo dei quali a fine 2003, sono stati abilitati 1241 piloti, di cui 841 nella specialità Caccia Intercettori, 400 Caccia Bombardieri e 23 Navigatori. Ad oggi stanno completando il ciclo istruzionale per conseguire la “Combat Readiness”, gli ultimi 4 piloti: tenente Fabio De Luca, tenente Alessandro D’Andria, tenenete Giacomo Iannelli ed il tenente Francesco Miranda.
Dal 1963 ad oggi, 10 Stormi e 15 Gruppi di Volo hanno impiegato il velivolo nelle sue diverse versioni, nelle specialità intercettore, attacco, strike e ricognizione.
Nel periodo di massimo impegno (1977-78), ha volato per 15.000 ore all’anno.
In 42 Anni, sono state svolte un milione di ore di volo.
Al X Gruppo Caccia Intercettori del 9° Stormo di Grazzanise, che opera attualmente con gli ultimi F104ASA-M in dotazione all’Aeronautica Militare, spetterà il compito di garantire il servizio di allarme fino al completo ritiro del velivolo dalla linea operativa della Forza Armata, previsto per il 31 Ottobre 2004.
Il primo volo di un italiano sull’F104 fu effettuato dall’allora tenente Franco Bonazzi nel marzo del 1962 a Palmade negli USA. Da allora, tre generazioni di piloti si sono succedute ai comandi del prestigioso velivolo. I primi piloti italiani incominciarono a volare sull’F104 in Germania, presso la Waffenschule10 di Norvenich, poi trasferitasi a Jever. Presso tale scuola con istruttori belgi, italiani, olandesi e tedeschi venivano effettuati voli di familiarizzazzione a doppio comando. Il decollo da solista avveniva di solito sull’F104G, al rientro in Italia. Nel marzo del 1962, il IX Gruppo Caccia Intercettori della 4a Aerobrigata fu il primo reparto dell’Aeronautica militare ad essere equipaggiato con lo Starfighetr nella versione F104G. L’anno successivo, il velivolo veniva consegnato al IX Gruppo.
L’F104 e l’Open Day 2004
La giornata azzurra dell’anno 2004 non poteva essere dedicata ad altro se non al Cacciatore di Stelle, con una festa splendidamente organizzata dall’Aeronautica Militare Italiana, sull’Aeroporto Mario de Bernardi, a Pratica di Mare, alle porte di Roma.
La grande macchina organizzativa dell’AMI è riuscita a radunare qualcosa come circa 3000 piloti di F104 provenienti da tutto il mondo, per rivivere e risaltare i lunghi anni di lavoro del velivolo. Domenica 30 Maggio, si stima abbiano calpestato il suolo di Pratica di Mare circa 500.000 persone.
Già il venerdì, sono stati visti numerosi appassionati nelle campagne, vicino alla testata pista, ad ammirare i tanti aeroplani che, in mostra statica ed in volo, hanno poi animato la manifestazione.
Il Sabato è stato il momento delle prove a cui, nonostante la base non fosse aperta ufficialmente al pubblico, ha assistito un grandissimo numero di appassionati.
La giornata Azzurra ha visto sfrecciare molti aerei F104S-ASA-M e TF104G-M provenienti dal IX° e XX° Gruppo del 4^ Stormo e dal X Gruppo del 9^ Stormo, oltre alle virtuose evoluzioni dell’F104 del Reparto Sperimentale di Pratica di Mare. Un apposito spazio è stato dedicato all’aereo, con una mostra fotografica e diversi componenti del velivolo, che hanno ripercorso la lunga vita dello “Spillone”. Proprio di fronte all’hangar, si potevano ammirare sin dalle prime ore della mattina, un F104G del 3° Stormo con la colorazione mimetica a 3 colori, adottata durante il periodo della guerra fredda.
Uno con la colorazione monogrigio, recentemente adottata e tre Special Color.
Il rosso lucido “999” del X° Gruppo di Grazzanise, il “Leone” giallo/nero su sfondo celestedel XX° Gruppo ed il “Nero” del IX°, Gruppo entrambi di Grosseto.
Alle 9.30 circa, è iniziata la cerimonia Commemorativa.
Sul palco si sono avvicendati gli alti vertici dell’AMI oltre alle rappresentanze della Lockheed. Particolarmente rilevante la presenza del primo pilota dell’F104 ed ex comandante del 4° Stormo, generale Giorgio Bertolaso. La partecipazione dei velivoli dell’AMI è stata molto alta.
Il Typhoon o EFA2000 ha sicuramente meritato il primo premio per aver dimostrato un altissimo livello di manovrabilità dell’aereo. Bellissime le evoluzioni dell’F16, del Mirage francese e dell’F18 svizzero, capace quest’ultimo di effettuare un looping “quadrato” per dimostrare la capacità di strettissimo angolo di manovra. Si è notata una grossa presenza di Elicotteri, tutti italiani, segno dell’avanguardia tecnologica della nostra industria in tale campo.
Ma ciò che ha segnato di più la giornata sono stati i 4 momenti dell’F104:
- un passaggio in formazione di 4 velivoli, che hanno rappresentato l’attuale forza aerea per ciò che riguarda la difesa dello spazio aereo: un Tornado ADV (il cui periodo dileasing è terminato), un F16 che rappresenta il passaggio dall’F104 all’EFA, L’Euro Fighter ed il festeggiato Cacciatore di Stelle.
- Le evoluzioni con le bellissime arrampicate dell’F104 del Reparto Sperimentale di Volo abilmente pilotato dal Maggiore Alessandro De Lorenzo.
- Una formazione a diamante di 9 F104 ha salutato il numeroso pubblico, caratterizzata dagli special color, il “999” del X° Gruppo in testa, pilotato dal comandante Bruno Strozza, seguito in fila dal biposto del XX° Gruppo ed in coda dal monoposto del IX.
L’addio dell’F104 capo formazione della PAN
Quest’ultimo momento è stato particolarmente toccante. Infatti, mentre lo speaker emozionato raccontava il passaggio della formazione capeggiata dal 104 “999”, si scopriva che ai comandi dell’F104 c’era il comandante del 9° Stormo Caccia Intercettori di Grazzanise, Gianpaolo Miniscalco, il quale simbolicamente ha salutato l’F104 tornando per un attimo al passato, quando era comandante delle Frecce
Tricolori.E per pochi minuti è stato il leader della sua pattuglia, pilotando l’aereo che stava portando alla pensione.
Il resto della giornata è stata cronaca di una manifestazione aerea, dove le evoluzioni dei velivoli ed il sole cocente creano l’atmosfera tipica delle grandi giornate aeree.
L’ultimo saluto
Con un nodo alla gola, mi accingo a terminare questo articolo, rimasto aperto a lungo, perché la sua conclusione equivale alla fine dell’aeroplano che ho amato più di ogni altro, un aeroplano che mi ha
fatto sognare il volo, che mi ha affascinato e meravigliato allo stesso tempo, per l’enorme salto tecnologico
di cui è stato protagonista negli anni 50. La perspicacia poi di “Kelly” Johnson ha sempre alimentato in me una profonda ammirazione per quell’ingegnere aeronautico che ha siglato i più avanzati aeroplani degli ultimi 50 anni. Tolgo quindi i panni del freddo e distaccato narratore di un evento, per cedere per un momento il posto a ciò che questo aeroplano ha rappresentato per me e per tutti coloro che lo hanno amato. L’F104 giunse in Italia lo stesso anno in cui ho messo piede su questa terra e simbolicamente ha rappresentato per me il personaggio eroico e sempre presente che altri hanno trovato nelle pagine dei fumetti.
Negli anni trascorsi, il suo nome ed i suoi voli sono stati una costante, quasi come se la sua fine non dovesse giungere mai. Ho cominciato a vederlo sin da quando indossava l’abito mimetico, lasciando nel cielo la caratteristica scia nera dello J79. Indimenticabile ed inconfondibile il suono che è rimasto caratteristico sino ad oggi del TF104G che adotta un motore diverso da quello dell’F104S. La sua forma allungata e la sua ala discreta e quasi invisibile hanno sostentato per 50 anni un purosangue dell’Aeronautica di tutti i tempi.
Ma, come tutte le cose, anche per “lui” è giunto il momento dei saluti e la festa che gli è stata organizzata sembra già molto lontana, come se il milione di ore di volo fatte in 40 anni siano state cancellate con un semplice colpo di spugna. Adesso, è giunto veramente il momento di accompagnarlo all’ultimo
volo che si terrà il 31 Ottobre 2004. Poi andremo a vederlo presso i musei, o nei posti dove la sua posa statica simbolicamente ferma il tempo in cui sfrecciava nei cieli di tutto il mondo e faceva sognare gli amanti del volo.
Speriamo che la sua fine non sia quella delle tante carcasse che popolano gli aeroporti militari di tutta Italia, ma che gli venga riservato un futuro che riesca a renderlo ancora più immortale, un futuro degno della sua fama di “Starfighter”.
Il mito F104 sta per nascere proprio con la sua fine…
Osvaldo Ciurleo 18-06-2004
A Love Affair With The Starfighter
di Roger Seroo
CLICCARE PER VISUALIZZARE IL CONTRIBUTO IN PDF
Contributo tratto da:
Lo Spillone di Amos
di Amos Ghisoni
Nella mia vita professionale ho volato più di 30 aerei diversi, ma il vero e unico al quale devo grande passione e nostalgia è lui: lo ‘SPILLONE’. Il primo volo fu nel 1963 a Norwenich (Germania). Il primo impatto fu traumatico ed entusiasmante insieme, poi l’amicizia divenne solida e la fiducia illimitata.
La macchina era me stesso, volare era la gioia completa, la liberta totale. Pochi i casi di difficoltà e per la gran parte se lui non mi capiva era perché il non mi ero tenuto a quella prudenza che il suo ’carattere’ imponeva.
Due episodi interessanti: un trasferimento da Grosseto a Bodo (Norvegia) durante il quale mi sono trovato in totale avaria della piattaforma LN£ (tutto bloccato senza bandierine). Avaria subdola e senza soluzione, avrei potuto atterrare in un alternato con bel tempo e tutto sarebbe finito senza traumi. lo invece sono arrivato a destinazione (pioggia e nubi bassissime) con procedura VDF (QDM-QDR), bussola magnetica e orologio (roba da T-6 a cruscotto ridotto).
L’altro episodio è stato durante un’esibizione: qui la macchina non aveva colpe, qualche nodo in meno e ‘zac’ si tocca la coda sulla pista. Tutto bene grazie alla prontezza ed alla estrema manovrabilità del ‘Grande F-104’. L’esibizione di cui ero stato incaricato voleva evidenziare le caratteristiche di un aereo
assolutamente particolare per i tempi (anno 1965) e io avevo studiato un programma di 8 minuti che comprendeva: passaggio lento a 140 nodi a 500 piedi, passaggio veloce a Mach 0.98 a 200 piedi, una virata “John Derry” e un ‘TOUCH and ROLL’ che concludeva lo spettacolo.
Quest’ultimo consisteva in un atterraggio con T/O flaps a 195 nedi sull’inizio pista, full A/B e distacco immediato con angolo di 20° e contemporanea rotazione (tonneau) avendo appena raggiunto i 220 nodi. La manovra era molto spettacolare, ma assolutamente sicura anche se avveniva a pochi metri dalla pista. Durante la rotazione la velocita aumentava a 260 nodi. Se veniva fatta bene c’era lo spazio per un’altra toccata in pista (questo perd era rischioso).
Da ultimo, voglio confessare di aver trovato grande difficolta nel fare il leader di formazione acrobatica di quattro: gli amici che hanno volato con me erano piloti eccezionali, ma solo per loro merito siamo riusciti a cavarcela senza brutte figure. Ma, come conclusione, mi sento di dire che I’F-104 volava molto meglio da solo.
Amos Ghisoni, pilota del 4° Stormo e istruttore al 20° gruppo.
Indimenticabile e superbo F-104
di Eligio Rous
E basta parlar male dell’F-104 da parte di chi non ci ha volato. Ma quale “bara volante”? I morti, certo, ci sono stati, ma ci sono stati anche su tutti gli altri velivoli militari.
L’F-104 per i tempi in cui è nato, è stato un aereo eccezionale. Le sue prestazioni? Superbe. Con l’aereo pulito, dal rilascio freni in pista, si arrivava a trentaseimila piedi (circa dodicimila metri), in un minuto e mezzo. Con tip e pylon da Istrana si andava sulle Madonie, in Sicilia, per esercitazioni e si ritornava ad Istrana in poco meno di due ore. La velocità? Superba. Mach 2,2 con l’S, per limiti dovuti all’alta temperatura, 153 gradi, all’ingresso del compressore. L’accelerazione? Da paura. Con il muso giù ed il motore dentro, in un attimo si superava la velocità del suono. In volo livellato, l’F-104 a trentaseimila piedi, per accelerare, arrancava un po’ nel regime transonico, ma, poi, superato 1,2 di Mach, lo Spillone accelerava come un purosangue. Nella decelerazione da Mach 2,2 si arrivava, in un attimo a cinquantamila piedi, limite massimo per chi, come noi, volava, senza tuta pressurizzata . Un giorno, per curiosità, superai quel limite e azzardai a salire a settantamila piedi. A quella quota, in pieno giorno, il cielo inizia a farsi scuro ed è una sensazione che non tranquillizza.
L’F-104 non era adatto a fare il cacciabombardiere? Forse sì, non era il suo ruolo, ma al poligono si comportava a dovere. Certo all’inizio della bassa quota con tip e pylon pieni, a 450 nodi, in virata stretta, si arrivava, facilmente, allo shaker, ma bastava farci l’abitudine. Al poligono spesso si beccava lo shaker ed anche il kicker, ma non era un intervento, che non si poteva contrastare.
Come intercettore l’F-104 non era dotato di cannoncini? È vero. Fu una scelta non felice, ma, probabilmente, si pensava, e non a torto, che l’F-104 non dovesse ingaggiare combattimenti aerei. Dopo aver individuato l’obiettivo, l’F-104 doveva lanciare i missili e sparire a velocità elevata.
Anche nei combattimenti aerei, comunque, l’F-104 si comportava egregiamente, sfruttando la sua grande capacità di salire in quota e sfruttare l’energia che si accumula, salendo. Si poteva finire anche a velocità zero con l’aereo che cadeva di coda e, poi, buttava giù, improvvisamente, il muso, acquistando subito grande velocità, con grande puzzo di kerosene bruciato, in cockpit. Anche da cavallo imbizzarrito, l’F-104 si comportava da gran signore.
Acrobazia? Si poteva fare di tutto. Looping con o senza l’uso dei flaps su T/O, con o senza motore. Bastava partire veloci ed avere una mano dolce nel chiudere il looping. Tonneau? C’era l’avvertenza di non dare “g” negativi da rovesci e di non ruotare troppo velocemente, per evitare che l’aereo, a causa di effetti derivanti da accelerazioni, dovute al giroscopio, si mettesse di traverso, ma era un’avvertenza che lasciava un po’ il tempo che trova, come quando si leggono le controindicazioni nell’assumere un farmaco.
Volarci da giovane pilota è stato un gran onore, per me, ed è nato, in me, un grande amore verso questo eccezionale aereo.
Guai allora a chi ne parla ancora male. Non si possono sopportare critiche cattive verso chi si ama.
Prosit.
F104 – Lettera di addio di un “Cacciatore di Stelle”
Testo tratto dal blog di Aldo Rossi, disponibile in originale al link: https://www.rossialdo.com/f104-il-cacciatore-di-stelle-2/
Non conosco l’Autore della sottostante lettera di addio ma certamente si tratta di una persona dall’anima delicata e sensibile.
“Permettetemi di presentarmi: sono un F104 Starfighter ma gli amici mi chiamano, semplicemente, “Spillone”. Avendo meno di 50 anni mi sento ancora giovane ma qualcuno ha deciso che sono comunque troppo vecchio per volare. E io, purtroppo, mi sono fatto da parte, mio malgrado. Sono nato nel 1956 negli Stati Uniti e si dice che il mio Papà, che si chiamava Clarence (Kelly) Johnson, sia stato uno dei più grandi progettisti di aeroplani della Storia. Non so…! Per me è stato sempre e solo il mio Papà. Per qualche anno ho vissuto in America dove, alcuni miei fratelli più sfortunati, furono fatti partire per il Sud Est Asiatico da dove non tornarono più. Molti altri, qualche anno dopo, partirono alla scoperta del mondo e arrivarono fino in Giappone. Fu però in Europa che trovarono, infine, una bella casa e tantissimi amici che gli hanno voluto bene. Io sono arrivato in Italia, in un posto vicino al mare nella bella Toscana, dove il tempo è bello e si mangia bene. I miei specialisti mi hanno sempre dato dell’ottimo JP4*, un’infinità di amorevoli attenzioni e ho sempre vissuto un’esistenza tranquilla. Certo, decollare in meno di 5 minuto è un po’ stressante, ma non mi posso lamentare: è stata comunque una bella vita. Vero è che in famiglia abbiamo un caratteraccio. I nostri piloti ci trattano con i guanti soprattutto adesso che l’età è avanzata, però siamo ancora capaci di correre veloci e salire in alto come pochi altri al mondo. I giovani come ad esempio il nostro cuginetto EF 2000 Typhoon, sono agili e nervosi, precisi ma lenti. Soprattutto sono anonimi e, in definitiva, anche un po’ antipatici.
Dovete sapere cari amici che, nella nostra famiglia siamo tutti bellissimi: alti, snelli e slanciati. Alcuni si vestono in modo stravagante (come ad esempio un mio fratello che anni fa indossò uno sgargiante vestito tutto rosso e che adesso si gode la meritata pensione a Maranello) ma di solito siamo ragazzi a modo. In Italia vestiamo sempre con un impeccabile completo grigio molto più discreto dell’abbinamento col verde che abbiamo indossato per anni. Dopotutto siamo militari anche noi e l’etichetta va rispettata! Oggi però sono un po’ triste; tra poco non voleremo più e ci metteranno tutti a riposo. E’ la vita: dobbiamo fare largo alle nuove leve. Qualcuno dice che siamo rumorosi, che quando passiamo lasciamo dietro di noi una brutta fumata nera e che la nostra mira non è più quella di una volta. Ma altri, chi ci conosce bene sul serio, ovvero i nostri piloti e i nostri meccanici dicono che gli aerei più giovani non hanno neanche un briciolo della nostra personalità, del nostro carattere e che l’emozione che provano quando stanno con noi, non gliela regalerà mai nessun altro. Le poche volte che ci lasciano uscire e che ci portano a prendere una boccata d’aria, magari in qualche “airshow”, siamo sempre circondati da una folla di persone. E noi che siamo dei sentimentali, sappiamo che ci vogliono bene e che quando non potranno più vederci volare gli dispiacerà moltissimo. E’ il nostro destino: in quel momento potremo finalmente tornare a cacciare le stelle senza pensieri e senza la paura che qualcuno dei nostri piloti si faccia male per colpa nostra.
Adesso vi saluto. Se vi capiterà di incontrare uno di noi, fermatevi a salutarlo. Lui sarà contento e vi regalerà un’emozione. Quella che sa dare solo l’ultimo, vero…”Cacciatore di Stelle”.
(Dal Web)
Da un articolo pubblicato sul mensile “Aeronautica&Difesa”, n. 19, del maggio 1988
Contributo segnalato da Maurizio Romani
Il fatto che raccontiamo ha visto un F-104S del 51° Stormo “Ferruccio Serafini” affrontare con successo un più giovane ed agile F-14 “Tomcat” dell’US Navy.
Durante un’esercitazione congiunta, qualche tempo fa, una coppia di “104” del 51° Stormo, nella quale il protagonista di quest’episodio svolgeva il ruolo di gregario con un giovane tenente ai comandi, decollò su “scramble”, insieme con una coppia di caccia dei 4° Stormo “Amedeo d’Aosta”, per intercettare dei “Tomcat” della Nimitz in veste di aggressori.
L’intercettazione avvenne ed i piloti americani non simularono l’utilizzo dei sistemi d’arma che avrebbero consentito loro di individuare, riconoscere ed abbattere gli “Starfighter” prima ancora che essi entrassero in contatto visivo, dando così inizio ad un divertentissimo “dogfight” (caccia manovrata). La differenza di maneggevolezza tra i due tipi di intercettori fu determinante nel creare un senso di frustrazione al tenente “leader” della sezione. Infatti, prima ancora che questi potesse azionare la cinemitragliatrice, il “gatto” (appunto l’F-14 preso a bersaglio), in rapida successione ridusse la freccia alare, virò stretto e vide in pochi secondi il ruolo cambiare da quello di inseguito a quello di inseguitore. Si pensi che l’F-104S per compiere una virata di 180° impiega circa 14 secondi, mentre l’F-14A ne richiede soltanto 11 per effettuare la stessa manovra. La differenza sembra poca ma a Mach 0.9, valore al quale sono misurati questi dati, in un secondo si percorrono 322 m!
La situazione divenne ben presto statica, in quanto, inesorabilmente, il “Tomcat” manovrava più stretto dello “Starfighter”. Il pilota italiano decise, quindi, di adottare la tattica dello “yo- yo” ad alta velocità , manovra che prendo il nome dal gioco omonimo e che fu adottata per la prima volta in combattimento dai piloti di MiG-15 in Corea. Si effettua per ritrovarsi in coda ad un avversario molto manovrabile ed avviene in questo modo: una veloce cabrata, agendo sugli alettoni in modo da ruotare l’aereo su se stesso. Al vertice della cabrata si butta giù il muso anticipando la direzione nella quale si presume che si troverà il bersaglio e quindi, si piomba su di esso dall’alto sfruttando la maggiore velocità . Così fece il tenente del “51°”: massima spinta a secco ed un deciso strappo alla “cloche” per portare il “104” in verticale, quindi muso verso il basso in direzione dell’avversario.
Praticamente, la virata dello “Starfighter” si svolse sul piano verticale, riducendo notevolmente la distanza orizzontale percorsa e compensandola con la maggior velocità della picchiata. L’equipaggio americano ebbe un momento di perplessità perché non riuscì più a vedere lo “Starfighter”, chiedendosi dove poteva essere finito. Fu ricondotto alla realtà da un rombo di tuono che fece vibrare il “Cat”. L’F- 104S aveva richiamato dalla picchiata passando esattamente sopra il dorso dell’F-14, dopo averlo “fotomitragliato”.
In un combattimento reale effettuato con il solo fuoco dei cannoni l’intercettore americano sarebbe stato colpito e probabilmente abbattuto. Lasciando il pilota ed il WSO “yankee” comprensibilmente stupiti, il caccia italiano si allontanò allegramente, coprendo per un attimo il rombo sordo dei due TF30 con il caratteristico gemito del J79.
F-104 contro MIG-29: il mio duello con lo Spillone e vi dico chi ha vinto
di Luca Anedda
24/10/2022 in DIFESA
Qualche giorno fa l’Aeronautica Militare ha rilasciato un bellissimo cortometraggio sull’F-104 intitolato: “F-104 Starfighter. Il missile con un uomo dentro”. Fatto molto bene, è ricco di immagini e filmati alcuni inediti, e fa parte della collana:” A spasso nel Tempo”.
https://www.youtube.com/watch?v=KtVH-Nx8AL4
Rivedendolo non ho potuto trattenere un moto di forte emozione. Penso, senza tema di essere smentito, che chi ha pilotato l’F-104 sa che questo è un velivolo “speciale” che ti entra nella pelle, e non ti abbandona più. Si possono pilotare altri velivoli, anche ben più moderni, si può passare all’aviazione commerciale ed apprezzare la bellezza del volo con “macchine” stupende come l’MD80 o il B767. Ma nulla, proprio nulla si avvicina al volo del “missile con un uomo dentro”. Dunque, vedendo il filmato tanti ricordi sono tornati a galla, e tra questi vi è anche quello relativo al combattimento aereo con il Mig-29. Se avete un attimo di pazienza vi racconto come è andata.
Ho svolto la mia attività di volo sul 104, a Rimini presso il 23mo Gruppo Caccia intercettori ognitempo del Quinto Stormo, dal 1983 fino al 1994/95, anni questi ultimi in cui ricoprivo l’incarico di Comandante di Gruppo.
Stormo straordinario e prestigioso che dividevamo con il 102mo Gruppo caccia Bombardieri, composto anch’esso da persone davvero speciali anche per il delicato ruolo che ricoprivano. Tanta esperienza e operatività concentrata in una cornice, la Romagna, che con la sua gente laboriosa ma di gran cuore e di una non comune capacità imprenditoriale, ci accoglieva benevolmente. Per i giovani piloti dello Stormo l’estate riminese aveva un sapore particolare: erano gli anni del primo Top Gun ed il mestiere del pilota da caccia era moto apprezzato da un vasto pubblico femminile, non solo locale, ma anche quello che proveniva, per vacanza, dalle lontane regioni scandinave. Erano i tempi delle discoteche e Rimini era la capitale indiscussa della vita notturna.
Ma le distrazioni esterne dovevano essere oculatamente bilanciate. Il 104 non consentiva errori. Potrebbe sembrare una frase fatta, ma riferita allo “spillone”, non lo è affatto. Effettuare una salita “gate” come la si chiamava in gergo, cioè con il postbruciatore inserito, e dunque alla massima potenza, comportava un’ascesa quasi verticale fino a raggiungere e superare i 10.000 metri in un paio di minuti. Non era infrequente per il pilota andare in “vertigine” cioè avere una sensazione fisica non corrispondente al reale assetto del velivolo; nel caso di questo tipo di salita, specie se effettuata senza riferimenti esterni come, ad esempio, di notte e magari dentro le nubi, bisognava concentrarsi sugli strumenti di volo e non affidarsi alle proprie sensazioni che altrimenti avrebbero potuto portare il velivolo in assetti non controllati e con possibili risultati fatali.
Fondamentale, dunque, il travaso di esperienza tra i piloti più anziani e quelli più giovani; devo dire che il sistema di addestramento, dal volo basico per i piloti appena arrivati al Gruppo, a quello più avanzato, come quello al combattimento con velivoli dissimili, funzionava molto bene e si cercava in ogni modo di trarre dalle diverse esperienze il massimo del ritorno operativo ed addestrativo. Ricordo che nel mio ultimo anno di attività al 23mo Gruppo riuscimmo a svolgere tutta una serie di attività addestrative “avanzate” davvero straordinarie; ospitammo il Gruppo di volo della Marina che da poco volava con l’Harrier e con il quale facemmo interessanti missioni congiunte contro i Mirage francesi, rischierati anch’essi presso di noi. Svolgemmo anche attività aria suolo, presso il poligono di Capo Frasca in Sardegna potendo contare sulla straordinaria esperienza dei nostri armieri. In questo contesto di continua ricerca di occasioni che potessero accrescere il nostro bagaglio operativo e addestrativo, si inserisce “il duello aereo con i Mig 29”.
Il Mig 29 è un velivolo di fabbricazione Sovietica e poi Russa più recente dell’F-104: è molto manovrabile, di quarta generazione e ancora oggi è in dotazione alle forze aere di molti Paesi, tra cui Russia e Ucraina.
Dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica nel 1991 ed a seguito della riunificazione delle due Germanie, un Gruppo di volo di Mig 29 della Germania dell’est entrò a far parte della Nato ed i suoi piloti erano corteggiatissimi da tutti gli altri Gruppi di volo che cercavano finalmente di misurarsi sul serio con quello che fino a poco prima era l’aereo di punta del patto di Varsavia.
È molto probabile che noi del 23mo fossimo stati gli unici e dunque ultimi F-104 Italiani a misurarci con i Mig 29 Tedeschi, che furono tenuti in vita dalla Luftwaffe fino ai primi anni del 2000, proprio per studiarne le caratteristiche di impiego.
Eravamo rischierati a Decimomannu per un periodo di addestramento al combattimento avanzato e nello stesso periodo sulla stessa base si trovavano i Mig 29 del Gruppo tedesco. Il loro ruolino di marcia li vedeva impegnati ogni giorno con diversi Gruppi: Americani e Tedeschi avevano saturato gli slot disponibili. La fortuna però ci venne incontro e venimmo a sapere che il giorno dopo si era aperta una possibilità a causa di un problema tecnico ad alcuni velivoli che avrebbero dovuto “combattere” nel pomeriggio con i Mig. Devo dire che il 23mo Gruppo ha sempre avuto tra le sue fila piloti in gamba, ma quell’anno in particolare avevo a disposizione ragazzi straordinari non solo come bravura tecnica, ma anche come intraprendenza e completa dedizione alla causa della costante ricerca del miglioramento operativo. In men che non si dica riuscimmo ad inserirci per il giorno dopo al posto degli americani.
Ottimo. Ma ora bisognava elaborare una strategia per il nostro primo incontro ravvicinato con il nemico. E la cosa non si presentava affatto facile. Del velivolo sapevamo molte cose; certamente che era molto più manovriero di noi e quindi cominciammo ad escludere di finire in un combattimento manovrato perché avremmo sicuramente avuto la peggio. Sapevamo che disponevano di un buon armamento aria-aria, oltre che ad un buon cannone. Sapevamo anche che il loro Radar aveva un raggio di acquisizione simile al nostro. Ma certo ci avrebbe potuto far comodo avere altri dettagli.
Il Circolo è sempre stato un punto di incontro fondamentale per i piloti; non solo per la socializzazione ma anche per la sua indispensabile funzione di scambio di preziose informazioni: se volete una sorta di prosecuzione della funzione di “Sicurezza Volo” che normalmente si svolgeva al Gruppo. Con un boccale di birra in mano è molto più semplice parlare delle esperienze vissute e travasarle ai più giovani. Oppure il contrario. L’arricchimento è sempre in tutte e due le direzioni, inclusa quella orizzontale.
Dunque, non restava che socializzare con i nostri amici della ex Germania dell’est e cercare di farci raccontare qualche dettaglio in più sul loro radar di bordo. E fu così che tra una birra sarda ed una tedesca riuscimmo a capire che il loro radar aveva un limite, che il giorno dopo avremmo potuto sfruttare: la traccia del velivolo avversario appariva sul loro radar come una serie di puntini. Più grande era il velivolo più puntini aveva la traccia sintetica che compariva sui loro schermi. In sostanza se avessimo mantenuto una formazione molto stretta, sul loro radar sarebbe comparsa una traccia composta da un numero di puntini come se si fosse trattato di un velivolo di grosse dimensioni. Ma non sarebbero stati in grado di determinare di quanti velivoli si componeva quella traccia. L’altra informazione importante che riuscimmo ad avere fu che una volta designato il target o come si dice in gergo, avessero fatto il lock-on sul bersaglio, per poter lanciare il missile, il radar cessava di fornire informazioni sugli altri bersagli circostanti, rendendolo in sostanza cieco. Era tutto quello che ci serviva sapere.
La mattina dopo elaborammo la nostra tattica che sfruttava anche la nostra conoscenza del poligono di Decimomannu: avevamo un vantaggio, giocavamo in casa.
Il poligono consentiva davvero di simulare un combattimento reale: appositi sensori registravano i dati di volo di ciascun velivolo e in caso di lancio di un missile, avendo il computer di terra in memoria tutti i dati relativi all’armamento impiegato, poteva stabilire se il lancio aveva avuto successo, causando l’abbattimento del velivolo, oppure no. Nel caso affermativo il malcapitato veniva invitato ad abbandonare il poligono perché appunto, colpito. Insomma, tutto molto realistico.
Quindi cosa elaborammo per affrontare i nostri amici tedeschi?
Primo: rimanere in campo supersonico. Quello era il terreno favorevole all’F-104
Secondo: manovrare il meno possibile: far manovrare il nostro AIM9L, superbo missile infrarosso che una volta agganciata la fonte di calore del nostro “nemico” non l’avrebbe mollata più.
Terzo: per ingannare il loro radar, volare una formazione strettissima (così da risultare sul loro schermo come un solo velivolo).
Quarto: non appena agganciati dal loro radar con il lock on, ci saremmo separati per un attacco a tenaglia da sinistra dall’alto e da destra dal basso.
Così facemmo e due dei Mig-29 furono gentilmente chiamati, dal controllore di terra del poligono, ad abbandonare il medesimo, in quanto colpiti. Missione compiuta.
Oggi i Mig- 29 volano ancora sui cieli russi e ucraini. Non stanno compiendo missioni addestrative. Fanno sul serio. E questo non è un bene. Per nessuno. Forse sarebbe anche ora di bloccare la spirale prima che anche altri tipi di velivoli si aggiungano alla battaglia.
“Il teorema del coniglio”
di Pierernesto Ottone
Base di Grosseto. Seduto dietro un piccolo banco, passo ore e ore a familiarizzare e studiare tutte le procedure, le manovre e le checklist dell’F104. Ovviamente, devo impararle a memoria e sarà sicuramente uno sforzo notevole visto il poco tempo concessomi prima del giorno del primo volo. La mia scomodissima sedia di tanto in tanto si anima, assumendo improbabili posizioni che intendono simulare gli assetti del velivolo nelle varie manovre da studiare mentre nella mente ripeto, decine e decine di volte, tutte le azioni e i controlli da effettuare nel volo reale.
Il “ground training” è decisamente impegnativo e condividere gli spazi e i briefing con i più scafati pilotoni del 9° che guardano me e gli altri allievi con sussiego mentre noi li sbirciamo con profondo rispetto ed anche con una certa invidia, mi intimidisce e mi sprona contemporaneamente.
Ripeto all’infinito i controlli da effettuare durante il rullaggio sintetizzati nel famoso “twiscorread”, quelli prima dell’allineamento in pista e quelli pre-decollo e poi, ancora, quelli durante la corsa di decollo e così fino all’atterraggio.
Ripetuti fino alla nausea, tutti i santi giorni, fino al momento prima di salire a bordo per il primo volo: ”tip tanks, wing flaps, inertial reels, canopy….. ; al punto attesa: contatto la Twr: Grosseto Tower, missione…. richiedo allineamento e decollo, uno sguardo al finale… finale libero, freno parcheggio off, una spuntatina di motore…. Mi allineo sull’asse pista, freno parcheggio on…e inizio i controlli pre decollo…tutto ok, rilascio i freni, motore a military, giri e temperatura nei limiti, full A/B, nozzle aperte, velocità in aumento, 130 nodi alla X, 175 nodi nose 5° up, variometro positivo carrello su”.
Seduto sulla mia sedia dietro al piccolo banco tutto mi sembra perfetto!
Ed ecco il gran giorno. Sono emozionatissimo, desideroso di mostrare al mio istruttore, che già di per sé incute un certo timore, gli esiti della mia buona preparazione.
Dopo il giro esterno, tallonato costantemente dal mio istruttore, affronto con un certo timore la scaletta. Sono finalmente seduto sul Martin Baker di un 104! Davanti a me non più la parete dell’aula che mi era diventata così familiare nei giorni precedenti, ma il mondo reale!
Il sogno di una vita si sta per realizzare.
Inizio la manfrina:
Controlli prevolo: OK
Messa in moto e 5 dita: OK…. Ehm…. benino
Tutto bene fino all’ allineamento. Quasi quasi tiro un sospiro di sollievo, ma poi……
arriva una voce da dietro che mi riporta bruscamente alla realtà: è la voce del mio istruttore che mi strilla: “LO VUOI TIRARE SU IL CARRELLO?!?!”
Constato con amarezza di aver fatto ben poco di quello per cui mi ero così intensamente preparato seduto sulla mia sedia animata e che, come si dice, ero costantemente “dietro al velivolo”.
E le prestazioni dello “spillone”, che tanto ho sognato, si rivelano piacevolmente molto diverse da quelle dei velivoli che avevo precedentemente volato e certamente molto superiori a quelle che mi aspettavo.
Correva l’anno 1977 e iniziava per me uno dei periodi più belli e soprattutto più impegnativi della mia vita aeronautica. Finalmente, dopo anni sui banchi dell’Hdemia e i corsi basico e avanzato su aviogetti, avevo iniziato il tanto agognato corso sull’F104 presso il 20° Gruppo A.O.
Ho imparato che la teoria, essenziale per la buona riuscita di ogni cosa, aiuta moltissimo, ma non basta. Per fortuna, attitudine e potenziale non prescindono dall’addestramento in volo per cui, continuando a volare, le cose sono decisamente migliorate al punto che ho potuto completare il corso senza ulteriori problemi. Successivamente sono stato assegnato al 21° sulla base di Cameri dove ho conseguito la combat-readiness e accumulato giorno dopo giorno una sempre maggiore esperienza sul velivolo.
E i coniglietti cosa c’entrano?
Poverini, a Cameri riuscivo addirittura a vederli durante la corsa di decollo (ma non ero certamente il solo) sui prati a lato della pista mentre fuggivano terrorizzati al passaggio del mio 104.
A suo tempo non avevo fatto mente locale sul possibile significato di quanto mi era accaduto, ma adesso ripensandoci dopo tanti anni di attività, posso dire che l’addestramento in volo (e oggigiorno anche al simulatore) è veramente essenziale. La teoria, come ho già detto, va a braccetto con la pratica, E non ci sono storie.
E questo, in estrema sintesi, può essere riassunto nel “teorema del coniglio”: se riesci a vedere questi graziosi animaletti mentre stai decollando mantenendo il velivolo sulla giusta traiettoria, è un buon segnale: vuol dire hai raggiunto un efficace controllo della macchina e una buona “situational awareness”.
MACH 2 – Prove in volo di caccia bombardieri supersonici
di Giuseppe D’Avanzo
Questo racconto viene proposto in formato pdf, scansionato direttamente dall’originale cartaceo. Per procedere alla lettura cliccare sul link successivo.
Quella Volta Che…
di Gianpaolo Miniscalco
Un racconto tratto da “Volo” – N. 1 Giugno-Luglio 2021
L’America e la Russia sono avversari, il Medio Oriente è un’area di grande instabilità, la Libia rappresenta un grande problema di sicurezza, e per una volta l’Italia ha un presidente del consiglio rispettato sullo scenario internazionale.
Non stiamo parlando della situazione attuale, peraltro perfettamente sovrapponibile, ma del 1986, perché la storia tende spesso a ripetersi.
Personalmente finalmente posso godere di qualche giorno di meritata licenza. Da pochi giorni sono stato dichiarato combat ready su F 104, ho appena ricevuto la mia prima valutazione caratteristica (sono già considerato “eccellente” come non capita nemmeno a chi è destinato a diventare capo di stato maggiore), le Frecce Tricolori si stanno informando sul mio conto, ho appena comprato una bellissima MGB gialla e fra breve incontrerò la compagna della mia vita: cosa potrebbe andare storto?
Casa, giovedì 2 gennaio 1986, ore 07.05. Sono ancora giustamente fra le braccia di morfeo, recuperando qualche giorno di stravizi, ma l’insistenza del telefono che continua a squillare in soggiorno mi riporta mio malgrado nel mondo degli attivi. “Pronto, chi è che chiama a quest’ora? …Ah, è lei comandante… ho capito, fra un’ora posso essere a Istrana.”
Riempio la borsetta che si infila nel compartimento elettronico del 104 con pochi effetti personali e un libro di Tom Clancy e scendo in garage a prendere l’MG. Al mio arrivo al comando del 22 gruppo caccia tutti i piloti sono già in aula briefing. “Tommy”, il comandante, mi guarda serio e segna una tacca a mio carico sul “bottigliometro” per essere arrivato per ultimo.
L’ufficiale intelligence ci illustra con il suo fare essenziale il briefing: “La situazione sulla nave da crociera Achille Lauro, in mano ai terroristi nel Mediterraneo, sta precipitando; un passeggero americano disabile (Leo Klinghofer) stato appena massacrato e il governo italiano ha deciso di prepararsi per un intervento con gli incursori di Marina. Il 22 gruppo si rischiererà con effetto immediato su Trapani per effettuare missioni Combat Air Patrol sull’area di intervento, proteggendo i nostri …
Starfighter 4 Eagle 0: that time two F-104s scored four simulated kills against an F-15B in a single training mission
di Dario Leone
The debriefing was a hoot. I especially liked the part where the Eagle guy played his recorder and we heard the backseater say “Break, we just got gunned again”!
The Lockheed F-104 was the first operational fighter capable of sustaining speeds above Mach 2.
Thanks to this ability the Starfighter was a huge leap forward when strictly compared to the old subsonic and “forgiving” jets. Nevertheless when the air-to-air engagements took place at subsonic speeds, the lack of wing area put the F-104 at a disadvantage against more traditional fighters since its turn ability in this regime was critical. Hence the importance of not allowing the Starfighter to slow below Mach 1 to take advantage of its speed and vertical climb that were unrivaled at the time.
Thanks to its speed and vertical climb in fact the aircraft was able to held its own also against more modern fighters, as Andy Bush, former F-104 pilot and instructor in the USAF Fighter Weapons School (FWS), recalls:
“I don’t know when the first instance of the F-104 and the F-15 engaging in DACT happened…but I do know when it happened early on at Luke.
“When the F-15 training operation began at Luke in the latter 70s, the initial squadron was the 555th, known as ‘the Nickle’. Sometime in 78 or so, the Nickle guys were looking for DACT with a variety of fighter types, and so they came down the street to the F-104 Fighter Weapons School in the 69 TFTS, also at Luke.
“They wanted to fly against us, and so we agreed to put up a two ship for a trial mission. Two FWS instructors were selected, one a German instructor (Hartmut Troehler) and one USAF instructor (me).
“The Nickle hosted the mission. We briefed at their squadron with two of their instructors (both F-4 FWS grads). They were going to use the two seat model for the engagement. We would both have dedicated GCI. We were to simulate Floggers…not a bad idea since the G model that we flew was a good representation of the A2A capability of the MiG-23. Our simulated armament was to be Apex, Aphid, and the gun.
“After the main briefing, Hartmut and I had our own briefing. I was the flight lead and intended to use as much deception as I could. We knew that the F-15 guys were really proud of their radar capabilities…the PD radar was new to the fighter community at that time. I thought that the two Nickle guys would be heavily relying on their radar to enter the fight…as it turned out, I was right.
“My plan was to put Hartmut in close formation and run head on at the F-15 using GCI for vectoring. Our radar could search out to 40nm but we couldn’t lock on until 20nm.
“We took the first GCI vector and accelerated through the mach. Intended to fight fast…high speed extensions and hook turns. At 20nm, the F-15 made a large blip on my radar and I was able to get a lock. The plan was to Fox-1 at about 16nm and then have Hartmut peel off into a hard 360 to follow me.
“I called the Apex at 16nm, told Hartmut to deploy, and then pushed it up to over 700KIAS. My hope was that the Eagle guys would hold their lock on me and not see Hartmut separate. We could slave our gunsight to the radar lock on angle…this let me fly right at the F-15. I picked him up visually…he was high, to the right, and had started a conversion turn. I unloaded, and extended away figuring they would try to follow…and they did.
“What that did, of course, was get them sandwiched between me and Hartmut. My guess was that they would get all excited and jump on me without asking where my wingman was. They found out soon enough as their GCI relayed to them Hartmut’s gun attack call.
“I was looking back and saw their break turn that resulted. I went idle and boards, slowed to .85M, dropped my maneuver flaps, put my lift vector on the Eagle and then pulled the jet into a hard 7g turn using burner to hold my speed. I knew I could sustain that g at around 400KIAS.
“I pulled into a lead snapshot position on the Eagle, closed in and went guns. The Eagle broke again as their GCI relayed the second gun call.
“By this time, Hartmut was pitching back into the fight. He saw me extend away, went in for his second gun attack, and then extended away after me. I tallyed him, gave him a check turn to put us back into line abreast and then we became a dot.
“The Eagle tried to call a Fox-2 as we separated but with us well over 700KIAS, it was way out of parameters.
“The result was the two Fox-1s and three unobserved gun kills by us. They had no valid shots.
“The debriefing was a hoot. I especially liked the part where the Nickle guy played his recorder and we heard the backseater say “Break, we just got gunned again!”
“Of course, all of this should not have happened. The F-15 should have had us for lunch. But they didn’t, and it was all because they didn’t play to their strengths…and they severely underestimated their opponents. They didn’t do that again and that was a good thing.”
Il mio volo sul TF104 con Scott Horowitz
di Andrea Boiardi
Durante la mia attività di volo presso la P.A.N. ed il 20° Gruppo, mi è capitato abbastanza spesso di avere a bordo “ospiti” esterni all’Aeronautica Militare Italiana: giornalisti, politici, ufficiali di forze armate straniere.
Uno dei passeggeri illustri che ricordo con più piacere è Scott Horowitz, pilota ed astronauta della NASA, che ha partecipato a diverse missioni dello Shuttle.
Verso la fine del 1996, da poco Comandante del 20° Gruppo, a Grosseto, volavo come istruttore sul velivolo TF104G.
La 75^ missione dello Space Shuttle (STS 75), alla quale avevano partecipato anche gli astronauti italiani Umberto Guidoni e Maurizio Cheli, era rientrata da alcuni mesi e l’equipaggio stava svolgendo un giro di conferenze in Italia. Come piloti e appassionati del volo eravamo tutti incuriositi, ed io stesso stavo cercando di organizzarmi per assistere ad una delle conferenze sulla missione, quando ricevemmo un telegramma dallo Stato Maggiore che ci informava che Scott Horowitz, il pilota del Columbia, accompagnato da Maurizio Cheli, Mission Specialist, ci avrebbero fatto visita a Grosseto e, per l’occasione, Horowitz avrebbe volato con noi.
All’interessantissima conferenza, tenuta da Maurizio Cheli, parteciparono naturalmente tutti i piloti e gli appassionati dell’aeroporto. Ricordo che fui colpito dalla semplicità e dalla linearità dell’esposizione di Maurizio, inconsueta, trattandosi di argomenti così complessi, e dalle bellissime immagini che aveva portato con sé.
Ma la parte per me più emozionante fu subito dopo, quando ebbi il piacere e l’onore di portare Scott in volo con il mio TF104. La prima impressione che ebbi incontrandolo fu di avere davanti una persona di una grande serenità. I suoi occhi pacifici ma al tempo stesso attenti, erano costantemente alla ricerca di ogni dettaglio di ciò che lo circondava.
Già durante il briefing sull’aeroplano e gli equipaggiamenti di emergenza, notai la sua capacità di evidenziare gli aspetti importanti con domande molto precise e mirate, capacità, questa, tipica dei piloti sperimentatori, abituati a volare su molte macchine diverse e, per questo, dotati di una grande flessibilità unita ad una vasta conoscenza di base.
Dopo il briefing decollammo per la nostra missione, che prevedeva una breve navigazione a media quota fino alla base di Grazzanise, un paio di “touch and go”, per poi rientrare nella nostra zona per un po’ di acrobazia e l’atterraggio finale. L’autonomia del TF non consentiva purtroppo molto di più.
Subito dopo il decollo cedetti i comandi a Scott; l’F104 volava docile e liscio sotto le sue mani, tradendo subito la sua lunga esperienza di volo su macchine tipo T38, molto simile come condotta all’F104. Mentre lui portava il nostro aeroplano verso Grazzanise, cominciai ad illustrare alcune delle caratteristiche del 104: i “flaps soffiati”, il “pitch up”, lo “shaker”, il “kicker”, il volare l’aeroplano per angolo d’attacco, con l’ausilio dello strumento dell’APC (Automatic Pitch Control). Scott mi seguiva con attenzione e sembrava che fosse già familiare con le cose che gli stavo dicendo.
Arrivati sulla verticale di Grazzanise presi di nuovo i comandi per fargli vedere il “precauzionale”, nel quale si simula una forte perdita di spinta e si lascia “planare” il 104 alla velocità di 260 nodi con i flaps T/O verso la pista, estraendo il carrello solo all’ultimo momento, poco prima del contatto, per ridurre la resistenza aerodinamica.
Questa manovra ricordo colpì Scott, perché gli ricordava quella di avvicinamento con lo Shuttle, alla quale assomiglia molto come traiettoria e parametri di volo.
Anche durante le manovre acrobatiche che effettuammo al rientro in zona (virate sfogate, looping, tonneaux, quadrifoglio) ebbi modo di apprezzare le grandi capacità aviatorie di Scott che, nel giro di quaranta minuti, si era già adattato alle caratteristiche di volo dello “spillone”, dimostrando una grande versatilità come pilota.
Dopo il nostro atterraggio a Grosseto, mentre brindavamo al suo volo, mi ringraziò e mi confessò che volare sull’F104 era stato il suo grande sogno fin da bambino e che era finalmente riuscito ad esaudirlo. Capii allora il perché della sua grande attenzione nei confronti di tutto ciò che riguardava l’aeroplano e della sua conoscenza dell’aeroplano stesso, che può avere solo chi nutre una grande passione per uno dei velivoli militari più affascinanti della Storia dell’Aviazione.
“Acrobazia a Villa”
di Fabio Consoli
Eccomi qui, sto sudando le proverbiali sette camicie per mantenere la posizione mentre il “Nonno” cuce il cielo campo di Villafranca con una sfilza di manovre collegate, che a lui il programma della PAN gli fà un baffo.
Tonneaux a botte a destra, tonneaux a botte a sinistra, tanto per farmi provare l’ebbrezza di stare interno ed esterno alla manovra, poi via su per un bel loooooooping: “A/B, A/B…. ORA!”
La mia mano sulla manetta esegue il classico movimento per inserire il postbruciatore da Military: esterno ed avanti. Sento il rassicurante calcio nel culo che mi conferma che l’A/B è entrato (mica c’è modo di guardare gli strumenti motore) mentre il “Nonno” mi pennella 4 G e mezzo ed io mordo l’ala come meglio posso.
L’acrobazia con il 104 si poteva fare in due modi: il “classico”, come te lo insegnavano al Ventesimo, che non prevedeva l’uso del postbruciatore, ma che ti dovevi lavorare, nelle manovre verticali, usando i flap tra la posizione da UP a TO in diminuzione di velocità (passando i 300 nodi circa) e viceversa quando la velocità passava i 400. Era un momento topico il movimento dei flap: primo, dovevi trovare la leva subito (mica scontato quando sei un allievo); secondo, la dovevi muovere nella direzione giusta (non scontato) terzo, la transizione dei flap da una posizione all’altra, modificava la situazione del trim, per cui si tendeva a “ballare” in pitch, oscillando in beccheggio, ed andando a titillare quel luogo buio e triste che tutti i piloti conoscono come PIO (Pilot Induced Oscillations).
Il leader vede subito nello specchietto la transizione del suo gregario da un flap all’altro: il muso del suo velivolo comincia ad oscillare per qualche secondo prima di stabilizzarsi nuovamente. Il tutto in verticale e tirando 4 G mentre l’allievo “balla” a non più di qualche metro dalla tua wingtip. Roba da sudori freddi.
Dopo un po’ si imparava a lasciare il velivolo un pochino fuori trim a picchiare in modo che la barra non si alleggerisse troppo, e perciò non diventasse troppo lasca, tenendo il pilota lontano dalla tentazione di effettuare correzioni troppo ampie, anticamera del PIO di cui sopra.
Ad ogni modo, questa era la tecnica che da “sottotenentino” imparavi in zona Gavorrano o Scansano quando stavi sotto le grinfie dei “Leoni” del Ventesimo Gruppo.
Ma il TF era più leggerino, la configurazione era quasi sempre quella classica delle missioni istruzionali, con i soli “wingtip tanks”, e ci si poteva permettere di giocare con i flap per non usare l’A/B e risparmiare carburante per poi fare qualche circuito in più.
Al “Reparto” era diverso. Il G era più pesante e la configurazione era quella che era: a volte (spesso) a Villa avevi il “bidone” (il pod “Orpheus”) appeso sotto la pancia e, pure, i “pylon tanks” sotto le ali, il che, ovviamente, rendeva il tutto molto più interessante.
Perciò l’acrobazia in formazione poteva essere anche più “maschia”: niente uso dei flap, fissi in posizione TO, e uso del postbruciatore come se non ci fosse un domani.
La chiamata “FLAPS, TO…. ORA!” era perciò sostituita da “A/B, A/B… ORA!” e, viceversa, FLAPS, UP… ORA!” da “VIA DALL’A/B… ORA!”.
Tutti i tenenti dei reparti caccia sognavano il momento di sentire in cuffia la chiamata “FUMI, FUMI… ORA!”, ma questa è un’altra storia.
Ma torniamo in cielo campo a Villafranca.
Sto sudando, dicevo, sette camicie mentre il “Nonno” pennella acrobazia con me appeso alla sua ala. Il sudore scorre dalla fronte agli occhi mentre tiro G cercando di tenere la punta del serbatoio alare sul casco del mio leader e, contemporaneamente, cercando di non perdere completamente l’orientamento spaziale, cioè dove sia il cielo e dove la dura terra rispetto al mio assetto. La tuta anti-g si gonfia, strizzandomi le gambe, per evitare il “greyout” (no buono in acrobazia in coppia) mentre io tiro giù la madonna e tutti i santi cercando di non sfilarmi, non troppo, almeno.
È un palcoscenico, ragazzi. Le “Streghe” del mio gruppo sono fuori sul piazzale, mano alla fronte, per vedere come se la cava il “tenentino” Consoli mentre viene brutalizzato dal “Nonno”; e quel che è peggio, pure le odiate “Grappe” sono lì fuori, a criticare le due “Streghe” che fanno buchi nel cielo sulla verticale della pista. Tutte, tranne una…
“There I was”, perciò, mordendo l’ala del leader, fradicio di sudore, smoccolando tra i denti mentre cerco di non pensare a tutti gli occhi puntati su di me, quando il “Nonno” comincia a tirare su per un altro looping. “A/B, A/B… ORA!”, calcio in culo, 4,5 G per tenere la velocità sotto i 450 nodi e si punta verso la verticale. Passiamo i 90°… “VIA DALL’A/B… ORA!”. Ora? Ma non è troppo presto? Così finiamo balistici! Tutti questi pensieri in un flash mentre la mia mano sinistra, ubbidiente, tira fuori la manetta dal postbruciatore e la mia bellissima formazione diventa una fila indiana a 6 secondi perché, contemporaneamente, realizzo che A. il “Nonno” col cazzo che è uscito dall’A/B e B. col cazzo che la voce in frequenza era la sua, tanto caratteristica per la sua cadenza “strascicata” e romanesca.
“Cazzo, cazzo, CAZZO…”
Ma ormai il danno è fatto.
Mi pare già di vedere le “Grappe” che si rotolano dal ridere, mentre una di loro, diabolica, abbassa il microfono della radio della loro SOR.
Mi ricongiungo mestamente al 104 del “Nonno”, e lo vedo scuotere mestamente il casco mentre, però, ghigna sotto la maschera ad ossigeno.
Tornando verso il gruppo, serafico, manco ascolta le mie puerili giustificazioni.
“A’ Consoli!” mi apostrofa, “Hai da riconosce’ ‘a voce der tuo leader!”
Questa, tristemente, è una storia vera.
La notte della civetta
di Dino Fabbri
…..È uno di quei giorni che ti prende…. cantava Ornella Vanoni agli inizi degli anni 70 riferendosi ad una sorta di amorosa malinconia…., qualche anno più tardi, in un giorno qualunque e in un contesto completamente diverso, ciò che prese me fu una moderata noia con lieve componente ansiogena in previsione di una 24 ore da trascorrere segregato in aeroporto in attesa di un eventuale ordine di decollo immediato.
Era un tardo pomeriggio d’inverno dell’81, non ricordo il giorno esatto ma il mese si, dicembre: fuori ormai completamente buio, aria secca e frizzante, cielo terso, sera stellata senza luna, insomma esattamente l’opposto del tempo che abitualmente avvolge la base aerea di Cameri durante il periodo invernale quando nebbia e umidità la fanno da protagoniste; in palazzina-allarme, da qualche tempo la mia seconda casa, la solita squadra di 8 persone, 2 piloti e 6 specialisti premurosi custodi di una coppia di F-104-S armati e riforniti di tutto punto, ma anche scrupolosamente “prevolati”, pronti cioè a reagire (decollare) in tempi brevissimi: 5 minuti al massimo.
Sino a quel momento la giornata era trascorsa abbastanza velocemente: la consueta routine d’ufficio che i piloti in servizio d’allarme potevano comunque sbrigare dalla sede del gruppo di volo, l’indimenticato 21 esimo “tigre”, rigorosamente esclusi dal programma addestrativo, ma con un orecchio, anzi due, sempre ben orientati e tesi a percepire se dall’ altoparlante della linea calda provenisse un brontolio che potesse assomigliare, anche vagamente, ad un ordine di decollo (scramble).
Nel qual caso lesti come la folgore sarebbero saltati sulla “sfruttatissima Fiat panda targata A.M.” in attesa con le portiere aperte e chiavi nel quadro, avrebbero con questa attraversato a bombazza la pista, bloccato le ruote ai piedi della scaletta dei velivoli, quindi catapultati a bordo, messo in moto il jet con la collaborazione del personale di terra e una volta arrivati in pista avrebbero liberati tutti gli oltre 8000 kg di spinta per volare a fionda contro la “minaccia”.
Come forse si sarà capito, quel dì uno dei piloti ero io, l’altro, con funzione di capo allarme, Gianni, mio compagno di corso in Accademia: entrambi giovani capitani ma già esperti “combat ready”, tutti e due entusiasti della carriera intrapresa, ma soprattutto fanatici del volo con lo “spillone”(il nomignolo affibbiato in Aeronautica al bisonico superstarfighter); ragione per la quale una giornata di lavoro senza alzare il sedere da terra ci sembrava sprecata, un po’ come mangiare un cibo poco gustoso: ti lascia il palato insoddisfatto.
Ad ogni buon conto l’attività di volo addestrativa era terminata, tutti gli aeroplani capottati, gli uffici chiusi e il personale aveva o stava abbandonando la nave; al sottoscritto ed al suo caposervizio, salutati comandante e colleghi, non rimaneva altro da fare che rientrare nella gabbia delle tigri, leggasi palazzina-allarme, per attendere pazientemente di smontare dal turno alle 9 del giorno dopo, ormai rassegnati a non assaggiare sino ad allora alcun “cibo gustoso”.
Nel felino recinto era già in attesa per il briefing serale l’ufficiale meteo il quale, con abbondanza di carte ed un forbito eloquio tecnico che spaziava dalle isobare ai gradienti, dallo zero termico al centro di alta pressione, ci dimostrò ciò che era evidente anche al mio gatto, e cioè che la serata era splendida e la nottata non sarebbe stata da meno, un pò fredda forse, ma limpida e totalmente priva di nuvole; così Cameri e così tutti gli alternati che garantivano assistenza: una vera rarità!
Orbene, poiché mancava ancora un’oretta abbondante alla cena, mi cimentai nel passatempo preferito di un pilota in servizio d’allarme: convincere il controllore radar in turno di sorveglianza che sul suo schermo, se avesse ben guardato, vi avrebbe scorto una traccia sconosciuta, magari ostile, perciò meritevole di essere intercettata e identificata; si trattava in realtà di un fiacco tentativo di indurre chi di dovere a ordinare il decollo della coppia in prontezza, esperimento che, mi rendevo perfettamente conto, aveva le stesse probabilità di successo di quelle di un ferro da stiro di rimanere a galla dentro una vasca piena d’acqua, ma che qualche volta, soprattutto in passato, aveva dato i suoi bei risultati.
E come volevasi dimostrare Mauro, abilissimo guidacaccia di Puma Radar e controllore di turno, non volle saperne di farsi corrompere, anzi mi ricambiò con la stessa moneta: “guarda Dino” mi disse “ non si muove proprio niente stasera e anzi per il freddo anche le civette vanno a piedi!” Beh, comunque ci avevo provato; a questo punto rimaneva ben poco da fare: meglio dare una sbirciata al quotidiano ed accendere la televisione in tempo per il telegiornale della sera, mentre il mio capo, spaparanzato sulla poltrona, si predisponeva per l’immancabile rapporto telefonico serale con il suo più autorevole (e severo) superiore: la moglie.
La cena arrivò puntuale alle 20, servita dalla operosa mensa aeroportuale, al termine della quale, dopo il “caffè dei notturni”, si svolse il consueto rituale postprandiale: si trattava di preparare per la notte incombente i due sofisticati e costosi marchingegni, ardite evoluzioni delle ali di cera del mitologico Icaro, rimaste disoccupate sino a quel momento; si, un pò come il papà e la mamma salutano con un bacino il piccolo prima che si addormenti mentre affettuosamente gli rimboccano la copertina; i velivoli furono così messi in moto e nuovamente verificati i principali impianti, proprio come se si dovesse decollare subito dopo, il tutto mediante una serie di controlli denominati in gergo delle “5 dita”.
Si provarono cioè in sequenza, identificati per l’appunto e richiamati ciascuno dalle dita delle mani, i comandi di volo, l’aerofreno, i trim, i damper, l’APC, i flaps, il rain remover, i flabelli del cono di scarico ed il motore, il tutto con rapida intesa e perfetta sinergia tra pilota a bordo e crew chief a terra; a conclusione, esultante per la riconfermata efficienza, fu l’urlo liberatorio del J-79 (il propulsore) spinto al massimo regime: un trionfo di decibel che squarciò la placida notte, pur se per pochi secondi, e che pareva volesse gridare al pilota: tutta la mia potenza come sempre è a tua disposizione, conta pure su di me.
OK, con il prevolo notturno dei 2 “spilloni” le prime 12 ore di servizio erano trascorse; al personale non rimaneva che organizzarsi per la notte, intimamente consapevole della scarsa probabilità, statisticamente comprovata, che alla coppia venisse richiesto un intervento a così tarda serata anche solo per testare la reattività del sistema (practice scramble).
Alle 21,30 quindi gli specialisti si radunarono attorno al tavolo della sala da pranzo per un pinnacolo mentre Gianni ed io preferimmo ritirarci nella nostra saletta e guardare un pò di televisione; il film non doveva essere poi così interessante dal momento che verso le 22,30 di comune accordo e con la palpebra parzialmente calata, spenta la televisione decidemmo che era giunto il momento di agevolare un rapido ma efficace incontro con Morfeo, il dio dei sogni.
Grugnita la buona notte, ci sdraiammo sulle rispettive brande con la seguente configurazione: il sottoscritto completamente vestito scarponi da volo compresi, Gianni in tuta ma senza calzari, questi ordinatamente appaiati ai piedi del letto in una posizione x che avrebbe dovuto costituire il più conveniente (probabile) punto di incontro con i piedi del legittimo proprietario nel caso di un repentino cambiamento dalla posizione sdraiata a quella eretta; a tal proposito le correnti di pensiero erano molteplici: chi sosteneva che era meglio riposare completamente vestiti per ridurre i tempi di reazione, chi invece per contro preferiva spogliarsi del tutto, pronto a dimostrare che gli 8-10 o anche 15 secondi necessari per indossare la combinazione da volo in caso di necessità non avrebbero significativamente inciso sull’obbligo di rispettare il limite dei 5 minuti per staccare le ruote da terra.
E poiché “electa una via non datur cursus ad alteram” il sottoscritto rimase vestito di tutto punto, scarponi compresi, ma ciò non gli impedì di passare in tempi rapidissimi dal disorientamento al coma vigile, dalla perdita di conoscenza alla benefica fase rem, ricca di sogni e fantasie di ogni genere.
Non saprei dire a che ora, e nemmeno se fosse propriamente un sogno, ma qualcosa tentò insistentemente quanto fastidiosamente di richiamarmi alla realtà poichè sembrava che qualcuno, più di uno, parlasse all’interno della stanza e molto maleducatamente si divertisse addirittura ad emettere sgradevoli pernacchie; nonostante ogni mia resistenza tesa al rifiuto di riacquistare anche il più piccolo barlume di coscienza, non potei fare a meno di percepire alcuni ritagli del fenomeno che più o meno suonava così: “prrrr….pronto Cameri….prrr… come mi ricevi….prrr… quattro quinti e tu?…prrrr…. forte e chiaro… prrr…allora scramble, scramble, scramble, per due hotel eco…..prrr… salita gate…alfa 370….a sinistra 030 ….prrr…con puma oscar 66 …..prrr… lo squawk 3/15… ricevuto Cameri?…OK ricevuto Puma….”
Alla parola “scramble” l’occhio si sbarrò, ma prima del panico il suono lancinante di una sirena mi trafisse il cervello ancora latitante scomponendolo in mille pezzi ciascuno dei quali, in compenso, totalmente inaffidabile; comunque uno e un solo file era contenuto nella ram del mio cranio in quel frenetico momento: una sirena urla…, allora devi correre! Escludendo un percorso al coperto dentro la stanza, l’unica direzione possibile doveva essere verso la porta, oltre la soglia, attraversando la quale, un attimo prima di uscire, percepii vagamente le imprecazioni del Gianni alle prese con la ricerca dei propri scarponi o più probabilmente con il tentativo di calzarli correttamente.
Ero d’un tratto balzato in piedi con la pressione arteriosa a 20 che stentava a salire, in corsa spasmodica verso una luce costituita dai fari dell’ hangaretto che riparava i due velivoli d’ allarme, mentre i pixel del mio cervello tardavano a comporsi in maniera soddisfacente continuando a fornire una visione degli accadimenti del tutto confusa, nonostante il freddo intenso sferzasse il viso e le mani scoperte.
Malgrado ciò raggiunsi ansimante la scaletta del velivolo avendo messo a fuoco in quel brevissimo lasso di tempo un preoccupante convincimento che purtroppo mi pareva abbastanza attendibile: dovevo mettere in moto l’avione e partire in gran carriera, ma come, dove, perchè? Si vedrà! Per prima cosa è indispensabile, pensai, salire a bordo; una volta adagiate le chiappe sul Martin Baker (il seggiolino eiettabile del velivolo) ecco il miracolo, le mani andavano da sole e gli occhi controllavano ciò che ancora la testa tribolava a concepire.
In rapida successione la piattaforma inerziale fu posta su “align”, il contasecondi avviato, il pacco di sopravvivenza, alloggiato sotto il sedile, venne collegato al giubbetto di salvataggio, le giarrettiere agganciate alle gambe mentre le due robuste mani dello specialista, arrampicatosi non visto sulla scaletta immediatamente dietro di me, stringevano le cinghie di sicurezza che mi assicuravano saldamente al seggiolino e quindi al paracadute.
Un veloce sguardo all’esterno dell’abitacolo mi confermò che tutti i componenti della squadretta d’allarme erano febbrilmente presi dalle loro mansioni e anche Gianni si stava agitando nel cockpit del velivolo a fianco intento come me a legarsi, scrupolosamente assistito dal suo crew chief: chissà se aveva gli scarponi ai piedi mi sorpresi a pensare? Scacciai subito l’interrogativo perchè il rombo dell’atlas, il generatore di aria compressa indispensabile per avviare il J-79, mi fece capire che tutto era pronto per dare inizio alle danze.
Mentre azionavo entrambi gli starter della messa in moto riflettei che questa volta il mio capo-collega, con o senza scarponi, avrebbe dovuto accontentarsi di mangiare la polvere del mio yet, pensiero che mi fece storcere la bocca, già costretta nella maschera ad ossigeno, in un sorriso compiacente: quella sana rivalità costantemente presente nella casta dei piloti da caccia, sempre pronta a ricercare nel gruppo il più abile, il più veloce, il più aggressivo, questa notte avrebbe giocato a mio favore e contro il povero Gianni, così almeno pensavo.
Qualche frazione di secondo ancora per accendere i principali apparati di bordo mentre il motore aveva stabilmente raggiunto il regime minimo del 67% dei giri e già l’ottimo Ennio, il capo crew chief addetto al mio velivolo, tolte le spine di sicurezza del sedile eiettabile, mi segnalava correndo veloce davanti allo spillone che potevo iniziare a rullare; con i controlli ormai tutti completati, rimaneva solo da posizionare l’interruttore della piattaforma inerziale su “nav” per potermi muovere, ma appena lo feci il pannello avarie mi segnalò il malfunzionamento dell’impianto con conseguente “no go” da parte dell’orizzonte artificiale.
Ecco, al lento diradarsi della nebbia del mio cervello ancora sonnacchioso si aggiungeva una ulteriore, sgradita, scarica di adrenalina: l’avaria indicata non avrebbe consentito il volo: che fare, ignorarla o applicare la prevista procedura che prevedeva il riallineamento della piattaforma con un ritardo di un minuto abbondante sui tempi di decollo? No, era notte, non si poteva rischiare di partire senza indicazioni attendibili di assetto del velivolo e di prua: la decisione fu presa in un istante, l’interruttore riposizionato su “align” e il contasecondi nuovamente in funzione per cronometrare il minuto necessario al nuovo allineamento.
Solo in quel frangente, guardando necessariamente l’orologio di bordo, mi resi conto che era quasi l’una del mattino, mentre allo sguardo interrogativo del “troppo in fretta considerato mangiatore di polvere” dovetti mio malgrado rispondere con uno spazientito cenno della mano che stava a significare “ vai pure avanti, vai pure a quel…..”; il boato del suo propulsore non si fece attendere oltre, spinto quasi al massimo per trascinare il velivolo fuori dall’ hangaretto e procedere il più velocemente possibile verso la pista di decollo.
Mentre ancora un pò frastornato guardavo con insistenza la lancetta dei secondi che sembrava inspiegabilmente rallentare sempre più, il velivolo del capo si fermò all’ingresso della pista per gli ultimi controlli da parte dell’armiere: mi scappò allora una mezza imprecazione studiata appositamente per incitare la lancetta del cronometro che finalmente, forse spaventata, si decise ad attraversare il numero 12 del quadrante decretando questa volta la piena operatività dell’apparato e consentendo a mia volta di abbandonare in gran carriera l’area di parcheggio all’inseguimento di quel paragnosta del Gianni che sospinto dalla regolare ma pur sempre impressionante fiammata del suo post-bruciatore (un impianto di sovralimentazione del motore che, se azionato, consente di raddoppiare quasi la spinta del reattore), aveva ormai staccato le ruote da terra.
Nel brevissimo percorso che mi separava dalla testata pista copiai in cuffia ripetendole le autorizzazioni della torre di controllo (quelle del “sogno” per intenderci, che in gergo sono definite “clearance”), rifeci un giro di controlli in cabina, verificai visivamente che l’armiere avesse tolto tutte le spine di sicurezza dei missili alloggiati sotto le ali e finalmente mi ritrovai, dopo circa 4 minuti dal tragico risveglio ed ancora bastantemente frastornato, lanciato come una schioppettata tra due file di luci bianchissime parte delle quali scorrevano sempre più rapidamente all’indietro mentre tutte le altre si congiungevano lontane proprio davanti ai miei occhi: l’ebbrezza dell’accelerazione mi procurò un rilassante languore e quasi mi convinse di essere ancora immerso nel sogno di prima piuttosto che costretto nell’angusto spazio dell’abitacolo di un F-104-S e scaraventato dalla mano di un gigante fino al limite superiore del cielo.
Riuscii comunque a recuperare la delicatezza del momento talché la sua percezione mi scosse all’istante dal torpore costringendomi nuovamente alla massima concentrazione: stavo procedendo ad oltre 100 nodi in rapida accelerazione, il motore a pieni giri ed in massima post-combustione spingeva come una catapulta; in un attimo lessi sull’anemometro 120 nodi, poi 130, 140 …., a 175, (quasi 350 km orari) applicai una leggera pressione all’indietro sulla barra di comando e lo “spillone” ubbidiente alzò il naso verso le stelle, mentre le ruote si scioglievano dolcemente dall’abbraccio con l’asfalto della pista.
Rientrato il carrello e mantenuta la massima potenza il velivolo continuava ad accelerare con una progressione che mi sorprendeva ogni volta; a 350 nodi vennero retratti i flaps, mentre a 430 fu necessario imprimere una decisa richiamata alla cloche per mantenere stabilizzata una velocità di salita pari a 450 nodi, quasi 900 km orari, prevista per questo tipo di “uscita operativa”, utilizzata quasi esclusivamente per i decolli su allarme.
Appeso ad un missile che si arrampicava nella notte con una rampa di 30 gradi e ad una velocità prossima a quella del suono, fissati i parametri di assetto prua e velocità, spostai l’attenzione sulle successive azioni da svolgere: cambiai frequenza radio sintonizzandomi con il radar della difesa che mi identificò positivamente, accesi quello di bordo e rifeci l’ennesimo giro di controlli degli strumenti motore che fortunatamente confermò come tutto fosse in ordine.
Di nuovo sui parametri di volo e, incredibile, avevo staccato le ruote da pochi secondi che già attraversavo 15000 piedi su per 37000 (12000 metri circa), la quota autorizzata dal controllo della missione: le lancette dell’altimetro si rincorrevano come impazzite mentre il variometro rimaneva stabilmente inchiodato a fondo scala, non essendo quest’ ultima tarata per delle arrampicate così estreme.
Stabilito il contatto radio anche con il mio leader, il mancato mangiatore di polvere, lo agguantai prima sul radar di bordo e in un secondo tempo anche visivamente grazie al bagliore della fiamma emessa dal suo cono di scarico: era là, sopra di me e davanti a me a circa 4 miglia, ormai prossimo a livellare alla quota autorizzata. Nello stesso frangente, in termini temporali parliamo di poco più di un minuto dal decollo, puma radar, l’ente di terra che aveva il controllo tattico della missione, ci aveva saturato di informazioni circa una traccia non identificata che viaggiava ad una settantina di miglia dalla nostra posizione con prua nord ovest e ad una quota poco più bassa della nostra: il nostro target!
Allora non era uno scherzo dell’ amico Mauro!? Quindi c’era qualche civetta che al contrario delle sue colleghe non amava andare a piedi con questo freddo e per giunta non voleva essere disturbata!? Certo se si fosse decisa ad un orario più consono…..; mentre così rimuginavo, l’occhio colse la quota che stavo attraversando, 35000: con una controllata violenza rovesciai l’aereo per fermare la salita 2000 piedi sopra: una tecnica che consentiva di recuperare il volo orizzontale senza provare quella fastidiosa sensazione di “stomaco in bocca” che una tradizionale appruata ti regalava con generosità.
Bloccata così la salita al livello autorizzato di 37 “angeli” (37000 piedi), disinserii il post-bruciatore e mi soffermai, in virata a sinistra per la prua ordinata, ad ammirare lo spettacolo: ero completamente avvolto dalle stelle, luminosissime e sparpagliate anche sulla linea del mio orizzonte, mentre la terra, 12 chilometri più sotto, appariva come una enorme concentrazione irregolare di luci spalmate su una tavolozza completamente nera; da quella quota e con quel tempo la vista poteva abbracciare tutto il nord-ovest dello stivale e distinguere con estrema chiarezza non solo Milano e Torino, ma anche i più estesi centri abitati del Piemonte, della Lombardia, giù fino alla Liguria. Un panorama mozzafiato che pochi quella notte potevano ammirare… ed io tra loro: nonostante tutto ero sbalordito e finalmente anche completamente sveglio.
Alcune persistenti vibrazioni mi riportarono in fretta alla realtà del momento ed al motivo per cui mi trovavo su quella giostra; la velocità del velivolo, pur di assoluto rispetto perché di poco inferiore a quella del suono, non era tuttavia sufficiente a garantire il volo livellato, ostacolato dal peso del carburante ancora presente nei serbatoi e dalla presenza dell’ingombrante armamento appeso sotto le ali (le vibrazioni erano il suo modo di comunicarmelo), complice la scarsa densità dell’aria a quella quota e la ridottissima superficie alare dello “spillone”, sua più evidente peculiarità.
Una velocità supersonica sarebbe stata più appropriata, ma evidentemente a Mauro, il nostro guidacaccia, non garbava troppo la possibilità di dover rispondere, dopo, agli inevitabili improperi dell’intero interland milanese per un bang sonico in piena notte e pertanto non ci autorizzò ad abbattere il muro, costringendoci in tal modo ad utilizzare a singhiozzo e con certosina precisione il postbruciatore al fine contenere la velocità tra punto 95 e punto 98 di Mach, un regime che ci consentiva appena di “galleggiare”.
Ad ogni modo, con la goffaggine di una papera fuori dall’acqua, procedevo comunque contro la traccia sconosciuta, seguendo in buon ordine il Gianni, sicuramente alle prese con le stesse difficoltà di pilotaggio, ma senza alcuna possibilità di avvicinarlo visto le limitazioni imposte alla velocità; le informazioni del radar di terra ci stavano posizionando su una traiettoria perpendicolare a quella del velivolo oggetto di indagine il quale viaggiava grosso modo per prua 310.
Ciò che ricordo perfettamente ancora oggi sono gli ordini che ad un certo momento ci furono impartiti dal controllo della difesa aerea: “ …il target si trova alla vostra destra, su un rilevamento di 050, ad una distanza di 35 miglia; viaggia a punto 78 di Mak ad una quota stimata di 35000 piedi: procedere all’identificazione e riportare il numero di matricola del velivolo”. Ora, mi era capitato spesso di identificare velivoli grandi e piccoli nel corso di analoghe missioni, persino di copiarne la matricola, un gruppo di 5 lettere dipinte sulla fusoliera, ma di giorno e non senza difficoltà vista la fisiologica differenza di velocità tra lo Starfighter e praticamente quasi tutti i vettori inquisiti: di notte, a quella quota e con un”nemico così lento” mi sembrava che la cosa sarebbe stata alquanto problematica, se non impossibile.
Mentre riflettevo sul da farsi, lo “spillone” continuava comunque a galoppare verso lo sconosciuto con una significativa velocità di chiusura al punto che ben presto avremmo ricevuto l’ordine di virare a sinistra per completare l’avvicinamento dal quadrante posteriore, il migliore per effettuare non visti un progressivo ricongiungimento su di esso.
Era necessario tuttavia, pensai, anticipare da parte mia il più possibile questa accostata allo scopo di riguadagnare lo spazio che mi separava dal leader e quindi avvicinare il bersaglio se non simultaneamente, almeno con un gap temporale più ridotto, pertanto, quando il controllo corresse il rilevamento sul target riducendolo ad una decina di gradi sulla destra, cominciai ad impostare una lenta virata a sinistra, mantenendo il radar sempre agganciato sul leader, per avere così in ogni istante contezza della sua posizione, ma iniziando contemporaneamente a scrutare anche il buio orizzonte al fine di cogliere visivamente e con ogni possibile anticipo tracce della presenza dell’aeromobile indagato.
La distanza era ormai ridotta a poche miglia quando il radar ordinò quella virata che avevo anticipato con studiato calcolo ed al termine della quale i due Starfighters si ritrovarono su traiettorie parallele, con la stessa prua del target e ad una distanza a lui molto prossima: quello del leader perfettamente in coda mentre il mio spostato di qualche grado sulla sua sinistra ma decisamente più “sotto” grazie al “taglio di strada” che avevo autonomamente operato.
Così posizionati, Gianni dichiarò quasi immediatamente il “lock on” ovvero l’antenna del proprio radar di bordo agganciata sul target, mentre il sottoscritto dopo qualche istante riuscì ad ottenere il necessario contatto visivo: le luci di navigazione dello sconosciuto erano finalmente visibili li, davanti a noi, leggermente spostate sulla destra e qualche centinaia di metri più in basso: era fatta, la prima parte della missione aveva avuto esito positivo, non rimaneva ora che avvicinarsi il più possibile per riportare al controllo ogni dettaglio che aiutasse ad identificare l’intruso.
Il ricongiungimento avvenne a breve, ma non senza difficoltà; dopo quindici minuti di volo infatti, il nostro spillone, esaurito il carburante dei serbatoi esterni pari a circa 1000 litri e consumato in parte quello degli interni, era più leggero, quindi anche un pò più manovrabile e ciò consentiva un meno frequente ricorso all’uso della sovralimentazione sino ad allora indispensabile per mantenerlo alla quota assegnata.
Tuttavia la necessità di adeguare la nostra velocità a quella del target, sensibilmente più ridotta ed effettivamente pari a circa punto 76 di mach, allo scopo di volare in formazione stretta e riportare quanto richiesto dal controllo, ci costrinse ad utilizzare i flaps di manovra (T.O. flaps) i quali ci permisero da subito un “handling” assai più efficace a discapito però della resistenza offerta dal velivolo che inevitabilmente ne rallentava l’avanzamento.
Per farla breve, senza post-bruciatore eravamo troppo lenti e ci sfilavamo dall’ intercettato, con il suo utilizzo, ancorché limitato al minimo setting, eravamo troppo veloci per rimanere in ala e ce lo lasciavamo dietro. Come risposta ad una esclamazione di disappunto che mi scappò in frequenza, il mio leader fu categorico:” tu a sinistra, io a destra”, con ciò significando che avrei dovuto mordere l’ala sinistra “dell’intruso” mentre lui avrebbe masticato quella destra: come? Totò avrebbe detto- ARRANGIATEVI, e così feci.
Mediante un forsennato abuso della manetta del gas iniziammo una frenetica danza studiata su una speciale coreografia caratterizzata da brevi e veloci scatti in avanti seguiti da altrettanti repentini arretramenti, così a stretto contatto con lo sconosciuto che nemmeno due ballerini di liscio avrebbero potuto essere tra loro più vicini! Questa tecnica ci consentì innanzitutto di riuscire a distinguere abbastanza chiaramente i contorni della sagoma del velivolo, debolmente illuminati dalle luci di navigazione che lampeggiavano ad intermittenza, e quindi di volargli accanto con sufficiente sicurezza, e poi di acquisire quelle informazioni che da terra attendevano per i rapporti del caso.
Si trattava di un bireattore executive che batteva bandiera yemenita e del quale, grazie ad un faretto che illuminava le insegne della compagnia posto proprio sulla deriva, fummo in grado di leggere anche la famosa matricola trascritta poco più in basso, quasi certamente facilitati nell’operazione da un divino intervento che concesse al momento il più volte supplicato “sguardo delle aquile”; a questo punto, comunicati a terra nome, cognome e ogni altro parametro di volo dell’intruso, ci fu ordinato di scortarlo sino al confine svizzero, sua probabile destinazione, che ormai distava solo poche miglia dall’attuale posizione.
Sensibilmente più rilassato mentre mi accingevo ad allontanarmi da quella scomoda posizione, notai alcuni curiosi particolari cui non avevo fatto caso solo pochi istanti prima, totalmente preso dal controllo della mia cavalcatura e concentrato sulla raccolta dei dati richiesti: ai trasparenti dei finestrini-oblò, illuminati dalle luci interne, si stagliavano scuri i contorni di altrettanti volti di passeggeri, verosimilmente atteggiati ad una espressione di sorpresa piuttosto che di preoccupazione, mentre dal finestrino del posto di pilotaggio si poteva chiaramente distinguere il comandante del velivolo il quale, alternando l’attenzione tra il cruscotto interno e gli accompagnatori esterni, ruotava convulsamente la testa da destra a sinistra e viceversa.
Certo non doveva essere stato piacevole ritrovarsi a fare da companatico tra due caccia armati di tutto punto i quali come draghi che sputano fuoco, anche se non proprio dalle narici come si conviene al più nobile e maestoso dei mostri delle nostre leggende, avevano interrotto, con il bagliore dei loro respiri splendenti nel buio della notte, il riposo dei passeggeri. Più che spiacevolmente sorpreso l’equipaggio, come apprendemmo in seguito, si rivelò del tutto “inc…contrariato” vista la calorosa protesta diplomatica che pervenne alle nostre gerarchie dopo il loro atterraggio in un aeroporto svizzero, ma questa è storia che non ci riguarda.
Mollato lo yemenita proprio sul confine e ricomposta una comoda formazione notturna, Gianni, valutata la quantità di carburante nei nostri serbatoi pari a circa 3000 libbre, residue delle oltre 8000 iniziali, comunicò al controllo un R.T.B. (return to base) immediato, essendo entrambi i velivoli ormai prossimi al bingo, ossia alla riserva minima di combustibile necessaria per un avvicinamento/atterraggio in sicurezza sul campo di partenza.
E così, costantemente sorvegliati dal radar di terra, ci tuffammo in una procedura di penetrazione che, a 300 nodi, flaps estesi ed aerofreno fuori, ci avrebbe portato dagli scomodi 35000 piedi attuali ai previsti 2500 e già allineati con la pista, in una posizione cioè ottimale per proseguire autonomamente “a vista” sino all’atterraggio, oppure ricorrere all’assistenza del G.C.A.(Ground Control Approch) di Cameri per un avvicinamento di precisione (indispensabile in caso di avverse condizione meteo e/o visibilità ridotta).
La discesa, sebbene non così ardita come la salita, fu rapida e confortevole grazie ad un’atmosfera del tutto tranquilla, al termine della quale il leader optò per la seconda delle due possibilità, contattando, dopo aver chiuso il collegamento radio con il controllo tattico, il radar della nostra base.
La formazione a questo punto si divise in due: il primo velivolo, quello del leader mantenne prua e frequenza, mentre il secondo, il mio, fu istruito a cambiare canale radio e ad effettuare una virata a sinistra di 360 gradi per una separazione di circa 4 minuti, utile per consentire all’operatore alla consolle del radar di precisione di ben distinguere le tracce l’una dall’altra e garantire ad entrambe la migliore assistenza.
E così, mentre mi attardavo in una comoda virata a 30 gradi di inclinazione, ad una velocità in progressiva riduzione sino a 260 nodi, limite massimo per l’estrazione del carrello sullo “spillone”, mi concessi qualche attimo di distrazione dalla condotta del velivolo per concentrarmi sulla ricerca di una ragione plausibile atta a giustificare come mai, nonostante il vantaggio inizialmente acquisito grazie agli scarponi da volo mai sfilati , ero stato io declassato a “mangiatore di polvere”, ed in tal modo replicare a tono, o almeno tentare, alla più che certa ironia con la quale il Gianni mi avrebbe accolto una volta a terra.
Nonostante i pochi minuti a disposizione mi attraversarono la mente un paio di simpatiche giustificazioni basate fondamentalmente su una anomalia spazio-temporale, in seguito alla quale, pur essendo decollato per primo, ero “precessionato” secondo, in virtù soprattutto della tempesta magnetica originata dal buco nero nel quale ci eravamo infilati a nostra insaputa.
La voce famigliare di Piero, esperto controllore/radar camerese, mi riscosse da questi stravaganti pensieri e dalla ricerca di una meno strampalata motivazione che rimandai a dopo con un mentalmente convinto “ci penserò a terra”: essa pretese la massima attenzione alle successive istruzioni, ordinandomi innanzi tutto di fermare la virata per una prua di 350 gradi, l’orientamento magnetico della pista, e procedere poi con gli ultimi controlli.
La distanza dall’aeroporto era ormai ridotta ad una decina di miglia e mi stavo avvicinando velocemente al punto di inizio discesa per il successivo e conclusivo touch down; sotto i 260 nodi estrassi il carrello e a 240 i land-flaps (di particolare importanza su questo velivolo dall’aerodinamica estremizzata per la massima penetrazione, poiché consentono di ridurre sensibilmente la velocità di contatto con il suolo altrimenti molto prossima a quella di un proiettile).
Comunicato il “tutto ok a bordo”, l’operatore, dopo aver imposto di non dare più il ricevuto alle sue comunicazioni, iniziò a sparare in rapida sequenza e senza soluzione di continuità una serie di ordini che istante dopo istante mi avrebbero aiutato a condurre e mantenere lo spillone su un ottimale sentiero di discesa sino al contatto finale con la pista; così a 7 miglia e ad una quota di circa 800 metri sul terreno, appruai il velivolo con un rateo a scendere pari a 700 piedi al minuto mantenendo una velocità di 190 nodi, nodo più nodo meno, costantemente accompagnato da un soliloquio in cuffia che all’incirca suonava così: “Inizio discesa ora…..sul sentiero…. Sul sentiero…. A destra 352… sentiero… 10 piedi sotto il sentiero, diminuire l’angolo…. A sinistra 351….. sentiero….. buona la discesa….. sentiero….. ora dieci piedi sopra, incrementare la discesa….. a sinistra 349…. Di nuovo sul sentiero 2 miglia dal contatto…. Sentiero….. destra 350…. Sentiero….. 1 miglio e mezzo dal contatto…. Sentiero …. Ottima la discesa…. Un miglio…. Prossimo alle minime…. Riportare la pista in vista”.
La pista era sicuramente in vista già da un pezzo ed ora anche illuminata dai fari del velivolo; lasciata la frequenza del radar per quella della torre di controllo, venne concessa l’autorizzazione finale all’atterraggio: a pochi metri dal suolo una leggerissima richiamata permise alle ruote del carrello principale di toccare l’asfalto a 160 nodi con la necessaria leggerezza, subito seguite dal contatto del ruotino anteriore.
Solo con il velivolo stabilmente appoggiato sui tre punti ed evidentemente ansioso di riposare di nuovo sotto la famigliare tettoia vista la fretta che dimostrava per raggiungerla, solo allora, dicevo, chiusi completamente manetta del gas, sino a quel momento mai utilizzata al di sotto del 90% del regime massimo, e contemporaneamente azionai la leva del parafreno: il deciso strappo che seguì confermò la regolare fuoriuscita dello stesso, un marchingegno necessario per diminuire sensibilmente la corsa di decelerazione della fremente cavalcatura senza agire eccessivamente sui freni delle ruote principali.
Dopo 45 minuti di volo ero nuovamente a terra, in rullaggio per l’area di parcheggio.
Fermato il velivolo accanto a quello del Gianni, nella piazzola antistante l’hangaretto/ricovero, prima dello spegnimento motore ebbe nuovamente luogo il rituale delle cinque dita e dei relativi controlli allo scopo di verificare ancora una volta lo stato di salute dello “spillone” subito dopo il volo, giusto allo scopo di considerarlo, a rifornimento di carburante avvenuto, nuovamente pronto per un altra missione.
Ad operazioni ultimate il J-79 venne finalmente zittito ed un rilassante silenzio, come dovrebbe essere d’obbligo a quell’ora del mattino, avvolse nuovamente il piazzale e tutto l’aeroporto; non ebbi nemmeno il tempo di slegarmi e scendere dalla scaletta che già il “mancato mangiatore di polvere” si stava avvicinando con passo deciso alla mia postazione, sfoderando un sorriso che si estendeva da un orecchio all’altro e forse anche oltre, come ebbi modo di verificare di sottecchi mentre armeggiavo più del necessario all’interno del mio abitacolo riflettendo freneticamente sul da farsi.
Giunto che fu sotto la cabina del velivolo e prima ancora che potesse proferire parola, con tutta la faccia tosta di cui potevo disporre in quel momento, guardandolo seriamente dall’alto in basso, lo anticipai con un fin troppo lusinghiero “complimenti comandante, bella missione” subito seguito da un “ meno male che sei riuscito ad infilare in tempo gli scarponi…., ancora un pò e sarei stato costretto a precederti all’uscita”; il di lui sorriso si diluì all’istante lasciando il posto ad una espressione compiaciuta e meravigliata allo stesso tempo: “Ma….. perché?….mi hai aspettato?….”
Poi sfoderandolo nuovamente a 32 denti:” non dire ca…..volate!!, ti ho dato la biada!” Pacatamente ma alquanto determinato proferii la mia replica con studiato atteggiamento lievemente risentito mentre scendevo dalla scaletta del velivolo: “ Se ti fa piacere puoi dire così, sappi comunque che non mi permetterei mai di precedere il mio leader in volo se non per serissimi motivi legati alla sicurezza e/o ad una emergenza” a questo punto mi girai verso di lui mostrandogli l’espressione più ingenua e sincera di cui ero capace.
Trascorse un istante più del necessario prima della sua reazione e questo stava a significare che il dubbio era instillato, anche se la manata che mi arrivò sulla spalla, accompagnata da un “ma vaaaaa…” voleva convincermi del contrario. Tanto che ancora oggi, quando ci ritroviamo, la manata è sempre la stessa e il suo saluto inizia con le immancabili parole:” con lo yemenita ti ho fatto vedere i sorci verdi, altro che balle….!!!”
Lancio di un centoquattrista… dal Phantom
di Franco Parascosso
Nel lontano 1971 mi trovavo in forza al 20° Gruppo, nell’aeroporto di Grosseto, in qualità di istruttore di F104. Il 10 Maggio di quell’anno, insieme ad Aureliano fummo inviati, con due velivoli F104, a Gioia del Colle, dove era rischiarato uno squadrone di Phantom americani di stanza a Bitburg.Il nostro compito era quello di volare con decollo in coppia (F104 e Phantom) il giorno 11 maggio, Aureliano con pilota americano sul Phantom ed io col Magg Rowley sull’F104, mentre il giorno dopo si doveva effettuare lo stesso volo ma ad equipaggi invertiti. Lo scopo era quello di confrontare le capacità di salita dei due aerei ,dato che sembra vi fosse un certo interesse per far acquistare il Phantom all’Aeronautica Italiana perché più consono al nostro teatro operativo. Il primo confronto aveva palesato una leggera superiorità dell’F104 nel raggiungimento della quota di 35000ft.
Il 12 Maggio, prendevo posto, come previsto, nell’abitacolo posteriore del Phantom ed in coppia con l’F104 iniziavamo la corsa di decollo verso nord. Guardando nello specchietto retrovisore notavo che dai bordi alari fuorusciva un getto di carburante di cui informavo il pilota Magg Rowley il quale mi rispondeva “non ti preoccupare”(never mind), dal che compresi che stava alleggerendo l’aereo per migliorarne le prestazioni in salita. Raggiunta la quota di 35000ft ad una velocità di circa 220kts l’americano mi dice; ”ora ti faccio vedere come il Phantom manovra bene” ed inizia una virata a sinistra verso l’F104 con a bordo Aureliano che era più basso di circa 2000ft. Di colpo l’aereo stalla verso destra ed inizia ad avvitarsi. All’inizio pensai ad uno scherzo ma quando i giri di vite si susseguirono con accelerazioni negative e positive, testate sul tettuccio (meno male che c’era il casco), mi resi conto che la situazione era molto più seria e quindi mi preparai ad un eventuale lancio afferrando la maniglia di eiezione. Tuttavia, considerando la notevole quota, speravo ci fosse il tempo per uscire da quella situazione. L’estrazione del parafreno con stabilizzazione in picchiata dell’aereo mi sembrò la manovra risolutiva, senonché lo sgancio (forse un po’precipitoso) fece tornare il velivolo nella situazione di vite. Sotto vi era uno strato compatto di nuvole, per cui non avendo la possibilità di valutare la distanza da terra decisi di lanciarmi prima di entrarvi. Lo stesso pensiero credo l’abbia avuto il Magg Rowley perche mi informò di tenermi pronto per l’eiezione (stand by to bail out). Il lancio fu traumatico, con un dolore lancinante alla schiena ed una breve perdita di conoscenza mentre si svolgevano gli automatismi di apertura del paracadute pilota di stabilizzazione e separazione dal seggiolino e quindi il paracadute di caduta. Inizialmente ero un corpo morto, non riuscendo a muovere neppure un dito, per cui, ritenendo di essere sul mare, pensavo che non me la sarei cavata pur essendo un buon nuotatore. Poi con il freddo intenso ed il ghiaccio che mi punzecchiava la faccia (ero entrato nello strato di nuvole, ritengo tra i 20000 e i 15000 ft ), piano piano ripresi il movimento delle mani e dopo un certo tempo anche quello delle braccia. Dopo essere uscito dalle nuvole, con le gambe che non mi reggevano, piombai in un prato ricevendo un’insaccata micidiale. Avevo bisogno di aiuto per rimettermi in piedi ma per quanto chiamassi non c’era nessuno. Dopo qualche tempo mi tornarono le forze e mi avviai lungo un sentiero che conduceva verso un casolare disabitato. Rggiuntolo venivo assalito dal cane di guardia e dovetti ritornare sui miei passi. Nel frattempo gli abitanti del paese, nei pressi del quale era atterrato il pilota americano, e dal quale erano stati avvertiti che vi era un altro pilota, iniziarono uma ricerca nella zona circostante sino a che mi trovarono. In seguito giunse un elicottero da Gioia del Colle che insieme al Magg Rowley ci riportò alla base di Gioia. Dopo le visite mediche il Magg Rowley restò immobilizzato su una sedia a rotelle (forse si era lanciato in G negativi) mentre io avevo perso 2 cm di altezza. Il Phantom era caduto nell’alveo di un ruscello senza creare danni, mentre il tettuccio aveva colpito una conigliera mandando al creatore qualche bestiola.
Ovviamente la vicenda ebbe degli strascichi specialmente per le varie congetture sulle cause di ciò che era successo (si pensava a finti combattimenti aerei con manovre azzardate), ma probabilmente la causa principale era dipesa da un problema che aveva il phantom a bassa velocità .
Dopo qualche giorno intervemme una commissione d’inchiesta composta da personale americano e di cui faceva parte anche il Magg. Leoni del corso Pegaso. Mi raccontò l’incontro tra le autorità comunali e la commissione americana. Il sindaco aveva scelto come interprete una ragazza del posto che parlava un po’ l’inglese, ma con molta difficoltà con i termini aeronautici. Ad un certo punto l’ufficiale americano chiese di visionare il pezzo di tettuccio del Phantom (piece of canopy) custodito dai carabinieri; ora il termine “canopy”, sconosciuto alla ragazza interprete, accoppiato a “piece” (piss), la portò a pensare che l’ufficiale avesse una necessità fisiologica e che volesse usufruire dei locali dei carabinieri. Il sindaco, leggermente risentito, faceva notare che anche il Comune aveva locali idonei a (piss). Alle insistenze dell’americano per andare dai carabinieri si contrapponevano le resistenze del sindaco perché venissero usate le strutture del comune, tanto che per evitare guai diplomatici intervenne Leoni per risolvere l’incomprensione.
di Fabio Consoli
La data non la ricordo con esattezza, ma doveva essere una notte di fine estate od autunnale del 1988. Esisteva ancora l’Unione Sovietica e la contrapposizione tra NATO e Patto di Varsavia era nell’ordine naturale delle cose. La storia si svolge nei cieli del Veneto e del Friuli; i protagonisti sono due “streghe” del 28° Gruppo del 3° Stormo di base a Villafranca di Verona. Era una notte buia e tempestosa, dunque. Il Gruppo era impegnato nell’annuale esercitazione “Display Determination” della NATO, uno degli impegni operativi più importanti per i Gruppi dell’Aeronautica Militare che vi partecipavano; il 28° è “taskato” per una missione di ricognizione notturna da effettuarsi in Friuli: in parole povere, le Streghe devono riportare a casa le fotografie di tre o quattro camion parcheggiati nel poligono di Maniago (allora ancora attivo) usando le macchine all’infrarosso del pod “Orpheus”. La missione viene assegnata a me, giovane tenente, gregario, con più di due anni di esperienza sul 104G, ed al mio amico Daniele (il nome è di fantasia), capo-coppia, giovane capitano di notevole esperienza, ma transitato sul 104 da relativamente poco tempo, proveniente da un reparto caccia-bombardiere dotato di G-91Y. Una premessa importante da fare è questa: in quegli anni era autorizzato un solo percorso di bassa quota notturna; il mio Gruppo di notte e a bassa quota volava sempre e solo quella rotta. Diamine, la conoscevo a memoria! Questa missione, inoltre, andava verso ovest, fino a Fossano, in Piemonte (dove probabilmente abbiamo raccolto una serie infinita di maledizioni da parte della popolazione locale) per poi tornare verso est sorvolando Lombardia ed Emilia. Insomma, noi non avevamo visto molta Italia di notte e a bassa quota! Daniele ed io ci guardiamo negli occhi e pensiamo la stessa cosa: “Fabio” mi dice “andiamo a pianificare per bene questa missione!”. L’ora e mezza successiva fu impiegata nella preparazione della missione: ricordo perfettamente che pianificammo una bassa quota tutta in pianura, con parecchi “waypoints” facilmente identificabili al radar. In pratica, dopo il decollo da Villa, avremmo virato verso sud per riportare i ponti di Borgoforte (uscita standard VFR); poi prua verso est, seguendo praticamente il corso del Po fino alle sue foci, nord-est verso la laguna di Marano ed, infine, prua nord per passare sulle coordinate del target seguendo il fiume Tagliamento. Calcoliamo, inoltre, l’orario di decollo per fare il TOT (Time On Target), la quota di sorvolo e la distanza da mantenere tra gli elementi della formazione in modo da garantire una copertura adeguata dell’area del target con le nostre macchine all’infrarosso. Quando tutto è pronto, passiamo il nostro piano di volo e cominciamo a fare il briefing per la missione. Ad un tratto… il disastro! Qualcuno entra in sala navigazione e ci “molla la bomba”: “Hanno chiamato dal Venda (allora sul Montevenda, nel padovano, era situato uno dei centri di comando e controllo dell’Aeronautica Militare) ed hanno detto che non siamo autorizzati a volare basse quote notturne differenti da quella autorizzata! Dovrete riportare sul TACAN di Istrana, da lì scendere lungo una radiale a vostra scelta per riportare un IP (Initial Point) a bassa quota, fare il TGT (Target) e poi tornare per la stessa strada”. …e mancano tre quarti d’ora al decollo! “Che manfrina! Che razza di addestramento è questo?!? Come se in caso reale si potesse operare in questo modo!” I nostri commenti, potete facilmente immaginare, sono di questo tipo (…e pure peggiori). Comunque: “comandi, sissignore!”; Arcangelo ed io ci “fiondiamo” in sala navigazione per buttare via tutto il nostro lavoro e tirare le quattro linee che ci servono: riporteremo la verticale del TACAN di Istrana e poi scenderemo lungo la radiale che ci porterà sulla città di Pordenone che sarà il nostro IP, poi prua verso est per riportare a sud di Aviano e, quindi, il poligono di Maniago dove è situato il nostro obiettivo. Per fortuna la parte relativa al sorvolo del TGT rimane pressoché invariata e così, dopo soli quindici frenetici minuti, siamo pronti ad avviarci, ancora bestemmiando, verso lo spogliatoio e la sala caschi del Gruppo. Bardati di tutto punto ci avviamo verso la linea volo dove ci attendono i nostri due “spilloni” in configurazione “tip + pod”. Piove, il “ceiling” è tra i 1.000 ed i 1.500 ft, ma almeno la visibilità è decente. Messa in moto e “cinque dita” vengono svolte regolarmente e con la velocità di un vero “combat ready”, così Arcangelo ed io ci presentiamo all’orario previsto per un decollo in coppia. Così, in quella notte buia e piovosa, i nostri fedeli amici “retaioli” vedono passare sopra le loro teste due stelle comete, accompagnate da un rombo assordante, che annunciano che le Streghe sono di nuovo all’opera. Sbuchiamo “on top” (il termine indica il fatto di essere appena sopra uno strato di nuvole) a circa 8.000 ft e ci accorgiamo che la pianura padana è tutta un biancore di nuvole basse, mentre sopra splendono le stelle. Sotto il controllo di Garda radar riportiamo la verticale del TACAN di Istrana e cominciamo la nostra discesa lungo la radiale pianificata; io sono in coppia lungo tutta la discesa in IMC (condizione metereologica strumentale), sul lato destro del 104 di Daniele, il lato preferito di tutti i gregari, perché consente una posizione più comoda al corpo: la testa che guarda verso sinistra, la mano sinistra sulla manetta motore e la destra che, con piccoli movimenti, controlla gli spostamenti del mio 104 a non più di qualche metro dalla tip del mio leader. Finalmente, un chiarore sotto di noi! Il tempo è quello previsto (sulla verticale di Istrana abbiamo fatto scattare i nostri contasecondi), e dopo qualche secondo sbuchiamo sulla verticale di una città che, ovviamente, deve essere Pordenone. Daniele prende la prua calcolata per il target accelerando contemporaneamente a 420 nodi mentre io prendo posizione, sempre sulla sua destra, sfilandomi un po’ ed allargandomi fino ad intravedere appena le luci di posizione del mio “leader”. Faccio partire il contasecondi per quelli che saranno forse i tre minuti più lunghi della mia vita. Mi accorgo subito che c’è qualcosa che non va…: sulla nostra destra un gran buio, neanche una luce; ho l’impressione di essere molto vicino alle montagne, ma… non può essere! L’IP l’abbiamo sorvolato, la prua è giusta… e allora? “Daniele”, dico alla radio, “secondo me siamo molto a nord della rotta!”. Lui, preso dalla navigazione notturna a 500 piedi non risponde. Allora sintonizzo il TACAN di Aviano: la nostra rotta ci dovrà portare a sud del TACAN per cui vedrò la lancetta del mio strumento “sfilarmi” a sinistra. Canale 111 inserito sul pannello di controllo del TACAN ed ecco la lancetta che indica la radioassistenza indicare quasi in prua. Per fare ciò ho dovuto guardare in basso, sulla consolle destra, e quando cerco il mio “leader” sulla mia sinistra faccio molta fatica a vederlo. La navigazione continua, preparo il pod “Orpheus”, mentre cerco di tenere in vista le luci di posizione del 104 di Daniele: il disagio non mi lascia, anzi aumenta, e mi ritrovo sempre più lontano ed alto rispetto alla posizione che dovrei mantenere. Ed il TACAN di Aviano? Maledizione! Per non perdere di vista il “leader” non sono riuscito a vedere da che parte è “caduta” la lancetta! Eccola lì, ora, beffardamente in “coda”. Ormai il disagio è diventato quasi premonizione certa di un disastro incombente. Sotto il casco, i miei capelli sono letteralmente dritti sulla nuca e mi aspetto di vedere, da un momento all’altro, il 104 di Daniele dissolversi in una palla di fuoco… e non so il perché! “Daniele”, quasi grido in frequenza, “vieni via da lì!”. Ma il tempo per il target è ormai scaduto: ancora qualche secondo di terrore, poi il 104 del mio “leader” comincia la più bella ed attesa virata a destra della mia vita. Perfino il fatto che ci perdiamo di vista prima di ricongiungersi e che ci dobbiamo ritrovare “on top” (un fatto normalmente non esattamente rilassante) mi lascia del tutto indifferente, tanto sono felice di allontanarmi dal “grande buio” che fino a qualche attimo prima sembrava voler inghiottirci entrambi. Il rientro a casa è “routine”, ma quando ci ritroviamo in sala equipaggiamento io sono ridotto ad uno straccio. Ci precipitiamo insieme nella sala dei fotointerpreti dove con l’amico maresciallo fotointerprete cominciamo ad esaminare la “strisciata” all’infrarosso per trovare il nostro target e trasmettere il rapporto di missione. Ma dei camion nessuna traccia! Alla fine riusciamo ad individuare una ferrovia sulla “strisciata” di Daniele che riconosciamo, confrontandola con una carta di navigazione, come la ferrovia pedemontana che passa a NORD di Aviano, praticamente ai piedi dei primi contrafforti delle Alpi. Insomma, Daniele è passato parallelamente alle Alpi a non più di 1.000 piedi (300 metri) dal fianco delle montagne! Pallidi come la morte per il rischio corso (ancora oggi non posso fare a meno di pensare che se mi fossi trovato per qualsiasi motivo sulla sinistra di Daniele sarei sicuramente morto quella notte) andiamo dal maggiore “nonno” del Gruppo per raccontare la nostra avventura e per cercare di capire cosa fosse successo: infatti, se anche avevamo capito cosa fosse successo, ancora rimaneva da capirne il perché . Il “nonno” ascolta la storia, guarda la nostra pianificazione e capisce istantaneamente cosa era avvenuto. In pratica, tutto era stato causato dall’uso di una carta geografica non aggiornata! Un tempo, il TACAN di Istrana era situato a parecchie miglia dall’aeroporto, sul prolungamento dell’asse dalla pista. In seguito, esso era stato portato sul sedime aeroportuale, qualche miglio più a nord-ovest, ed erano state pubblicate delle nuove carte geografiche di navigazione. Purtroppo, esistevano ancora molte delle vecchie carte in circolazione che venivano regolarmente usate per pianificare le basse quote. Così, scendendo lungo la radiale dal TACAN di Istrana, noi, in realtà ci trovavamo già parecchie miglia a nord della rotta tracciata sulle nostre cartine; in più, perfettamente al tempo calcolato, siamo sbucati sotto le nubi su una città che non era Pordenone, bensì Sacile (ben più a nord). La scarsa visibilità e la nostra familiarità praticamente nulla con quei luoghi di notte hanno completato l’inganno. Inutile dire che, dopo quella notte, tutte le cartine non aggiornate vennero eliminate! Una combinazione quasi fatale di errori umani, fretta ed improvvisazione, condimeteo, sfortuna e, come piace dire a me, “nozze con i fichi secchi” portò Daniele e me a rischiare seriamente la vita quella notte buia e tempestosa. Ma ho imparato una cosa importantissima per un pilota: se l’istinto ti urla che c’è qualcosa di sbagliato in quello che stai facendo, be’… dagli ascolto… perché probabilmente ha ragione.
Finalmente in volo con l’F104 … e il sogno diventa realtà.
di Giulio Mainini
“È facile togliere un pilota dall’abitacolo di un F104 ma è impossibile togliere un F104 dal cuore di un pilota”. Credo che nessun’altra affermazione possa esprimere con così grande efficacia l’intensità del sentimento che unisce indissolubilmente un pilota al suo “Starfighter”, il Cacciatore di Stelle, ovvero il velivolo da caccia che per tanti anni ha rappresentato la massima espressione operativa dell’Aeronautica Militare Italiana.
E quando si tratta di parlare di sentimenti si è sempre volutamente cauti ed anche un po’ restii. Comunicare un’emozione, si sa, è molto difficile; si corre il rischio di risultare sdolcinati, di essere banali, e di finire — per così dire – fuori traccia. Ma è un rischio che ho deciso di correre, per rendere onore — attraverso questa mia testimonianza – a questo indimenticato e indimenticabile compagno di avventura, nel cui abitacolo, per tante volte, o meglio, per tante ore, ho solcato i cieli d’Italia e di mezza Europa. Glielo devo, soprattutto, perché volare con “il 104” per me ha significato realizzare il sogno di quand’ero bambino, di quando desideravo ardentemente diventare un “Aviatore”, come soleva dirsi in quegli anni.
Ero davvero piccolo, non andavo ancora a scuola, e il mio gioco preferito era pilotare una sedia, e per farlo indossavo un caschetto di pelle e un vecchio giaccone di pelle nera da motociclista, appartenuto a mio nonno, molto simile a quello indossato qualche anno più tardi da Alberto Sordi nel film “Il Vigile”. Ripensando a quei momenti dovevo essere notevolmente buffo, eppure, calandomi in quella rudimentale e improvvisata tuta da volo, come per magia, mi sentivo veramente un “aviatore”: gli strumenti immaginari improvvisamente si animavano e cominciava il mio volo negli sterminati confini della fantasia.
Ricordo benissimo, poi, il primo “vero” volo dall’aeroporto di Cameri compiuto all’età di tre anni su un velivolo FL3, completamente scoperto e di colore giallo paglierino. Ero tra le braccia di mio padre e devo confessare che non capii molto di ciò che mi stava accadendo; ricordo solo l’aria sul viso, la nausea dopo qualche virata un po’ troppo stretta, e una camomilla dopo l’atterraggio per riprendere colore. Non fu per niente una bella sensazione e i miei sogni di diventare aviatore stavano per infrangersi ancor prima di cominciare.
Per fortuna i voli a bordo del mio aereo immaginario continuavano a essere ogni volta unici ed entusiasmanti, e spesso coinvolgevo anche mia sorella, sistemandola su un’altra sedia in tandem. Evidentemente il mio latente DNA di aquila non si era lasciato spaventare da quella prematura esperienza e, nelle belle giornate, vedere gli aerei in atterraggio verso Malpensa mi affascinava e mi faceva sognare.
Passano gli anni e questo desiderio di diventare un aviatore non mi abbandona, benché non avessi la minima idea di come si potesse diventare un vero pilota, né m’interessassi di riviste di aviazione o costruissi modellini di aerei, come facevano alcuni miei coetanei. Ma ciò che non avrei mai immaginato era che, per diventare piloti, bisognasse divenire innanzitutto militari e superare la severa selezione all’Accademia Aeronautica di Pozzuoli, a quasi mille chilometri da casa, così lontano dai miei affetti!
Superati gli inevitabili dubbi e le immancabili perplessità dei miei familiari decido di rispondere al bando dell’Accademia. II concorso è tutta una scoperta. Siamo nel 1954 e non potrò mai dimenticare quel giorno del mese di luglio, quando indossando uno spigato siberiano – l’abito per le occasioni importanti – giunsi a Napoli: prima le visite mediche, poi test e colloqui: con incredulità supero tutto, comprese le prove finali d’italiano e di matematica.
Senza avere ancora notizie sull’esito della selezione faccio ritorno alla vita normale, e quando l’avventura napoletana sembra ormai solo un deludente ricordo, ecco che in ottobre un telegramma mi annuncia il superamento del concorso e l’agognata ammissione ai corsi regolari dell’Accademia Aeronautica.
Tanta felicità per essere riuscito in tale impresa, ma allo stesso tempo nuovi dubbi e incertezze per una scelta di vita di cui ignoravo ogni aspetto e dettaglio; ma sostenuto dall’entusiasmo e, soprattutto, dal mio DNA, mi presentavo in Accademia il 5 novembre per dare inizio alla mia meravigliosa avventura in azzurro.
Il primo contatto con il volo è con un P148, in Sardegna, con indosso una combinazione da volo forse ancor più buffa di quella dei miei voli immaginari: una vecchia tuta blu imbottita con colletto di castorino. Poi una visita all’aeroporto militare di Grazzanise, e qui, per la prima volta, l’incontro con il mitico F104G, a quei tempi una macchina avveniristica (non eravamo ancora andati sulla luna!); una foto per catturare quel momento incredibile mentre mi appoggio sull’ala che sembra un vero e proprio rasoio; guardo al suo interno: “No, non potrò mai pilotare un avione cosi!”. Ma è in quell’istante che rimango come folgorato dalla visione di quell’aereo, del quale sarei rimasto innamorato per sempre. Un velivolo straordinario che in un minuto ti può portare fino a 12.000 metri di altezza, che raggiunge la velocità doppia del suono; roba da non credere. Un mezzo per pochi eletti, che concede i suoi comandi solo a quei piloti che hanno già acquisito un’elevata esperienza su altri velivoli da caccia della cosiddetta “Serie 80”, cioè le diverse versioni dell’F84 e F86.
Non avevo più dubbi, finita l’Accademia io volevo, dovevo andare su quel velivolo, e la fortuna è stata dalla mia parte; furono scelti solo sei Sottotenenti, appena nominati piloti militari, per il passaggio su questa mirabile macchina, dopo un breve corso pre-operativo e una campagna di tiri reali. Io ero uno dei prescelti! Era il 1967 e il mio sogno cominciava a divenire realtà.
Ma la realtà non è mai come te la aspetti: il primo volo con lo “spillone” fu sì esaltante, ma al tempo stesso veramente traumatico. Ero stato sorteggiato per un volo premio con l’allora Capitano Ghisoni, pilota eccezionale e presentatore del velivolo, in altre parole uno dei pochi piloti dell’Aeronautica Militare con grande esperienza sull’F104. Non si trattava quindi di un normale volo addestrativo, bensì di una missione il cui scopo era quello di far vedere le prestazioni dell’aereo in volo: venti minuti tra accelerazioni, inserimento del post bruciatore e manovre al limite delle prestazioni.
Sceso di nuovo a terra, subito raccontai ai miei colleghi un po’ invidiosi le sensazioni “fisiche” di quel volo incredibile che, sebbene emozionante, mi aveva, tuttavia, spaventato: cominciai a chiedermi se sarei mai stato capace di domare un simile cavallo di razza.
Poche settimane più tardi ha finalmente inizio l’addestramento e, con mia grande sorpresa – volo dopo volo – comincio a “sentire” sempre più l’avione come un vestito cucito addosso, della mia precisa misura. Tutto era perfetto, tutto andava secondo il rateo di addestramento, in altre parole mi sentivo parte integrante del velivolo, un tutt’uno con ogni suo pezzo.
Negli anni successivi ho volato con sempre crescente intensità, ed essendo a Cameri avevo la fortuna di compiere molti dei voli prova cui erano sottoposti gli F104 degli altri stormi che terminavano le ispezioni presso il locale Reparto di Manutenzione Velivoli. Si trattava di voli più impegnativi, durante i quali bisognava condurre la macchina alle massime prestazioni, trascrivere i dati, controllare tutti i manometri, verificare la bontà degli strumenti, certificarne il comportamento in volo. Tutto questo mi consentiva di accrescere la mia esperienza e divenire sempre più sicuro.
lo e lo “spillone” eravamo sempre più amici, sempre più innamorati l’uno dell’altro, sempre più in sintonia; in ogni volo c’era sempre qualcosa di nuovo. Non potevo immaginare un giorno senza il contatto fisico con la sua cloche, con i suoi interruttori, con i suoi tipici odori, e il suo inconfondibile ruggito.
Ormai sapevo tutto di lui, ne avevo studiato scrupolosamente i manuali, memorizzato ogni parametro, sapevo prevedere ogni sua reazione alle manovre più brusche, e confesso che qualche volta, pur agendo in sicurezza, cercavo di superarne i limiti, di atterrare con sempre meno carburante, di condurlo in tutti gli assetti, e tutto questo accresceva il mio amore per lo spillone.
Quante volte ci parlavamo, io ed il mio F104. Quante volte – non mi vergogno ad ammetterlo – gli sussurravo:
” Ehi, non mi fregare proprio adesso! Dobbiamo passare in coda in combattimento”;
“intercettiamo quel velivolo sconosciuto il prima possibile”;
“portami a casa in questa notte di temporali!”
“mostriamo cosa sappiamo fare insieme sul cielo campo; noi due, con l’insegna della tigre sulla coda, siamo i più bravi”.
È proprio cosi, quando si solcano i cieli, è normale, quasi naturale, ritrovarsi a dialogare con il tuo aereo; ed egli ti risponde con il suo cuore, con il motore che replica prontamente a ogni tuo comando, con gli strumenti che ti segnalano ogni suo stato d’animo, con i suoi lamenti quando lo costringi a manovre che sfidano le leggi della meccanica del volo, quando si rifiuta di “chiudere una manovra” solo per tutelarti, per non metterti in pericolo, perché ti vuole bene; questo è il rispetto reciproco tra due amici sinceri, legati da un amore profondo e leale.
Gli anni d’intensa attività operativa presso i reparti di volo sono ormai passati, ma l’amore per il mio F104 non è mai mutato.
Ricordo con emozione il mio ultimo volo sullo spillone, poco prima che fosse definitivamente radiato dalla forza armata. Era il mese di gennaio del 2002, ed ero Comandante della prima Regione Aerea a Milano. Riuscii a organizzare un volo su uno degli ultimi esemplari biposto ancora operante a Grosseto, sede del 4° Stormo.
Posso assicurare che, mentre mi avvicinavo al velivolo, silenzioso e maestoso come sempre sul piazzale della linea di volo, sentivo che mi sussurrava: “Eccoti, sei tornato a trovarmi. Come vedi, nonostante l’età non sono cambiato, e sono sempre pronto per accompagnarti nei cieli azzurri; il mio spirito è sempre giovane, e il tuo?”. Ed io: “No, nemmeno io sono cambiato, forse un po’ meno allenato ma, appena ti accarezzo, le mani cominciano a muoversi da sole sugli interruttori, con sicurezza e precisione, e mi accorgo che non è cambiato nulla, tu sei e resterai per sempre il mio primo e unico amore!
In tanti ti hanno trattato male, compresa una certa stampa che ti ha attribuito marchi infamanti, sottoponendoti a processi mediatici nei quali non hai avuto voce per difenderti. Non ti preoccupare, sii superiore, è gente che non ti conosce, che non ti vuole bene. Sei stato l’amante di generazioni di piloti, hai insegnato loro cosa significano amicizia e rispetto. Non sei cambiato negli anni, hai solcato i cieli di mezzo mondo, con le livree delle aeronautiche più importanti, hai saputo entusiasmare l’uomo della strada che vedendoti sfrecciare ha sognato di poterlo fare un giorno insieme con te, di osservare il mondo che scorre alla velocità del suono e di sentire il sapore della libertà.
Caro vecchio F104, hai ruggito per circa cinquant’anni, e chi ti conosce sa che, anche nei momenti più difficili, come gli interminabili secondi di un’emergenza oppure le insidie di un improvviso temporale, hai saputo tranquillizzare il tuo pilota: “tra poco saremo a casa, forse tu un po’ sudato, io invece con un po’ sporco per le perdite d’olio, ma ci ritroveremo a brindare, io con una tanica di cherosene e tu con un bicchiere di buon vino; domani poi saremo di nuovo in volo per un’altra missione nell’azzurro cielo”.
Mio caro vecchio F104, a te che hai saputo trasformare il mio sogno di bambino in un’entusiasmante realtà dedico questa frase che mi è sempre stata particolarmente a cuore: “Sei l’unico veicolo veramente maschio!”.
Un aliante supersonico…
di Roberto Sardo
Ci sono aerei che hanno la fama di essere dei “padri di famiglia”, ci sono aerei che, per qualche motivo, nella loro vita, vengono indicati con nomignoli che non ne rendono assolutamente merito, ne’ idea delle reali caratteristiche possedute.
All’F.104 è toccato quello di “bara volante” o “ fabbrica di vedove”. Con i suoi 6 metri di apertura alare ed i 17 di lunghezza, ricorda molto più un missile che un velivolo. Eppure, con la sua coda rialzata, con il naso appuntito, con la capottina e le prese d’aria perfettamente carenate, ha un suo fascino accattivante, frutto di un disegno sapiente ed aggressivo…
Al decollo, poi, non può non attirare l’attenzione, con il post-bruciatore che lascia dietro la coda una lingua di fuoco di una decina di metri ed il boato del tuono in una valle… Lasciato andare sull’onda della sua potenza, con le sue ali dal bordo aguzzo supera agevolmente il muro del suono a bassa quota e doppia la stessa velocità ad alta quota. Questo aereo è stato il sogno di varie generazioni di piloti, ed oggetto di venerazione ed amaro rimpianto in chi lo ha lasciato. Ma è stato anche la tomba di chi non lo ha rispettato, o ha avuto la sfortuna di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato…
Sto parlando di un cavallo di razza purosangue, il “centoquattro”, disegnato da un maestro che ha scritto la storia dell’aviazione: Clarence “Kelly” Johnson.
Il mio racconto non tratta eroi, cavalieri alati, assi del combattimento. Descrive una delle più grosse paure della mia vita, forse uno dei rischi più grossi che abbia avuto modo di correre nei miei anni di volo. Questa avventura l’ho condivisa viso a viso con un F-104 che, pur essendo stato fatale per alcuni carissimi amici, ho sempre considerato come un “padre di famiglia”. Esigente, intransigente, severo, ma sempre un padre di famiglia…
Se posso raccontare questa storia, lo devo anche ai miei istruttori di Grosseto, tra cui ricordo Stoppoloni, Draghi, Stella, Lorenzetti, Cavicchi, Caroli, Raineri, Venier, Marsilli, ed al maresciallo Cerboni, che al simulatore ci creava le situazioni più spaventose… ripetendole fino a quando non imparavamo a risolverle in tutta sicurezza… Un po’ lo devo alla mia buona stella, un po’ al mio modo talvolta un po’ “anticonformista” di volare, cercando di prevedere situazioni intricate e studiandole prima a terra sul manuale e poi in volo… In questo, un ultimo grazie lo devo ai miei “tutor” di Gruppo, il “nonno” Folchi ed il “nonno” Collenz in testa a tutti.
Marzo 1985. Il volo era iniziato dalla consueta pianificazione. Tenente Pilota del 3° Stormo Caccia Ricognitori Ognitempo (CRO) di Villafranca, oramai ero nella fase avanzata dell’addestramento, e gli obiettivi da ricognire con le nostre macchine fotografiche si trovavano a centinaia di miglia di distanza da casa. Mi erano stati assegnati un ponte ferroviario ed un incrocio strada/ferrovia, tra Pescara e Vasto. Lo studio della missione comprendeva le prestazioni del velivolo, i consumi, la rotta da seguire, le quote di emergenza, i tempi parziali di ogni braccio e totali del volo. Poi, ancora, direzione di attacco, tipo di macchine fotografiche da usare, angolo del sole per la luce, punto di inizio e fine scatto per non sprecare pellicola, ne’ lasciare buchi nella “strisciata”… Tutte queste considerazioni venivano raccolte nel “folder”, o pianetto di volo, che trovava posto nel cosciale. Poi, prima di andare al velivolo, studio dell’ultima situazione meteo, in rotta e sull’obbiettivo, zone con divieti di sorvolo (NOTAM) e rotte di scampo per eventuali meteo avverse e spazi aerei da evitare… Poi le previsioni meteo al rientro (TAF), gli eventuali aeroporti alternati (Aviano, Istrana, Ghedi, Rimini etc.) ed il relativo carburante minimo per la diversione (BINGO). Un ultimo controllo alla SOR (Sala Operativa di Reparto) per vedere se l’aereo era pronto, rifornito e “prevolato”, dove era parcheggiato, se la configurazione era quella prevista e se i fotografi avevano caricato le pellicole… Infine, controllo dell’equipaggiamento, giubbotto “Secumar”, anti-G e “Giarrettiere”, razzetti da segnalazione, casco, maschera, guanti, cosciale, Folder, Cassettina SSU-6 con i punti di virata memorizzati, Meteo ed aeroporto alternato, JOKER e “BINGO”… Tutto era a posto, ed ero riuscito anche a rimediare un passaggio al velivolo con la fumosa Campagnola dal cambio gracidante, schiacciato sotto il peso di tutto l’armamentario, con casco, cosciale, tubo della tuta anti-G, fune battellino e cartine che pendevano da tutte le parti. Arrivato all’aereo, dopo aver guardato l’assetto “sulle zampe”, per valutare ad occhio, già da lontano, lo stato degli ammortizzatori ed il rifornimento, venni accolto dal familiare rombo cupo e sommesso del compressore ATLAS e dal ronzare sonoro del “carrellone” elettrico. Avvicinandosi, si poteva avvertire nelle narici il “profumo” tipico del Centoquattro, un misto di JP4, olio idraulico e… ??? Avvicinarsi al proprio velivolo è sempre un rito speciale per tutti i piloti, un misto di adrenalina, impazienza, attenzione elevata agli estremi, ripasso di una vertigine di numeri che riepilogano tutta la missione… ma soprattutto attesa adorante per il miracolo del volo che sta per ripetersi… Come sempre, sistemai le mie cose a bordo, seguendo l’ordine con cui mi sarebbero poi servite. Quindi controllo libretto della manutenzione, giro esterno per ricontrollare minuziosamente ogni particolare del velivolo, firma del libretto e scalata al cockpit, in cima alla scaletta. Entrare nel 104 non ha mai creato problemi, ma sistemarsi dentro era tutta un’altra cosa.. Cosciale e cartine andavano sotto il parabrezza, in attesa di trovare il loro posto, mentre il casco veniva appoggiato a cavallo dell’arco del parabrezza o nella concavità del tettuccio aperto. Poi le cinghie blu di retrazione delle gambe, attraverso le giarrettiere alla caviglia e dietro il ginocchio. Quindi il battellino di salvataggio, la radiolina di emergenza, le cinghie ventrali e le spalliere. Qui lo specialista provvedeva ad aggiustare le fibbie, tirando la parte posteriore delle cinture color bronzo, dietro le spalle. Poi casco, tubo ossigeno da infilare nel connettore e cavetto radio. A questo punto le ultime cose venivano sistemate, cosciale, cartine, tabelle varie… I guanti venivano per ultimi, dato che normalmente venivano posati sotto il parabrezza poichè avrebbero ostacolato la presa sui connettori. Pronto alla messa in moto, la mano destra alzata veniva fatta roteare con l’indice al cielo, per segnalare l’avviamento del motore… Compressore Atlas al massimo, urlante da far paura, il tubo corrugato grigio e nero che si gonfia allo spasimo, interruttore starter alzato (N.1 o N.2 a seconda del giorno pari o dispari), giri in aumento in un crescendo di frequenze acustiche, manetta su “Idle”, guizzo della temperatura del getto (EGT) nei limiti, pressione olio in aumento, …10, 20, 30, 40%, Starter stop, via l’aria, RPM 67%… A questo punto il cruscotto prendeva vita.. spie e luci si accendevano, indicatori ed aghi iniziavano ad oscillare, monitorizzando lo stato dei vari impianti… Subito veniva accesa la piattaforma inerziale, che aveva un tempo lungo di allineamento, ed in sequenza venivano accesi gli impianti radio, sia di comunicazione che di navigazione ed il radar su St.By. A seguire iniziava la sequenza dei controlli incrociati, secondo il codice convenzionale delle “Cinque dita”, “danzato” a gesti tra pilota ed i due specialisti a terra, uno davanti ed uno dietro l’aereo… Un dito, aerofreni, 2 dita, comandi di volo, 3 trim, 4 dampers, 5 impianto APC di controllo dell’assetto, con intervento dello shaker e del kicker sulla cloche, 6 (col pugno chiuso) Nozzle. La maniglia rossa del comando di emergenza bypassava il normale controllo dei flabelli dello scarico, azionati da un circuito che utilizzava l’olio lubrificante del motore, causandone la chiusura meccanica. Il controllo dei flabelli (nozzle) era molto importante perché la loro modulazione manteneva sempre un rapporto ottimale tra pressione dei gas e temperatura della turbina, a tutti i regimi di funzionamento. Un’avaria a questo impianto avrebbe determinato la perdita quasi totale della spinta e la capacità di restare in volo… Piattaforma allineata e lampeggiante, selettore su “Nav”, chiamata radio, tettuccio chiuso, leva gialla tutta avanti, spia canopy spenta e… pronti a rullare…! Uno sguardo intorno, il capo velivolo in piedi di fronte, con le braccia alzate, via i freni, dito anulare sul pulsante dello steering, motore fino all’urlo del Gigante e… lo “SPILLONE”, carico al massimo peso di 27.000 libbre, con serbatoi di estremità (Tip), subalari (Pylon) e Pod fotografico al centro, prende vita e si muove dondolando. Una decisa sterzata con la pedaliera ed il bravo destriero curva di novanta gradi verso il raccordo di rullaggio. Un saluto plateale con la mano tesa, davanti al casco, per lo specialista, che risponde, impettito, orgoglioso della sua creatura pronta a spiccare il volo.
Un veloce contatto radio con la torre, è pronta la “clearance” di uscita, Borgoforte 1000′, finisco la mia sequenza di controlli, come l’Ave Maria: Tanks, WingFlaps, InertiaReels, SpeedBrakes, Spurs, SeatBelts, Canopy, Oxygen, Radios, EjectionPins, AntiSkid, Defrost… Prima di entrare in pista si avvicinano gli armieri per un ultimo controllo delle “spine” di sicurezza. Pollice teso in alto, tutto libero! Radar-Altimetro acceso, Pronti all’allineamento, “Villa Tower, 103Alpha, Pins, Canopy, Swivel, line up”. Un ultimo veloce controllo alla sicura del seggiolino ed alla spia del tettuccio. In pista, l’adrenalina sale, un cabra-picchia a fondo corsa, per controllare la corretta posizione dei trim, guardando lo stabilizzatore allo specchietto. Spia Stab verde (con il trim fuori posto non e’ garantita la rotazione ed il distacco…), freni, prova motore. Contasecondi, manetta a “military”, regolare accelerazione e temperatura. La fusoliera vibra, il contagiri passa rapidamente attraverso l’83%, il regime dell’ululato, il naso si abbassa sotto la spinta rabbiosa della turbina al 100%. Lentamente indietro fino all’80%, poi ancora avanti, niente “stalli”, 100%, 690°, nozzle tra 1 e 3,5, olio come da “placard”, la Torre autorizza, Luci, Pitot, contasecondi, via i freni, manetta oltre il “detent” laterale e tutta avanti. Primo calcio nel sedere, la temperatura ha un guizzo, le nozzle si aprono oltre 7, secondo calcio, nozzle a 9,5, un rombo sordo avvolge la fusoliera, il naso si alza, la pista inizia a scorrere prima pigra, poi via via sempre più sfocata nella velocità… 100kts, via il dito dallo steering, arriva il tabellone di controllo, una X bianca su fondo nero, 135 Nodi, in aumento, spinta costante. Ripeto mentalmente la procedura di aborto, Idle, Stores Jettison, Hook, DragChute, Brakes… Un’occhiata fugace agli strumenti motore, inchiodati ai valori massimi. 150 nodi, 180.. Ora tutto fugge intorno e, come sempre in questa configurazione “pesante”, inizio a vedere le luci di fondo pista che mi corrono incontro, la velocità “di rifiuto” per abortire il decollo è già passata da un pezzo. 200, 205, inizio a tirare la cloche, il naso si alza, ma il velivolo resta piantato sulle ruote principali… 214, ancora una leggera pressione indietro e la terra sprofonda sotto la pancia. Passa la rete di recinzione in un baleno, il pollice sinistro spinge avanti il fermo, mentre le altre dita avvolgono e tirano su la leva del carrello, luci verdi spente, maniglia spenta, cessa il ronzio acuto della ventilazione del radar, assetto piatto, inutile forzarlo a salire, in questa fase. A pieno carico, il ‘104 è come una locomotiva lanciata a folle velocità. Ti rendi conto che non potresti più arrestarlo, né puoi forzarlo a guadagnare quota, se Lui non lo vuole. Accelerazione costante, prua di uscita 245°, indietro la manetta, “detent”, scatto, e potenza “Military”. 350 Nodi, infilo due dita sotto la guardiola di plastica, piccolo scatto indietro per sbloccare la leva e i flaps vanno su, livellamento a 1000 piedi, la Torre mi dà l’orario di decollo ed il cambio di frequenza radio. 420Kts, 0,64 di Mach, circa 7 miglia al minuto, stabilizzo la potenza per mantenere la velocità. Controllo prua e tempi di volo, canale 17 e chiamo l’Approach, intanto arriva il Mincio, Goito, virata a sinistra, 165° verso Borgoforte. Inserisco il travaso dei “Pylon” e controllo che le indicazioni confermino il regolare travaso del carburante verso i serbatoi di fusoliera. La navigazione procede senza storia, di punto in punto, di chiamata radio in chiamata radio. Check points, correzioni di rotta ed aggiustamenti di velocità per mantenere i tempi nei limiti e non accumulare errori. Prima del punto iniziale per la “corsa fotografica” accendo le macchine, accelero a 0,80 di Mach (640Kts), attendo che le tendine di protezione si aprano, segnalate da spie verdi, scatto una “strisciata” di prova. Carburante come da pianificazione, ecco il punto iniziale, mi allineo, subito prua e contasecondi per l’obiettivo. La terra ora fugge velocissima sotto, velocità, prua, contasecondi… cerco dettagli, confronto carta e terreno, lo sguardo corre avanti, dove mi aspetto di vedere l’obiettivo. Ecco la ferrovia, laggiù il ponte, mi allineo, dito sul grilletto, via! Lascio partire una strisciata di fotogrammi, supero il ponte, lascio il grilletto. Secondo obiettivo, stessa procedura. OK, Preso! Ora il lavoro passa ai foto interpreti. Prua lungo costa, verso nord, rallento nuovamente alla crociera di 0,64 Mach. Controllo strumenti motore, anticipo i consumi del carburante. Anche le Tip hanno finito di travasare, spengo il contatto. Devo aver consumato qualcosa di più del previsto, posso salvare qualche centinaio di “libbre” se salgo un po’ di quota. Il carburante risparmiato, di solito, permette di fare, al rientro a casa, un paio di avvicinamenti “GCA” assistiti dal radar a terra o, meglio ancora, un “precauzionale con potenza ridotta”, simulando l’avaria con apertura delle “ciglia” dello scarico. Il programma addestrativo richiede sempre qualche simulazione di avaria, che cerco di riprodurre da posizioni non standard, per valutare ed acquisire, con l’aiuto del radar a terra, le caratteristiche di volo del velivolo. Decido di salire intorno ai 5.000 piedi, informo gli organi di Controllo del Traffico e proseguo. Lascio che il radar dipinga la costa sullo schermo, ricontrollo prue e tempi di volo. Eccomi sulla Padana. In controluce, il sole si riflette sulla foschia creando un fastidioso alone, che limita la visibilità a poche miglia. Lascio Ferrara alla mia destra, poco più a Nord; tra un attimo dovrebbe apparire Bondeno, con la geometria dei suoi canali. Mi viene da starnutire, sotto la maschera dell’ossigeno. Un pizzicore al naso, che in un attimo diviene bruciore agli occhi. Dalle bocchette di aerazione filtra un po’ di vapore, strano, questo aereo di solito non lascia passare la condensa… Un sapore strano in bocca, untuoso, amaro. Mi strofino gli occhi, ora bruciano, mentre la condensa diviene un fiotto bianco che invade l’abitacolo. Mi brucia anche la gola, qualcosa non va… Apro il cosciale, >check List Emergenze (BOLD FACE)< FUMO in CABINA: OSSIGENO al 100%, poi su Emergenza, un fiotto di aria mi gonfia la maschera ed i polmoni… Il vapore continua, mi nasconde quasi il cruscotto ed il parabrezza, davanti. Sensazione di panico, una stretta allo stomaco, qualcosa non va.. Vorrei quasi eiettare il tettuccio e liberarmi dal fumo…! Già, Fumo in Cabina, se è un corto circuito, devo staccare la corrente. Perderò tutte le utenze elettriche. Chiamo il Controllo “Padova, la 103, Bondeno 4000 piedi, ho problemi, dirigo Villa, per un po’ sarò senza radio”. Pronto, il controllo risponde “103 dichiara emergenza..?” “Affermativo”. >Check List< Fumo in cabina, sospetto corto circuito, devo staccare i generatori e le utenze elettriche. Alzo le guardiole nel pannello destro, GEN.1 <Off>, GEN.2<Off>. Per un attimo mi si illumina la “CAUTION” di emergenza, poi tutto il pannello strumenti si spegne. Sono SOLO. Ancora fumo, provo ad aprire il pomello della ventilazione forzata “Fresh air Scoop”, che “taglia” la pressurizzazione ed il condizionamento della cabina. Di colpo il fiotto bianco si interrompe, e l’aria che irrompe attraverso la finestrella ripulisce un po’ il fumo opaco… Guardo fuori, riflesso del sole, foschia, l’ultima indicazione del TACAN mi indicava 290° e circa 45 miglia per casa… Gli occhi bruciano, faccio fatica a tenerli aperti, ma perlomeno il fumo è finito e respiro ossigeno puro. Controllo di nuovo che siano staccate tutte le radio e le utenze elettriche, decido di riaccendere i generatori, uno alla volta, controllando i risultati. GEN.1 <ON>… mezzo pannello avarie acceso, GEN.2 <ON>… ma la MASTER CAUTION resta accesa… l’occhio corre al pannellino avarie ed in effetti una lucina è rimasta accesa… <ENGINE OIL LEVEL LOW>… Un attimo di smarrimento… cosa c’entra l’olio motore con il corto circuito, gli impianti sono indipendenti…intanto l’occhio è fuggito alla pressione olio motore, che è crollata a 2, poi 1… Madonna mia…!!! La leva ROSSA delle NOZZLE… la afferro e la tiro tutta fuori, NIENTE! Con crudele lentezza l’indicatore si muove a fondo scala, in apertura, 8, 9… il livello olio dev’essere già sceso sotto le 4 Pinte, la pompa di emergenza non pesca già più, ne’ il gancio meccanico è riuscito a bloccare i flabelli dello scarico… guardo fuori… dove c… sono..? Riaccendo la radio, IFF e TACAN, la velocità sta scalando, con Tip, Pylon e Pod ho la massima resistenza, porto il motore al 100% ma non avverto alcuna spinta. >check list<! Avaria impianto olio: motore 83-90% per mantenere la massima lubrificazione dei cuscinetti della turbina… Ricordo come in un flash la nota sul manuale: <con la completa perdita dell’olio, il motore J-79 può funzionare per un massimo di 2 minuti al 100% senza danni permanenti ai cuscinetti. Il motore può operare per circa 4 o 5 minuti al 90% prima che avvenga il grippaggio. Alti regimi e variazioni brusche di potenza vanno evitati per mantenere la temperatura ed i carichi dei cuscinetti al minimo. Vibrazioni in crescendo indicano l’imminente cedimento degli stessi. Variazioni di manetta accelerano l’avaria>. Ho già perso 2.000 piedi e la velocità è scesa a 350… Posizione! Il TACAN mi indica Villafranca 20° a destra, a circa 30 miglia. Non arriverò mai a casa. Non posso abusare del motore o gripperà…! Intanto ho cambiato sul canale 17, con Garda Approach. Dichiaro emergenza, inserisco “Emergenza” sull’IFF, sento in cuffia che l’adrenalina mi conferisce un tono di voce quasi baritonale. Rapido frullare di numeri, tutti gli esercizi di “Atterraggio con Spinta Parziale” mi tornano in mente. Peccato che nelle nostre simulazioni partiamo quasi sempre con quota e posizione ottimali… Quasi sempre… : 30 miglia, 15.000 piedi di perdita di quota, poi dovrò fare più di 90° di virata a destra, per intercettare pista 05, altri 4.000 piedi, allineamento con almeno 1.000 piedi… Non ci penso due volte, così non sto in volo, velocità ancora in diminuzione, quota in diminuzione… l’aereo è perso… Manetta tutta avanti, “detent”, postbruciatore… niente…! non c’è la pressione sufficiente nel cono di scarico, perché avvenga l’accensione… “Al diavolo”! manetta indietro, minimo settore AB, poi rapidamente tutta avanti, FULL…. BOOOOMMMM!!! Un guizzo alla temperatura e l’indicatore delle NOZZLE schizza oltre il 10, di un centimetro oltre la scala graduata… VAI! Muso in alto, ora ti riconosco, SPILLONE! “Garda, 103, mi porto a circa 20.000 piedi ed inizio discesa ciglia aperte…” Il Controllo non ha compreso che il problema è reale… mi danno una prua per portarmi nella posizione di inizio standard dell’addestramento, 10 miglia a sud del campo… controllo le indicazioni che mi hanno dato…NO, devo puntare “alla testata pista, meno un raggio di virata”, quindi calcolare il punto inizio pista, meno due miglia…“NEGATIVO Garda… Emergenza REALE! Datemi un vettore per la pista, per favore..!” Intanto l’occhio salta tra quota, velocità e giri… sto sfruttando i cuscinetti con il 100% della potenza e massima spinta… la mano vorrebbe tirare indietro la manetta, la testa la blocca, il manuale recita che con le nozzle aperte, riducendo la manetta sotto MAX AB il postbruciatore si spegne… l’altimetro attraversa i 20.000, sono in configurazione pesante… qualche spanna in più mi farà comodo… Motore 83%, flap T/O, per un attimo vado balistico, poi inizia la discesa planata… poco più di 20 miglia… stabilizzo la velocità intorno ai 250kts, dato che 245 sarebbe quella ottimale senza carichi esterni… Garda mi chiama, mi conferma che la quota è appena sufficiente per garantire l’arrivo in pista… Mi chiama la SOR. Il comandante di Gruppo, T.Col. Zappulla, mi chiede lettura degli strumenti… leggo un paio di parametri, poi aggiungo: “da check list <EXTERNAL STORES JETTISON>, se sgancio i pylon guadagno 20 punti di efficienza” (il sistema di aggancio del POD non permetteva di eiettarlo)… dalla SOR arriva un “NO, fermo…”! e poi “controlla le cinghie ed il seggiolino, preparati ad un lancio”… Ho già controllato tutto due volte, la mano è già andata due volte a cercare la maniglia inferiore, che fosse libera…se servirà, tirerò questa… ma in cuor mio non ci penso nemmeno per un attimo. Sono come elettrizzato dalla tensione, quasi che la mia determinazione possa sostenere le ali in volo…! Scruto attraverso la foschia, la quota guadagnata diminuisce vertiginosamente, ma anche le miglia diminuiscono. Mano a mano che mi avvicino, la lancetta del TACAN si aprirà verso destra, ma non mi faccio ingannare seguendola, l’antenna emittente è posizionata al lato opposto dell’aeroporto. Se stringo troppo la virata, tagliando, mi ritroverò ad atterrare alla fine della pista. Chiedo a Garda Radar un altro vettore, ora hanno compreso perfettamente le mie intenzioni, lavoriamo in sincronia per “chiudere la virata” un miglio a sud della pista… Quota 4000, distanza 5 miglia… “103 stai scendendo sotto la quota minima di planata”… “lo so, ma non tocco più il motore”… avrei potuto sganciare prima i Pylon, in aperta campagna, ora sotto è tutto abitato… Per un attimo penso al grippaggio. Se iniziano le vibrazioni? Che fare? Tiro la RAT per non perdere la pressione idraulica e di conseguenza i comandi? Non ora, niente resistenza extra… Occhi piantati fuori… maledetto riverbero, dove diavolo è la pista..? Di colpo, dalla foschia spunta davanti a destra il piccolo grattacielo dell’hotel pasticceria Roveda… E’ un paio di miglia a sud est del campo… sono in posizione!!! Inizio a virare, subito…ripeto alla radio “Garda, Inizio a virare”… Inclino dolcemente, ma deciso, a destra, la velocità scala, l’aereo spancia un po’… 240…230…in diminuzione… la cloche viene scossa da qualche raffica di Shaker, la tengo come fosse una piuma…220… davanti a destra vedo spuntare dalla foschia il “pino” luminoso del sentiero di atterraggio ed infine …la PISTA…! Mi concentro su quello, per raccordare la virata… non toccherò i flaps da T/O (la posizione LAND richiede il motore sopra l’83% per garantire il soffiaggio forzato dei flaps posteriori)…il carrello solo in cortissimo finale… ce la devo fare…pista…velocità…PISTA…dai che ce la faccio…210… ho simulato tante volte questa situazione… chiudo la virata sotto i 500 piedi, shaker a raffica, raddrizzo le ali, 200kts.. allineato perfettamente sul “pino”, la mano va alla leva del carrello, passo sulla recinzione, giù le ruote… Clunk, i portelloni, Madonna, dovete scendere in fretta…! Non so perché, la mano corre alla maniglia di estrazione di emergenza del carrello, ma un tonfo sordo e le tre lucine verdi mi confermano il completamento della sequenza di bloccaggio… “Garda 103, tre verdi…” inizio pista, manetta al minimo, tiro a me un baffo di cloche per richiamare il musetto, aerofreni fuori per aiutare il contatto, tocco sul “pettine”… giù il ruotino, velocità sotto i 190, para-freno, sento lo strappo, si è aperto… la velocità diminuisce…freno, vedo con la coda dell’occhio i mezzi anti-incendio che lasciano le postazioni e si lanciano al mio inseguimento… La radio, che nell’ultima fase era rimasta muta, si rianima… dalla SOR, di nuovo il comandante di Gruppo… “Sardo, hai bisogno di qualcosa”..? Per un attimo il rispetto gerarchico mi suggerisce una risposta formale, ma la parte vera prende il sopravvento e mi esce: “…si, un paio di mutande nuove!”… Di colpo entrano in frequenza altri velivoli che, oramai al minimo del carburante, stavano aspettando di decidere se andare all’alternato o atterrare a casa… Sono ancora in pista, velocità sotto controllo, stringo la cloche, dito anulare sullo Steering, con l’abbrivio esco al raccordo a 45°, in fondo, “Garda la 103 pista libera…Fine Emergenza”… Gli antincendi sono intorno, ora posso spegnere motore. Mi fermo. Solo ora mi accorgo che mentre premo le punte degli scarponi sui pedali dei freni, i polpacci iniziano a fibrillare… tremo… Aereo fermo, manetta stop, spengo tutto… Di colpo l’aereo perde vita, il motore cala di giri con un brontolio cupo, metto il seggiolino in sicura, sgancio le cinghie delle gambe, poi con un pugno sulla scatola di blocco slego le cinture, apro il tettuccio..lo appoggio ai fermi, ora ho BISOGNO d’ARIA…! Sgancio la radiolina di emergenza ed il battellino, via il tubo dell’ossigeno… mi alzo in piedi sul seggiolino, mi fanno segno di aspettare la scaletta… no, VOGLIO SCENDERE ORA…!! In quel momento sento un boato, un 104 basso, ma basso basso e velocissimo, mescola la propria scia ai vapori bollenti dello scarico, che si arricciano sull’asfalto, lungo il raccordo… Mi passa davanti, il tettuccio all’altezza del mio viso, poi tira su “in Candela”, il cono di scarico si accende, il tuono del postbruciatore scuote tutto, si avvita in un Tonneaux… E’ il “nonno” Collenz, che mi saluta a modo suo, per lo scampato pericolo. Mi siedo sul bordo dell’abitacolo con i lucciconi agli occhi e mi lascio scivolare a terra lungo la fiancata… Come tocco terra, tutto mi sembra pesare quintali, il casco, il giubbotto salvagente… le gambe tremano e non mi sorreggono… cado in ginocchio…resto così per un attimo, poi mi metto a sedere, sotto il muso del mio 104… Lo guardo, mi sovrasta… mi ha riportato a casa, senza olio…senza motore, in planata come un aliante… vecchio Spillone malefico, siamo tornati a casa… arriva il comandante dell’Aeroporto, Col. Ziliani, con l’auto blu… dovrei alzarmi, salutarlo, ma non ce la faccio… a lui non sembra importare molto… guarda in alto, impreca.. “ma chi diavolo è quello…? E’ impazzito..??” Arriva il comandante di Gruppo, mi abbraccia, mi dice che ha assistito alla fase finale… E’ un ex istruttore di Grosseto, la scuola di volo del 104, e le sue parole mi riempiono di orgoglio… “ho visto la virata finale, un capolavoro… hai pennellato l’aereo dritto in pista…hai raddrizzato le ali ed eri a terra…bravissimo…!!” Con la coda dell’occhio vedo un trattorino che rimorchia il mio 104 verso il centro Manutenzione, ed in fondo al cuore mi sento là, quasi volessi accompagnare in ospedale un vecchio amico malato…
Il resto sembra svolgersi con lentezza esasperante, la visita medica per le esalazioni inalate, il collirio negli occhi, la relazione alla Sicurezza del Volo, l’indagine tecnica, la bevuta al Gruppo per la sana dose di “cu..o”… Non fu facile “sbarcare” il motore dalla fusoliera… Le “nozzle” erano talmente spalancate che non si riusciva a sfilare la coda… Poi finalmente l’indagine tecnica, che evidenziava la rottura della pompa di recupero (Scavenge Pump N.1) dell’olio del cuscinetto anteriore, il cedimento per sovrappressione degli anelli di tenuta, e tutto l’olio sparato in un attimo nel compressore… da qui, una parte veniva nebulizzata e spinta nel sistema di condizionamento e quindi in cabina. Tolti i generatori, avevo perduto ogni avviso di basso livello olio, per un tempo breve, ma sufficiente a superare il livello minimo delle 4 pinte e di conseguenza anche il pescaggio di emergenza. La maniglia rossa a quel punto era andata “a vuoto”… I cuscinetti erano già “a secco” ed avevano lavorato senza olio per circa 9 minuti, dei quali almeno 3 al 100% – con Postbruciatore, superando quanto previsto del manuale. Santo il mio General Electric J-79-GE-11-A, non avresti comunque resistito a lungo, ma mi hai riportato a casa…Grazie!! Quando partì la relazione ufficiale per Roma, il compilatore, forse più pratico di seggiole da ufficio che di seggiolini eiettabili, attribuì un concorso di colpa al pilota, che “non aveva saputo riconoscere prontamente l’odore dell’olio nebulizzato dal fumo elettrico, adottando una procedura non idonea alla risoluzione dell’emergenza”… In cuor mio non seppi volergli del male, probabilmente non avrei avuto comunque alcun encomio… Nel candido entusiasmo giovanile, più di ogni altro riconoscimento formale, mi restava nel cuore l’adrenalina della vicenda, il senso di angosciosa impotenza legato all’immagine dell’altimetro in spietata discesa, l’incrollabile determinazione di riportare l’aereo in pista, la virata sul filo dello “shaker”, il saluto del “nonno” Collenz, l’abbraccio e le parole dell’ex istruttore di 104… Per molte notti ho rivissuto ad occhi spalancati al buio tutta la sequenza, aggiungendo ogni volta un diverso “e se…”?? E se avessi interrotto la salita un po’ prima…? E se avessi seguito l’indicazione del TACAN, trovandomi troppo lontano o troppo a ridosso della pista..? e se nella fase finale, in virata, il motore avesse grippato…? Il blocco repentino di tutto l’albero con compressore e turbina, pesante oltre una tonnellata, avrebbe creato un momento torcente incontrollabile, capace di rovesciare l’aereo a destra, togliendomi ogni possibilità di scampo… Gli incubi vissuti ad occhi aperti hanno popolato per poco le mie notti, perché, come nelle migliori tradizioni aeronautiche, ho ricominciato a volare subito, prima che i timori avvolgessero l’anima. Ora, a distanza di anni, dopo tante altre avventure di volo, dopo aver cavalcato altri velivoli, resta un amore viscerale mai sopito per il 104, un nostalgico legame di amore e reverenziale rispetto per un meraviglioso purosangue, con cui ho avuto l’onore di condividere oltre mille ore di gloriosa purezza, lontano dalla terra…
Sky High in a Starfighter
My climb to the top in the F-104.
Zoom climbs in the rocket-boosted NF-104 could top out at 120,000 feet in zero gravity. (Courtesy George J. Marrett)
By George J. Marrett
AIR & SPACE MAGAZINE – NOVEMBER 2002
The Lockheed F-104 Starfighter looked more like a rocket than an airplane. Out in front was a sharply pointed nose with a long pitot tube. The airplane’s straight, stubby wings were canted downward, and they were so thin and small, like fins, that you wondered how it could fly. Lockheed press releases even described the airplane as “the missile with a man in it.” For pilots, its tiny cross-section made it the kind of aircraft you put on like a glove. The cockpit was small but comfortable, and the pilot sat reclined with legs extended, the way you sit in a sports car.
Early versions were designed with an ejection seat that fired downward, and to prevent injuries the pilot wore metal spurs attached to his flight boots, cowboy style. The spurs were connected to cables that would automatically pull his feet against the ejection seat during an ejection. Later, the seat was redesigned to fire upward, but the spurs stayed. Most pilots put their spurs on just before they boarded and took them off immediately after deplaning; others wore them around to show off. When I was a second lieutenant attending flying school, I saw an Air Force colonel wearing an orange flying suit and a dress military hat with “scrambled eggs” on the visor. His spurs were clinking and clanking as he walked. Then and there I knew I wanted to fly the Starfighter.
I got my chance in December 1963, when I was selected to attend the U.S. Air Force Test Pilot School at Edwards Air Force Base in California. At the time, the grand old man of supersonic flight, Colonel Charles E. “Chuck” Yeager, was the commandant of the school, and he was guiding the Air Force toward the new frontier of spaceflight.
Our class had 10 Air Force pilots, two Navy pilots, two NASA pilots, and one pilot each from Canada and the Netherlands. We all wanted to be part of the Space Age even though our very presence here put us in competition with NASA. The Air Force had initiated its own manned space program with the Boeing X-20 Dyna-Soar, a single-seat space vehicle scheduled to make its first flight in 1966, just three years away.
All X-20 pilots would be graduates of Yeager’s school and actually fly their spacecraft from liftoff to an unpowered landing on Edwards’ Rogers Dry Lake. NASA astronauts, on the other hand, returned to Earth in a capsule suspended from a parachute and landed in the ocean.
Yeager was instrumental in changing the curriculum of the test pilot school to include spaceflight training. The name of the school was also changed to Aerospace Research Pilot School, though it was commonly referred to as Yeager’s Charm School. He still had the golden touch: Yeager seemed to have a credit card enabling him to tap into the Air Force budget, and there seemed to be no limit to what he could spend. His motto appeared to be “Follow me. I will put the Air Force in space.”
To give his students a real taste of space, Yeager contracted with Lockheed to modify three production F-104s for high-altitude flight. Designated NF-104s, they were inexpensive trainers that would expose students to altitudes above 100,000 feet. Like the X-15, the NF-104s had small directional thrusters in the nose and wingtips for attitude control up where normal controls had no effect.
Each NF-104 was equipped with a Rocketdyne liquid-fuel rocket engine that used JP-4 fuel and hydrogen peroxide as an oxidizer to produce 6,000 pounds of thrust. With the reaction control system, a student could control the NF-104 on a zero-G trajectory through the thin atmosphere at the edge of space for about 80 seconds. The pilot wore a pressure suit; without engine power at that altitude there was no cockpit pressurization.
It was widely understood that whoever first pushed the NF-104 to its maximum performance was certain to set a world record for altitude achieved by an aircraft taking off under its own power. In 1961 the Soviets had set a record of 113,890 feet with the E-66A, a rocket-powered variant of the MiG-21 fighter. Some U.S. X-planes had flown higher, but they had to be carried aloft by a Boeing B-52 (see “Mother,” June/July 2001).
In 1963, Lockheed began shakedown flights on the NF-104 with company test pilot Jack Woodman. After a few months the program was turned over to Major Robert W. “Smitty” Smith at the Air Force Flight Test Center (AFFTC), flying out of the Fighter Branch of Test Operations. A year later, when I was assigned to the fighter branch, I did a little off-the-record dogfighting against Smitty. By disabling the safety system that prevented loss of control at high angles of attack and high Gs, he could fly the F-104 near its aerodynamic limits. You couldn’t beat Smitty in an F-104.
To reach maximum altitude, the pilot accelerated the NF-104 at full power to maximum speed, then pulled up into a “zoom climb.” In a zoom, the more energy you could build up during acceleration—and the more precisely you could maintain the optimal climb angle—the higher the airplane would climb when it coasted to the top of the zoom. Smitty reached 120,800 feet on one zoom—not an official world record because it was a test flight and the official monitors were not in place. Optimum climb angle for the aircraft turned out to be between 65 and 70 degrees, which, added to a 14-degree seat cant and a five-degree angle of attack, left the pilot reclined at an angle of about 85 degrees. You couldn’t see the ground from that position, so all zoom maneuvers were made on instruments. On one flight, Smitty tried an angle of 85 degrees, but he lost control and tumbled, going over the top upside down. The aircraft entered a spin but he recovered. Smitty was fearless.
Yeager had taken the NF-104 up three times to get a feel for it, and on December 10, 1963, he was scheduled to fly two zoom flights in preparation for an all-out record attempt the next day. During the morning flight he reached 108,700 feet, but Yeager felt the Starfighter could be taken much higher.
On the afternoon flight, Yeager’s test profile called for him to accelerate to Mach 1.7 at 37,000 feet, light the rocket engine to accelerate to Mach 2.2 at 40,000 feet, and then climb at 70 degrees. As the aircraft passed through 70,000 feet, ground control informed Yeager that he had less than the desired angle of climb. He applied the reaction controls to get back on the flight path, a technique he had used before. But on this flight he was at a lower altitude (101,595 feet) and the reaction controls were not yet effective. There was a higher dynamic pressure on the control surfaces, meaning the horizontal tail would have been more effective. Then, when he attempted to lower the nose at the peak of his climb, he found that neither the aerodynamic controls nor the reaction controls could reduce the angle of attack enough to prevent a spin. Soon he was gyrating in all directions, and nothing would stop it. A mile above the desert and falling like a manhole cover, he ejected.
As his parachute opened, he was struck in the face by the base of his rocket seat. His helmet’s visor broke and burning residue from the rocket entered the helmet. Pure oxygen for breathing was flowing to the helmet, igniting a flame that started to fry his neck and face. As he descended, Yeager removed a glove and used his bare hand to try to put out the fire around his nose and mouth, charring two fingers and a thumb. The aircraft hit the ground in a flat attitude, and Yeager landed a short distance from the wreckage. Within a few minutes a helicopter and flight surgeon arrived. Yeager had second-degree burns on the left side of his face and neck and on his left hand, and a cut on one eyelid.
The loss of an NF-104 was not the only bad news that day: Secretary of Defense Robert S. McNamara announced the cancellation of the X-20. The Air Force lost a manned space program, Yeager was injured and wrapped in bandages, and the Air Force had put a hold on his spending.
The two surviving NF-104s were grounded pending an investigation, so I wouldn’t get to fly one. But the standard Starfighter was still the hottest airplane in the Air Force inventory, and I wanted to get into it. As a new student, I got my first flight in the back seat of an F-104 with an instructor, Major Frank E. Liethen, as he conducted a functional check flight, or FCF. Regulations called for an FCF any time major maintenance had been performed. The FCF pilot would fly the repaired aircraft at the limits of its envelope to determine that it was safe for student pilots to fly. Only the most experienced pilots were asked to fly these potentially hazardous flights.
Liethen had been the outstanding student in his class at test pilot school. After a year as a project test pilot at Nellis Air Force Base in Nevada, he returned to Edwards to attend the new space school. After graduation, he became an instructor in the school. He applied to become a NASA astronaut, but he was turned down—too tall. Just as he graduated from space school, the Dyna-Soar program was canceled. His only chance for a spaceflight was the Air Force program called the Manned Orbiting Laboratory, or MOL. Unfortunately, the MOL (canceled in June 1969; see “First Up?” Aug./Sept. 2000.) was on the drawing board at the time, and crew selection was years away.
Before attending the school, I became proficient in flying FCFs in the McDonnell F-101B Voodoo at Hamilton Air Force Base in California. The F-101B and F-104 were both designed in the 1950s as supersonic interceptors. The F-101B was a twin-engine, two-seat aircraft with a radar intercept officer. The F-104 had a pilot, one General Electric J-79 jet engine with afterburner, and a short-range air-to-air radar. It could fire a heat-seeking AIM-9 Sidewinder missile. Both had high wing loading (total weight carried per square foot of wing area), a T-tail, and pitch-up characteristics (see “Now Departing: T-Tails and Other Killers,” p. 70). Both also had electronic systems to prevent a pilot from entering the pitch-up region.
The F-101 had a horn that sounded in the pilot’s helmet as it neared the pitch-up boundary. If the pilot continued to fly the F-101 to an even greater angle of attack or G-force, a mechanical pusher moved the control stick forward. This very complex system required the FCF pilot to adjust the boundaries during flight. The F-104’s instrument panel had an angle-of-attack gauge. To warn the pilot that he was approaching pitch-up, a needle would move into a red area on the gauge. If the pilot continued to increase angle of attack or G-force, a stick shaker system caused the control stick to shake in the pilot’s hand and emitted a sound similar to a rattlesnake’s.
The Starfighter could be a handful and had a terrible safety record; many pilots had been killed flying it. Only a few years earlier, Iven Kincheloe, who had set a world altitude record in the Bell X-2, was killed in a Starfighter when the engine failed just after takeoff. So as Liethen performed maneuvers in the F-104, tickling the pitch-up boundary, I held the control stick ever so lightly in my hand. He talked on the intercom as he flew, but I watched him like a hawk.
As a student, my zoom flight would be the high point of the 12-month course and my last flight. I’d take the F-104 (not the rocket-powered NF but a standard -104) to the rarefied atmosphere above 80,000 feet.
On the day of the flight, I was sweating profusely, having spent an hour and a half in a full pressure suit. Wearing the helmet and faceplate was like looking at the world from inside a fishbowl. And the helmet was almost as wide as the canopy. I could move my head only a few inches from side to side before the helmet bumped against the plexiglass.
As I sat cooking in the Mojave Desert sun, I felt confident. I’d logged thousands of hours in Air Force fighters, from the F-86 Sabrejet to the F-101B Voodoo. But I’d never flown a Starfighter to 80,000 feet—“Angels 80,” military pilots call it. I’d flown the F-104 often in the previous months to get the feel of it. But you always have little doubts when you’re trying something that you’ve never done before.
If I overcorrected at the top of the zoom, I’d be uncontrollable in seconds. Lieutenant Patrick “Pat” Henry, a Navy pilot in the class just ahead of mine, lost control at the top of the zoom, entered a spin, and eventually ejected. If I were not precise in my planning and control, I’d share his fate. If the engine failed to restart as I was coming down, I’d be committed to a flameout pattern.
The tower’s call interrupted my thoughts. “Zoom 5, you’re cleared onto Runway 04 to hold.”
Sweat was dripping into my eyes, but it would be cool up where I was headed. A quick glance to my left confirmed that my chase aircraft, an F-104 with the call sign “Zoom Chase,” was in position and ready for takeoff. He’d chase me until the pull-up point and then, as I descended through about 30,000 feet, he’d rejoin in formation in order to accompany me through the traffic pattern. He’d check the airplane’s exterior, be ready to offer any assistance I might need, and help keep me clear of other airborne traffic, since I’d be focusing most of my attention on the instrument readings.
The J-79 gave its characteristic howl and roar as I eased the throttle full forward and back again to idle.
“Zoom 5, winds are calm, you’re cleared for takeoff,” the controller said.
No time for other thoughts now. I got a good afterburner light, then pushed the throttle up to maximum afterburner. The acceleration pressed me against my parachute. Control stick aft at 100 knots (115 mph), nose wheel raised at 150, airborne at 175. Landing gear up before 250 knots or I’d rip the gear doors off. Then flaps up. Passing 400 knots, I raised the nose slightly to start my climb and throttled back out of afterburner. Then I started a turn to the east and climbed at 450 knots, waiting for the Mach to build to 0.85.
The chase pilot radioed that my Starfighter looked fit to continue. Climbing toward the morning sun, I had only a few seconds to enjoy flying this beautiful aircraft. It was no time to daydream; I had to focus on the test mission. Climbing at 0.85 Mach, I leveled off at 20,000 feet, passing abeam the Three Sisters Dry Lake. It was time to dump cockpit pressurization and inflate my pressure suit. If my pressure suit failed at this low altitude, I would have plenty of time to repressurize the cockpit, abort the mission, and return to Edwards. Slowly the suit inflated. I felt like a fat man in a telephone booth.
On the way to 35,000 feet, I could see Baker’s Dry Lake in front of me. The lake bed was about 100 nautical miles east of Edwards, and my turning point for the run back in the supersonic corridor—airspace where speeds over Mach 1 were legal. I made a gradual 180-degree turn to the left, glancing over my right shoulder to confirm that my chase was still in position.
Rolling out, I pointed the nose toward the town of Tehachapi. Moving the throttle forward, I selected maximum afterburner, easing the control stick forward ever so slightly to unload the one G of level flight and help the Starfighter ease through the transonic zone. The airplane passed Mach 1.0 with no physical sensation. The Mach needle was really climbing fast now: 1.3…1.4…
I tried pushing the throttle harder against the forward stop, hoping to get every last pound of thrust from the engine.
Mach 1.7…1.8.
The F-104 was at its design speed now, and the Mach number was climbing fast. At an indicated airspeed of 675 knots, I started a gradual climb to 38,000 feet. What a tremendous feeling to be going faster and faster. The chase aircraft was miles behind me now. Mach 2.1…2.15… I let the Starfighter accelerate as long as I dared—I wanted every bit of energy I could get. The more speed I built up, the more altitude I’d get over the top.
One last glance at the checklist. I had penciled a reminder for myself when I reached this point: “Check gloves.” Just before he started his pull-up, my classmate, Captain Jerry G. Tonini, had the thumb of one of his gloves start to balloon. Fortunately, he caught it in time. Had the glove popped open, he would have lost all suit pressure. If that had happened, he would have lost consciousness in a few seconds and crashed.
The compressor inlet temperature was approaching the limit: 155 degrees Celsius (311 Fahrenheit). A last check on fuel showed just under 1,200 pounds, the minimum before starting the zoom in order to recover with a safe reserve at Edwards. Go for it, I thought. Pull up. At that moment the image of Yeager wrapped in bandages flashed before my eyes.
I pulled back on the stick gently, entering the climb at a rate of 1 G per second. When the G meter reached 3.5, I kept the pressure constant, and I focused on the attitude indicator in the center of the instrument panel. As I reached 40 degrees of pitch, I began slowly easing off the backstick pressure and held 45 degrees. I monitored the exhaust gas temperature (EGT)—I didn’t want to overtemp the engine.
Quickly I glanced at the altimeter. The needles were spinning too fast to read. I’d passed 60,000 feet; EGT was at maximum: 615 degrees Celsius. I began to retard the throttle to hold EGT constant. Passing 67,000 feet, I brought the throttle back into idle cutoff. The engine shut down and started to unwind; at this altitude, if I left it running, even at idle, it would overtemp.
I held the 45-degree climb angle until the angle of attack reached eight degrees, then pushed forward on the stick. Minimum indicated airspeed over the top was 120 knots, the lowest speed at which there was still enough air flowing over the horizontal tail to ensure the tail would be effective. I felt weightlessness coming on. Even though my shoulder harness was firmly tightened and locked on the ground, I felt my pressure suit lift off the ejection seat and my helmet touch the canopy.
Just approaching the peak of the climb, I treated myself to a sweeping view of Earth. Most of the flight so far had been “head in the cockpit, fly the gauges.” The sky was very dark blue—almost black. I could see the Pacific Ocean in front of me, although still a hundred miles away. There was smog in the Los Angeles basin down to the left, and at my right I saw the San Francisco Bay area. Sightseeing was over; I had to return to business. I’d topped out at Angels 80. It was so quiet I thought I could hear my heartbeat.
I held zero G until the Starfighter had pitched over into a steep dive. I put the speed brakes out, and airspeed started to build up fast as the light brown Mojave Desert came back into view. I was now diving straight down, with Rogers Dry Lake directly below me. Passing 35,000 feet, I restarted the engine.
The EGT started to rise—I had a good light. With the engine running, I started a turn back to the Edwards runway when I was startled by a silver flash on my faceplate. Then I realized it was a drop of sweat.
I passed my landing reference point at 25,000 feet directly above Edwards’ Runway 04, where I had started the flight about a half-hour before. I’d be landing out of the same dead-stick pattern that the X-15 used: 300 knots indicated airspeed and in a 20-degree dive. Base leg altitude was 15,000 feet, but I had flown the pattern many times before and felt quite comfortable. Rolling out on high final at 6,000 feet, I had the 15,000-foot runway directly in front of me. I started the stick coming back for the flare and lowered the landing gear at 250 knots. I checked to ensure the gear was down and locked just before touchdown at 190 knots.
The tires squealed as they burned rubber on the painted white line that crossed the runway at the 10,000-feet-remaining marker. As I lowered the nose gently onto the runway and pulled the drag chute handle, my chase sped past me in a low approach.
With sweat dripping into my eyes, I looked up at the contrail my zoom had etched against the blue desert sky. I had returned safely from the edge of space.
Typhoon o Starfighter ?
di Fabio Consoli
E’ il 9 febbraio 1996, la giornata è tersa e pungente, il cielo sereno, di un azzurro profondo. Da Torino si vedono le Alpi e mentre salgo sul pulmino dell’Alenia che mi porta dall’albergo a Caselle, penso che sia un giorno perfetto per volare. Dopotutto, rifletto, per una giornata così importante il meno che ci si possa aspettare è una bella giornata di sole. Così, mentre ci districhiamo nel traffico mattutino di Torino, comincio a prepararmi mentalmente al mio primo volo sull’EF2000. E sì, perché, dopo mesi di preparazione e studio, è finalmente arrivato il momento che un pilota collaudatore dell’Aeronautica Militare faccia il primo volo “militare” sul DA3 (Development Aircraft… una volta si chiamavano prototipi) di quello che poi verrà chiamato “Typhoon”. Non posso fare a meno di guardare indietro. Così riguardo la strada che ho fatto per arrivare sino a qui: l’Accademia, le scuole di volo a Sheppard, Amendola, Grosseto, gli anni passati al glorioso 28° Gruppo del 3° Stormo “Buscaglia” volando con lo “Spillone” (quello vero, il “G”, quello che ululava, tanto per intenderci), la selezione per la Sperimentale e la fortuna che mi ha aiutato ad entrare a fare parte di un Reparto così prestigioso. Poi la USAF Test Pilot School di Edwards AFB, il tempio dei collaudatori, 11 mesi di “pompa” pazzesca, ma che aeroplani! Phantom, Corsair, F-15, F-16, F-18, T-38, B-52 e tanti altri; pochi piloti in Italia hanno avuto la fortuna di avere una esperienza di volo così gratificante. Ed infine, eccomi qua, al posto giusto al momento giusto, più per buona sorte e combinazione che per merito mio, ma, dopotutto, ho lavorato tanto e me lo sono proprio guadagnato! A Caselle tutto si svolge come fosse un giorno normale, come se a volare anche oggi dovesse essere uno dei collaudatori della ditta, ma no, il 32° volo del DA3 è mio e, nonostante la faccia da poker, sono molto emozionato. Con gli ingegneri rivediamo il cartellino di prova del volo (ma ormai lo so a memoria) e poi ci riuniamo con l’equipaggio che mi farà da “chase” su un velivolo AMX-T. Piloti di lusso: il comandante della Sperimentale, Col. Maurizio “Gatto” Lodovisi, ed il capo collaudatore dell’Alenia, com.te Napoleone Bragagnolo. Briefing, emergenze e via, si parte! Le procedure pre-volo vanno straordinariamente bene per un prototipo agli inizi della sua attività e dopo soli 15 minuti il “Jolly” (nominativo radio della telemetria Alenia) mi dà il via libera al rullaggio. Il velivolo è preciso nel controllo direzionale ma i freni sono estremamente sensibili: ogni piccola frenata provoca notevoli beccheggi e sbandamenti. Non è una novità, ma sicuramente un problema che si dovrà correggere. Mi allineo in pista con l’AMX-T al mio fianco, lo vedo mollare i freni e mi preparo a rilasciare i miei quando il “chase”, dopo avere effettuato un giro intorno l’aeroporto ed essersi ripresentato al fianco della pista, mi darà l’ordine. Questa manovra si chiama “airborne pick-up” e consente al velivolo “chase” di osservare tutte le fasi del decollo del prototipo. “30 secondi… 20 secondi… 10 secondi… 5… 4… 3… 2… 1… NOW!” mollo i freni ed inserisco i post-bruciatori (reheat per gli inglesi). L’accelerazione è impressionante ed in soli 6 secondi sono in volo! Il velivolo mi appare subito facile da controllare e mi invita a dargli confidenza; la visibilità dal seggiolino è stupenda e con pochissimo sforzo riesco a controllare la posizione del “Gatto” a mie ore 5. Anche i “canard” si notano poco e non impediscono la visione del suolo che scorre velocemente sotto di me. Il volo prevede dei punti prova motore. E’ questo il prototipo, infatti, dedicato allo sviluppo del motore EJ200 dell’EF2000. Ma prima mi familiarizzo con il velivolo effettuando alcune valutazioni delle sue caratteristiche di volo. Nonostante il sofware dei comandi di volo sia solo una versione molto “cruda” e basica, il velivolo rimane sempre molto controllabile e le sue risposte ai miei input sono prevedibili ed appropriate. Gli “slam” del motore stanno procedendo regolarmente quando il “Gatto” mi chiama: <“Duca”, (è il mio “battle call sign”) noi siamo “bingo”, se vuoi provare degli avvicinamenti è ora di rientrare!>. Così ci avviamo verso Caselle e, mentre dal “chase” mi scattano delle fotografie, comincio a pensare all’atterraggio. Di per sé non è un problema, il velivolo è molto semplice da atterrare, però i freni tendono a scaldarsi parecchio è c’è sempre un po’ di preoccupazione perché se non dovesse uscire il parafreno (qualche volta è successo) si rischia di dover buttare via un paio di freni per aver oltrepassato i 900° C. Faccio prima un avvicinamento diretto con riattaccata per vedere come si comporta il velivolo, poi, volando sempre a 13° di angolo di attacco tocco dolcemente dopo esattamente un’ora e sei minuti di volo. Il “para” esce regolarmente e libero la pista senza alcun problema. Accidenti, penso, i freni sono anche peggiori quando sono caldi! Infatti il velivolo beccheggia e sbanda mentre cerco di frenarlo; fra l’altro, avendo un “idle” molto alto, per aumentare i margini di stallo del motore nelle fasi iniziali dello sviluppo, i motori spingono il velivolo a più di 40 nodi anche essendo al minimo. Il fatto di essere leggerini sicuramente non aiuta. Al parcheggio mi attende mezza Alenia. Ingegneri, tecnici, amici con i quali ho lavorato per mesi, mi festeggiano, mentre il “Gatto” provvede a farmi il tradizionale “gavettone”. La giornata è finita, il volo concluso; ma il vero lavoro del collaudatore non è finito: non serve a niente provare se poi non si è in grado di riferire! Mi aspettano lunghe giornate al computer per scrivere il “report” di questo volo, che è atteso con curiosità da Superiori e colleghi. Mentre il P-180 “Avanti” della Sperimentale mi riporta a casa, penso a tutti i piloti dell’Aeronautica Militare che volano ancora sullo “Spillone” e che attendono con ansia di ricevere finalmente un velivolo più competitivo. Il “Typhoon” darà del filo da torcere a tutti e, finalmente, i nostri potranno farsi valere! Ormai ben più di trent’anni di Starfighter sono alle nostre spalle. Un velivolo “rognoso” per chi non lo conosce bene, un velivolo dalle prestazioni incredibili per il suo tempo ed ancora notevoli per il nostri giorni, ma dai contenuti tecnologici ed operativi ormai surclassati dai caccia delle ultime tre generazioni. Ma se guardo alla mia esperienza su questi due velivoli, così diversi e così lontani, devo riconoscere che, probabilmente, lo “Starfighter” aveva in sé delle novità tecnologiche ben più avanzate ed innovative ai suoi tempi che non l’EF2000. La sua linea aerodinamica assolutamente innovativa, il suo profilo alare romboidale ed affilato, il sistema di soffiamento dei flaps, le prestazioni in salita ed in velocità ne fanno uno degli aeroplani più avanzati tecnologicamente ed innovativi dei suoi tempi. Il “Typhoon”, pur essendo un velivolo dal notevole spessore operativo, non contiene in sé elementi tali da poterlo considerare altrettanto innovativo. Il contenuto tecnologico di questo velivolo è già presente su altri caccia (addirittura già in servizio) sia che si parli di avionica, software dei comandi di volo o materiali, sia che si considerino prestazioni e qualità di volo. Anzi, per certi aspetti il velivolo è addirittura in ritardo: si pensi alle caratteristiche “stealth” e “supercruise” dell’F22 “Raptor”, l’aeroplano con il quale, per forza di cose, si deve paragonare l’EF-2000. Certo, per chi ancora oggi vola sullo “Spillone” e quotidianamente si deve confrontare con un realtà operativa assolutamente fuori dalla portata delle possibilità di questo obsoleto, ma bellissimo, velivolo, il fatto che fosse, alla fine degli anni ’50, il “top fighter” non può essere consolatorio. Ma per chi, come me, ha avuto la possibilità e la fortuna di compararlo con tante macchine diverse rimane sicuramente uno degli aeroplani più belli, più esaltanti e più difficili del panorama aeronautico occidentale degli ultimi 50 anni.
Questo è il titolo di una nota rubrica sulla Rivista Sicurezza Volo che ogni Pilota Militare ha sfogliato più volte , quando distrattamente, quando interessato e altre, purtroppo ,rammaricato e triste..
Questa storia avrebbe potuto essere “venduta” al mensile se…….
Userò il passato anche se moltissime cose sono di estrema attualità ma questa esperienza così bella ed esaltante comincia ad allontanarsi nel tempo (Sigh !)
Mi chiamo Fabio Manganelli e ormai nel lontano 1993 ero un giovane Tenente presso il 18° Gruppo Caccia di Trapani Birgi.
In quei giorni di primavera il 9° Gruppo di Grosseto era dislocato presso la base di Decimomannu per la consueta campagna ACMI. Data la sempre presente penuria di Spilloni spesso e volentieri , durante le esercitazioni , alcuni Piloti “esterni” si affiancavano ai Gruppi rischierati.
Erano momenti molto belli e impegnativi dove i Piloti avevano la possibilità di fare esperienze fuori dal Gruppo, di confrontarsi con i colleghi, di parlare di Standards, di Tattiche, di usi e costumi propri a ciascun Gruppo di volo (sempre diversi , e i piloti di Spillo sanno a che cosa mi riferisco, non certo alle tradizioni).
Io ero un cosiddetto “Gregario anziano” cioè ero pronto per l’addestramento a Capo Coppia che avrei iniziato di li a poco.
Ovviamente al 9° conoscevo tutti i colleghi e in quel periodo era stato trasferito da poco l’allora Cap.Enrico Fantoni il quale mi ha fatto “le transizioni” sul monoposto a TP.
La missione era una classica 2 Vs 2 similar nel poligono ACMI.
Formazione Ferrari composta da Fantoni CF e relativo gregario(che non me ne voglia ma non ricordo esattamente chi fosse), Tcol.Serafinelli e io come n° 4.
Avevamo scelto di separaci a blocchi di 5000ft ciascuno dividendoceli fra le due formazioni e il Set-up “classico”, 2 a nord che procedono Southbound e viceversa ;
Fighter contro fighter.
Simulavamo 1 fox1 e un fox2 a testa (i Grossetani) e 2 fox2 + gun io (chi vuol capire capisca !).
Le meteo riportavano copertura da SCT a BKN da 010 a circa 040 ,visibilita 8000 e sopra eravamo nel blu.Il briefing e i preparativi del volo si svolgono come di consueto in modo molto professionale e il clima era di estrema tranquillità. Anche io ero calmo e concentrato anche se nelle mie intenzioni ero deciso a non farmi abbattere da uno della Cavalla !(o del cavallino ! ?) ps : goliardicamente parlando è ovvio
Insomma decollo, salita , contattiamo Playground dopodichè…”FIGHT’S ON”
Io e il mio Leader (Tcol.Serafinelli) scendiamo giù da nord, era stato deciso che avremmo mantenuto la DAS finche possibile cercando di portare un attacco tipo Single Side Pincer con il massimo sfasamento di quota possibile.
Playground comincia a batterci Bearing e distanza simulando un broadcast control..il più amato dai centoquattristi, intorno alle 12-13 nm ho il primo Tally-ho e lo comunico al mio leader, diventando l’Engaged Fighter cerco di entare in curva di caccia per portare l’attacco nei settori beam (almeno) per massimizzare il PK (probability kill) del LIMA ma il Fantoni è “più lesto” e mi nega una buona posizione di lancio. Dopo aver fatto circa 110° di virata decido di estendere verso sud evitando il dogfight , visto che non sapevo dove fosse il gregario, nel frattempo ricongiungiamo la formazione e facciamo un check fuel. Lo Spillone FB (Fighter Bomber )ha circa 500 lbs in meno di carburante.
Io avevo circa 3200 lbs e il Joker era stato fissato a 2500. E qui la prima cazzata :
sapevo di non avere carburante sufficiente per un secondo ingaggio come cristo comanda ma me ne fregai letteralmente e dichiarai un pò di più ! !
Dopo una rapida valutazione il leader decide di “farne un’altro” con un setup un pò più stretto, e quì mi scateno.
Inizio l’ingaggio in min A/B (come prima) per minimizzare la scia e lo proseguo in full A/B per spaccargli il culo !
Gasato dalla velocità , dai G , dalla presunzione e dalla poca esperienza mi “risveglio” con un nulla di fatto e con 1500 lbs in mezzo al Poligono.
A questo punto avrei dovuto dichiarare non priorita , ma emergenza carburante visto che il bingo per Elmas (alternato non consiglato perchè civile) era, mi sembra,di 1100lbs.
E infatti…..non dissi una mazza, muto e compassato dichiarai “Ferrari 4, Joker fuel !”
A questo punto il buon Enrico Capo Formazione decide di ricongiungere la “Whiskey” e di portarla all’Iniziale compatta e cazzuta.
Si perdono bei minuti , l’indicatore scende e io comincio a preoccuparmi un pò.
La copertura bassa ci rende oltretutto difficile il rientro che non avviene ne da Iglesias (Mike) ne da nord ma riportiamo, con l’aiuto di Cagliari Radar , dalle parti dell’ALPHA SUD cercando un “buco” fra le nubi. Finalmente lo troviamo.
La spia della Fuel low level si accende a circa 1250 lbs ed era gia accesa dal nostro ricongiungimento nei pressi della linea di costa…
Tutti noi abbiamo sentito parlare della famosa catena degli eventi che porta ll’incidente e quel giorno di anelli di questa catena no ho legati più di uno ! !
Arrivati sull’alpha sud Decimo twr ci dà 5 ,dico 5, minuti di attesa ! !
Carburante indicato circa 800lbs..
Finanlmente , dopo due 360° ci autorizza all’iniziale .
Tutti il ala destra per la pista 35 , virata a libro…perfetta ! io ero numero quattro…
Iniziale….apertura…600 lbs indicate…
Virata base…nessun problema, gli altri atterrano tutti e, soprattutto, liberano la pista.
Touch down….500 lbs cazzo !
Ho avuto veramente paura che il motore mi lasciasse, soprattutto in virata base…e di tutto questo ?
Neanche una parola , ovviamente, non potevo certo perdere la faccia con “quelli del 9°”.
Me ne torno a TP dopo qualche giorno con questo peso sullo srtomaco,un pensiero mi rode, il pensiero di aver deliberatamente violato ordini di Superiori, elementari norme di sicurezza e soprattutto non ero stato sincero ne con me ne con i miei colleghi, un atteggiamento di merda !
Dopo qualche giorno ne parlo al mio Comandante di Gruppo l’allora Tcol.Paolo Sfarra e decido di “confessarmi” in sala Briefing davanti a tutti i Piloti del Fantastico 18° Gruppo C.W.I. sperando che questa storia sia stata d’aiuto a qualcuno.
L’umiltà nel nostro mestiere non basta mai anche se…..”Quelli del 18° ” sono e saranno sempre i migliori
Fra le tante cose che un pilota di F104 si deve stampare bene in mente per poter convivere con lo Spillone c’è quella di un impianto che difficilmente si trova su altri aerei: il Boundary Layer Control ( per gli amici B.L.C.) Esso sfrutta la tecnica del soffiaggio dei flaps per ridurre la minima velocità di sostentamento ad alti angoli di flaps. Per far ciò viene prelevata l’aria ad alta pressione dall’ultimo dei 17 stadi del nostro Turbojet Engine With Afterburner J79 per condurla in prossimità delle cerniere dei flaps. L’aria compressa inizierà a defluire sulla superficie dei falps ad angoli superiori ai 15° di estensione. L’impianto è talmente importante che viene controllato dai nostri crew chief prima di ogni volo ed il pilota deve attenersi a precise regole nel momento in cui usa i flaps sulla posizione Land. Purtroppo però la bontà del B.L.C. ha anche un lato negativo. Infatti il suo malfunzionamento più grave è dato dall’asimmetria del getto d’aria compressa sulle due semiali con conseguente rollio del velivolo dalla parte in cui “soffia meno”. Questo fenomeno, anche se remoto, è possibile con un regime motore al di sotto dell’80%. Capite bene quindi che il corretto funzionamento e la giusta tecnica di utilizzo siano alla base di una felice convivenza Pilota – Spillone. Per evitare tale inconveniente, i nostri bravi istruttori che ci presero per mano quando avevamo l’aquiletta appena turrita, ci hanno ripetuto fino alla nausea di non ridurre il motore mai sotto l’83% prima del contatto con la pista e di estendere i flaps su land ad un’altezza tale che ci permetta di controllare l’eventuale rollio. Io posso affermare con indubbia certezza che i miei istruttori avevano una sacrosanta ragione a ribadirmi quanto sopra. Era una delle tante stupende giornate maremmane. Io, istruttore da un paio d’anni, terminato il briefing meteo di Stormo mattutino, mi preparavo ad andare in volo con un allievo che ormai conoscevo abbastanza da poter dire che non avrebbe avuto particolari problemi a terminare il corso di pilotaggio dell’F104 presso il glorioso 20° Gruppo A.O.. La missione prevedeva alcuni “touch & go” al rientro dalla zona di lavoro che furono eseguiti come da manuale dal provetto pilota. Ma al momento di effettuare il “full stop” qualcosa non andò per il verso giusto. Fatto l’ennesimo stretto dopo il riparte, cedo i comandi dello Spillo all’allievo per l’ultimo atterraggio. La vista del paesaggio quella mattina era però talmente bella che un’azione incondizionata fa sì che le mie mani si allontanano dalla posizione usuale di “blocco meccanico” per eventuali errori dell’allievo e si vanno a posare sopra il cruscotto ed i gomiti si appoggiano sui montanti del tettuccio. Il mio bravo allievo, mantenendo i previsti 2.500ft del circuito stretto, inizia a “sporcare” per l’atterraggio. E quindi giù il carrello a 250kts, una spuntatina di motore e giù anche i flaps su land a 230kts. La pista intanto scorre sulla destra e quando pronto inizia la virata base a destra: “Grosseto tower mission 170 turning on base three green, land land, full stop”. Il controllore ci autorizza all’atterraggio e siamo ormai in finale con la pista avanti a noi. Come mio solito fintanto che siamo in finale “sbircio” a sinistra il corretto allineamento (e giusto sbirciare si può dal posto posteriore) e quando in cortissimo, prossimo al contatto, guardo avanti a me per sfruttare la visione periferica ai fini dell’allineamento col centro pista anche se avanti non vedo proprio niente (atto di fede numero uno dell’istruttore di F104). La pista sta già scorrendo sotto di noi a pochi metri quando all’improvviso l’allievo, accortosi della velocità in eccesso, riduce drasticamente ad “idle”. Immediatamente dopo il velivolo inizia a rollare decisamente a destra. Di colpo mi accorgo che le mie mani non erano al loro posto a contrastare tale riduzione di motore e con uno scatto felino agguanto cloche e manetta mentre già il piede sinistro, prontamente in posizione, spingeva il pedale per tentare di tenere il muso alto dato che il bank aveva già superato i 60°. La pista non era più sotto di noi ma di fianco a destra a circa 4-5 metri. La velocità fortunatamente c’era e con le mani, una volta piombate sui comandi, scaravento la manetta a military (mai dare l’A/B in queste condizioni) e spingo la cloche a sinistra nella speranza di contrastare il rollio a destra. Il generoso J79 non aspetta un attimo a darmi la “zampata” che voglio e la combinazione istintiva dei comandi di volo riesce a dominare lo Spillo arrabbiatissimo per avergli infranto una delle regole che Lui pone. La riattaccata ebbe così successo (altrimenti non sarei qui a raccontarvela). In cockpit erano volate giusto alcune “esclamazioni” ma poi il silenzio fece la sua parte fino alla chiamata radio per richiedere un altro stretto. I commenti furono rimandati a terra dopo esserci bevuti una meritata bibita fresca al “Baretto del Ventesimo”. MAI SOTTO L’83% PRIMA DEL CONTATTO!!!
Search and rescue E’ una bella giornata di marzo, ma il fronte freddo in arrivo dalla Francia fa sì che il cielo limpido sia velato dai primi cirri, che preannunciano i temporali che ci attenderanno nei prossimi giorni. Il vento di ponente è pungente e di discreta intensità, viene da ovest-sud-ovest, sostanzialmente allineato con la pista della nostra base aerea, sui 15 o 20 nodi. E’ un tardo pomeriggio, sono in turno di allarme con Vittorio. Siamo arrivati insieme al gruppo, lui è più “anziano”, ha conseguito prima di me le qualifiche addestrative necessarie per essere dichiarati pronti al combattimento e per questo oggi lui è leader della coppia in prontezza in 5 minuti, mentre io sono il suo gregario, pur essendo anche io qualificato capocoppia. In caso di decollo su allarme è lui il capo, leader operativo e responsabile operativo della missione. In volo invece è diverso ed è questa la prerogativa dei gruppi intercettori. In volo anche il più giovane dei combattenti può diventare il direttore d’orchestra dell’intera formazione ovvero tactical leader. Durante un ingaggio diventa leader tattico della formazione chi per primo, con il radar o a vista, acquisisce il bersaglio o la minaccia e riesce per primo ad avere un’idea chiara di cosa sta avvenendo nello spazio tridimensionale, dandone subito informazione agli altri e disponendo i propri amici nella maniera più idonea per sferrare o parare un attacco. Da quando hanno inventato gli aerei da caccia ed il combattimento aereo, nel campo di battaglia sopravvive sempre e solo chi riesce a mantenere chiara nella testa la propria posizione relativa agli altri aerei (in poche parole sa sempre dove sono gli altri), evitando con cura di entrare nella portata di tiro dell’armamento nemico o riuscendo a fare entrare il nemico nel raggio d’azione dei propri missili o cannoni. Tutto ciò richiede un lungo addestramento, per potere affinare quelle qualità necessarie a formare un pilota da caccia che riesca non dico ad abbattere un nemico, ma a non essere mai abbattuto e vi assicuro che sopravvivere in un combattimento, per esempio di 4 aerei contro 4 aerei, con i nemici che sbucano da tutte direzioni, che si incrociano a velocità supersonica con pochi secondi per decidere il da farsi, non è una cosa facile. Tutti i piloti del gruppo se ne sono andati, l’attività addestrativa si è conclusa, rimaniamo solo Vittorio ed io (che siamo d’allarme) con l’onnipresente Enrico, il vicecomandante di gruppo, che appesta con il suo sigaro la sala operativa del Gruppo mentre studia qualche pubblicazione NATO sulla quale deve indottrinare i piloti. Passa un aereo a bassa quota. Per istinto alziamo la testa e dalla finestra vediamo la sagoma familiare dell’ MB326 della Squadriglia Collegamenti della base, che sorvola la pista. C’è bisogno di addestrare i controllori radar dell’aeroporto all’avvicinamento radioguidato dei velivoli alla pista ed i 2 piloti del biposto da addestramento stanno simulando avvicinamenti strumentali in condizioni meteo avverse. Dentro la palazzina radar della base un controllore alle prime armi, sotto la guida di uno più esperto, apprende la nobile arte della guida radar. Un buon controllore radar deve essere capace di guidare un aereo in discesa sino a 100 metri di quota esattamente davanti alla pista ed anche lì l’addestramento è lungo e faticoso. Passano una decina di minuti di questo pomeriggio sonnolento, quando squilla il telefono diretto con il sito radar della difesa aerea cui la base è associata nel servizio di sorveglianza dello spazio aereo, nome in codice Barca. Sto per rispondere quando Enrico, preceduto dall’odore del suo sigaro, agguanta la cornetta. Dai brandelli di conversazione che ascolto capisco che è successo qualcosa. Enrico riappende la cornetta e tira una profonda boccata di sigaro come sempre fa quando pensa intensamente. “Chè è successo?” “Barca dice che hanno ricevuto un segnale di emergenza di un velivolo al largo di Gaeta. Mi chiedono conferma se abbiamo il 326 in contatto radio. Del resto è l’unico in volo in questo momento.” “Ma sono sicuri?” “Hanno ricevuto un solo segnale radar con il codice d’emergenza ma il controllore è sicuro che sia successo qualcosa. L’ultimo contatto è di 5 minuti fa. L’aereo è scomparso.” “Magari sono bassi. Che quota avevano prima di…..” “Lanciarsi?” interviene Vittorio che ci ha raggiunto in sala operativa. “Beh, non volevo portare sfiga ma …” Enrico si richiude nei suoi pensieri e noi lo guardiamo sommerso dal fumo azzurrognolo. “Salvo, tu chiama Barca e cerca di saperne di più, fai avvertire da loro il Centro di Controllo di Martina Franca, riceveranno una chiamata dal nostro Comandante; Vittorio cerca di avere qualche informazione in più dalla torre di controllo, io chiamo il Capo”. “Martina Franca?” “Certo ragazzi, se l’aereo non si trova, lo andrete a cercare pure voi, anche se siete d’allarme e dovreste decollare solo per intercettare una minaccia al Patto Atlantico. Abbiamo tre quarti d’ora di luce, con un mare forza 4 e la temperatura dell’acqua di Marzo, 13 gradi in mare nella migliore delle ipotesi. Quanto pensiate che possa resistere un uomo prima di assiderarsi, senza la tuta termica di sopravvivenza? Avete idee migliori?” No, nessuno di noi ha idee migliori, dobbiamo sbrigarci. Passano interminabili minuti al telefono, il velivolo non si trova e non è in contatto con nessun altro ente di controllo confinante con la base. Aumenta in noi la consapevolezza del fatto che ogni minuto è prezioso e che dobbiamo sbrigarci. Il Comandante di Base era in palestra per rilassarsi dopo una dura giornata di lavoro, si è infilato la tuta da volo ed ha chiamato il Comandante del Centro di Controllo Tattico. Ha ottenuto il permesso per il decollo per questa missione particolare e piloterà personalmente l’elicottero della Squadriglia Collegamenti e Soccorso insieme al pilota di elicotteri più esperto della base. Dopo pochi minuti Enrico raccoglie la telefonata con cui ci ordinano di partire. “Ragazzi andate, siete autorizzati, sbrigatevi….” Stavolta non dobbiamo intercettare un russo, si deve cercare qualcuno in acqua, e quel qualcuno sono due nostri amici!!! Mentre corriamo ai velivoli i nostri sottufficiali preparano il decollo dei nostri velivoli, mentre dall’altro capo della pista altri marescialli preparano l’elicottero AB212 del Soccorso. Fortunatamente anche loro erano pronti su allarme ma impiegheranno un pò più di tempo di noi a decollare e a raggiungere il mare aperto. Corriamo a bordo e mettiamo in moto i velivoli. Giggino mi passa le cinghie mentre faccio cenno a Giulio di staccare tutti i sistemi di alimentazione esterna dell’aereo, collegati a questo con una serie di cavi e tubi. Faccio un rapido cenno a Giggino a cui confermo che ho visto che ha rimosso le spine di sicurezza del seggiolino, lo osservo mentre allontana la scaletta dal velivolo e attendo che ambedue gli specialisti siano davanti a me con il pollice alzato. Guardo Vittorio nel suo velivolo a pochi metri da me che sta terminando i suoi preparativi e chiudo il tettuccio. Vittorio si gira, mi guarda e si assicura che io sia pronto, gli rispondo con un cenno del capo. “Golf Tango, scramble”. La seconda è la parola in codice che vuol dire che si è pronti al decollo immediato, Golf Tango è il nominativo dei velivoli della base. “Autorizzati all’allineamento e decollo sin d’ora. Dopo il decollo contatterete Barca sulla frequenza Papa 124. Che quota occuperete in zona?” “Resteremo al di sotto di 500 piedi”. “OK, sarete al di fuori della zona di controllo di nostra responsabilità, vi passeremo i traffici di cui verremo a conoscenza tramite Barca”. “Copiato”. Vittorio ripete l’autorizzazione ed esce dal parcheggio. La torre ci ha voluto avvisare che saremo al di fuori degli spazi aerei controllati e che potrebbero esserci altri aerei in zona e la responsabilità di evitare “incidenti” sarà solo nostra, loro possono non essere in contatto radio con chi razzola liberamente al di sotto degli spazi aerei contollati. Vittorio si allinea e mi attende sul lato destro della pista. Benché autorizzato al decollo sa bene che è buona norma attendere il gregario per decollare. Con una separazione di non più di 20 secondi fra i 2 velivoli al decollo, la formazione resta integra e si giunge insieme sull’obiettivo. Entro anche io in pista e annuncio “il 2 è pronto all’allineamento e decollo”. Vittorio dà motore ed il fumo nero dello scarico diventa rosa, poi bluastro, infine arancione. Il rombo del J79 mi entra in cabina, mentre osservo i parametri del mio motore salire regolarmente mentre la spinta sale regolare ed inesorabile. Dopo avere raggiunto i 100 nodi comincio già a cercare il velivolo del leader e lo vedo virare lentamente a destra. Arrivo a 175 nodi in pochi secondi, ruoto il muso, sono in volo e tiro su il carrello immediatamente mentre a pochi metri da terra già viro a destra per raggiungere il leader. Uno sguardo dentro per assicurarmi che il carrello sia su e bloccato e poi torno a guardare fuori. Accelero a 450 nodi senza retrarre i flap, tolgo il postbruciatore solo allora e mantengo la velocità per chiudere in fretta sul leader. Quando sono a 500 metri da Vittorio, metto il motore al minimo e la combinazione della mia decelerazione e della sua velocità costantemente a 350 nodi mi permette di fermarmi a 150 metri da lui, in una posizione di attesa, comoda. Mentre Vittorio manovra a bassa quota mi mantengo in questa posizione, spostandomi nello spazio come restndo sulla superficie di un cono sul cui apice si trova il velivolo del leader. “Golf Tango andiamo sulla frequenza di Barca” “2” “Barca missione Golf Tango” “Golf Tango, Barca, buonasera, dirigete con prua 290 per altre 10 miglia. Restiamo in attesa.” “Roger, nessun contatto?” “Nessuno” Alla nostra velocità ci mettiamo meno di 2 minuti. “Salvo, c’è una grossa macchia di carburante sul mare, la vedi? Orbitiamo qui sopra”. Cominciamo a girare in cerchio, ma c’è da risolvere qualche problema. Innanzitutto mi devo mettere lontano da Vittorio perché se devo tenere a bada lui, non riesco a concentarmi sulla ricerca visiva. Dopo essermi allontanato un bel po’, mi rendo conto che ho bisogno di scendere e rallentare, ovvero devo mettermi nelle migliori condizioni per vedere qualcuno. Certo, se mi tengo a 150 metri di altezza e a 700 chilometri all’ora non vedrò un bel niente. Mi abbasso sino a 50 metri, sto per dirlo a Vittorio quando mi accorgo che anche lui ha la mia stessa idea. Adesso manteniamo entrambi una virata a sinistra costante ad una velocità di 250 nodi, un’inclinazione alare di 60° e 2 G costanti. Ai G siamo abituati, non li avvertiamo neanche 2 G. L’aereo, carico di carburante ed a bassa velocità, sul mare, è al limite delle prestazioni, stiamo entrambi facendo qualcosa di rischioso e lo sappiamo, siamo entrambi attentissimi. Una piccola distrazione e finiamo in acqua anche noi, l’aereo non perdona molto così bassi e a queste velocità. Tengo il postbruciatore inserito di tanto in tanto, il rumore dell’aereo giungerà anche ai naufraghi e se ci vedono magari sparano un razzo di segnalazione. Altro problema è il mare. Le onde si frangono, le creste percorrono la superficie del mare per una decina di metri, talvolta si forma qualche cavallone. Non è la condizione migliore per vedere qualcuno, tantomeno per recuperarlo. La faccia di una persona è bianca e dovrebbe vedersi, ma il resto del corpo coperto dalla tuta di volo si mimetizzerà con il mare grigiastro Almeno il battellino di salvataggio immaginavo di vederlo più facilmente, è di colore arancione. Le onde e la spuma mi creano numerosi falsi allarmi, mi sembra di vederli ad ogni giro. Vittorio decide di invertire il senso della virata ed è una buona idea, ho bisogno di rilassare i muscoli del collo. “Golf Tango da Barca”. Il radar ci chiama. “Avanti Barca” risponde Vittorio. “Golf Tango, c’è l’elicottero in zona, fra 1 minuto sarà da voi, gli dico di venire su questa frequenza?” Il Comandante di base li anticipa, “Golf Tango siamo già su questa”. L’elicottero è anche lui in frequenza, dopo un breve scambio di convenevoli lo informiamo che siamo bassi ma ci teniamo al disopra dei 100 piedi di quota, mentre l’equipaggio dell’AB212 resterà al di sotto. Stiamo girando in tondo da quella che mi sembra un’eternità, ma siamo pieni di combustibile, possiamo restare altri 50 minuti qua sopra. Il problema è che il sole fra 30 minuti tramonta. Mi preoccupa che non abbiamo visto un battellino di salvataggio, un razzo di segnalazione, nulla. Ce l’avranno fatta a lanciarsi?. Altro cambio di direzione, torniamo a virare a sinistra sulla larga macchia di olio e kerosene, che il vento ed il mare deformano rapidamente. Mentre Vittorio cambia direzione i miei occhi mettono a fuoco il suo velivolo e sotto di lui percepisco per l’ennesima volta una forma irregolare che tengo d’occhio senza riuscire a capire bene cosa sia. Il velivolo del leader passa esattamente su quella cosa e da questa parte un razzo di segnalazione! “Vittorio sono sotto di te, li vedo! Vittorio vira a sinistra e ripassa qui sopra, io li sorvolo e viro a destra. Vittorio tienimi d’occhio tu, io cerco di tenermeli sempre in vista!” “Roger” In realtà non li vedo ancora. Passo sopra il punto da cui ho visto partire il razzo, ma non riconosco nulla di simile a persone in mare, il mare è grosso ed ho avuto pochi secondi, la visibilità comincia del resto a scarseggiare. Comincio a virare a destra e per essere sicuro di ripassare esattamente sul punto, mantengo una virata con velocità ed angolo di inclinazione costanti, stringo di più la virata per non allontanarmi troppo, sforzandomi di tenere il collo puntato verso la macchiolina sul mare, osservo Vittorio fare lo stesso. Le vertebre cervicali mie e di Vittorio, che stanno sorreggendo la testa appesantita dai nostri caschi e dall’accelerazione, ringraziano per lo sforzo a cui le sottoponiamo. Mentre viro, vedo l’elicottero che passa 500 metri a ovest del punto dove dovrebbero trovarsi i naufraghi. “Virate a destra, mettete prua 110 e dovreste vederli”. “Ricevuto”. Sto per ripassare sul punto e informo l’equipaggio del Soccorso. “Il punto dove li ho visti è sotto di me ………….ora!” Finalmente li vediamo entrambi, o almeno credo di vedere le facce di qualcuno che guarda in alto, io sono troppo veloce, è troppo scuro e loro sono immersi nell’acqua grigiastra. Sono certamente lì sotto, ma l’importante è che li veda l’AB212, saranno loro a recuperarli. Pochi secondi ancora e l’equipaggio dell’elicottero li avvista. Ci alziamo di quota entrambi e restiamo a guardare il recupero. Osservo il sottufficiale aerosoccorritore (il nostro uomo-rana), tuffarsi e scomparire in acqua (cavolo com’è difficile vedere qualcuno!) e riesco a vedere i naufraghi mentre vengono tratti in salvo con difficoltà. Erano in due sullo stesso battellino!! I loro corpi coprivano totalmente il canotto arancione e per questo non riuscivo a vederli! Il colore scuro delle tute, nel mare al tramonto, aveva fatto il resto. Salvatore, uno dei due che si erano lanciati, aveva riportato nell’eiezione un trauma alla schiena ma era riuscito ad issarsi sul battellino e ad armare i razzi di segnalazione. L’altro, soprannominato l’Omone o la Bestia, 188 cm per 90 kg di peso, era illeso, si era liberato del suo canotto per unirsi a Salvatore ed aveva nuotato per qualche centinaio di metri nel mare mosso! Entrambi erano semiassiderati, ma l’Omone era con il corpo in acqua da almeno mezz’ora e resisteva ancora, lasciando tutto il battello a Salvatore che aveva la schiena a pezzi. Quando ci hanno sentito arrivare, con tutto il rumore che facevamo, Salvatore ha atteso che uno dei 2 velivoli passasse sopra le loro teste abbastanza vicino, per sparare un razzo ed essere sicuro di essere visto. Quando il velivolo di Vittorio li ha puntati ha sparato un razzo, che io ho visto perché ero dietro ed in posizione favorevole. Vittorio era passato esattamente su di loro e di questo dovevamo ringraziare la dea bendata o qualche santo protettore. Dopo l’atterraggio riceviamo le pacche sulla spalle dei sottufficiali, un pulmino ci preleva e ci porta nell’infermeria della base a salutare i nostri amici. L’Omone trema dal freddo come non ho mai visto nessuno fare e non riesce a parlare ma il suo sguardo vale più di ogni ringraziamento. Il Comandante ci riunisce al Circolo Ufficiali e mentre questi si congratula con tutti offrendoci da bere, Peppe legge un libro sul bancone. “Peppe, che stai facendo?” Peppe mi guarda pensieroso e non mi risponde consultando le pagine, prende appunti e scrive dei numeri. “Che stai leggendo?”. Finalmente mi risponde mostrandomi il fogliettino. “Ho consultato la smorfia. E se questi numeri ce li giocassimo al lotto?” Fu un ambo secco memorabile…..
THE F-104 IN SEA
F-104Cs served in SEA in 1965-66 and 1966-67 during two separate deployments. Over the course of these two deployments, seven F-104s were lost to enemy ground defenses; one F-104 was shot down by an enemy aircraft, and no enemy aircraft were engaged by F-104s while flying escort or CAP missions. It has been said that the F-104s “never had a mission and never made a mark” in SEA. Misconceptions, myth and misinformation about the F-104 have led to this impression. The facts tell a different story. By 1964, the USAF’s only primary air superiority aircraft, the F-104C, had been forward deployed on several occasions to project US power and assure control of the air during world crises. The F-104 was widely regarded as the world’s foremost daylight air-to-air platform, and the pilots of TAC’s 479th TFW, the only operators of the F-104C, had proven themselves to be masters of their trade in numerous mock air-to-air encounters. It was therefore understood that the F-104Cs of the 479th’s 435th, 436th or 476th TFSs would rapidly deploy to any troublespot where air superiority must be quickly established. Such a spot was SEA in 1965.
Operation Two Buck
Soon after the Gulf of Tonkin incident in August 1964, TAC began deploying aircraft in Operation Two Buck, a TDY jet force buildup in SEA. At the time of the initial 1964 buildup, PACAF advocated deployment of an F-104 contingent to protect US air traffic over the Gulf of Tonkin from harassment by PRC and NVN aircraft. However, in January 1965 when TAC proposed sending F-104s to relieve TDY pressure on its overtaxed F-100 units, PACAF reversed its initial stance, citing the logistic complications of adding one more aircraft type to the SEA mix. PACAF was convinced the existing MiG threat in SEA did not warrant a unit dedicated to the air superiority role. Events in the following months would change PACAF’s opinion. With the beginning of Rolling Thunder strikes in March 1965, the tempo of bombing over NVN escalated substantially. Unfortunately, the tempo and aggressiveness of NVN and PRC MiG also increased. Initially the heightened aggressiveness was felt primarily by the USN as PRC harassment of aircraft over the Gulf of Tonkin stepped up. NVN aircraft then began to dog US bombing missions over NVN. On 3 April 1965 three NVN MiG-17s attacked a USN strike on the Dong Phuong Thong bridge, damaged an F-8 Crusader, and escaped unharmed. The following day, two NVN MiG-17s attacked a flight of four F-105s that were waiting their turn to bomb the Than Hoa bridge. The MiGs approached without warning, shot down two of the F-105s, completely disrupted the strike, then evaded escorting F-100s to escape unscathed. Obviously, the existing early warning and fighter assets in SEA were insufficient to guarantee US air superiority in the region. Accordingly, an EC-121D College Eye unit was dispatched to extend radar warning coverage over NVN, and TAC was asked to deploy F-104s to escort the EC-121s over the Gulf of Tonkin and to provide a MiG screen for USAF strike aircraft over NVN. On 7 April, TAC issued the deployment order to the 479th TFW, and the first F-104Cs of the 476th TFS landed at Kung Kuan AB, Taiwan, on 11 April. Kung Kuan was to serve as the main operating base for the F-104s, with regular rotation of aircraft to the forward operating base at DaNang. Twenty-four F-104s were deployed to Kung Kuan, and of these, fourteen would be maintained at DaNang by rotation every ten days. This deployment scheme would be utilized throughout the F-104’s Two Buck commitment. After a work-up period of seven days, fourteen F-104s arrived at DaNang on 19 April and flew their first escort mission the next day. EC-121 escort missions typically involved three flights of four F-104s, and two KC-135s. The escort sorties typically lasted from two to five hours and the operating area was normally between 250 and 300 miles NNW of DaNang. MiGCAP missions over NVN utilized one to three flights of four F-104s deployed at various altitudes between the strike area and the Hanoi-Haiphong area. CAP points were 225 to 275 miles NNW of DaNang and on-station times varied from forty to ninety minutes. Aerial refueling was only required for the longer duration missions. The effect of F-104 deployment upon NVN and PRC MiG operations was immediate and dramatic. NVN MiGs avoided contact with USAF strikes being covered by F-104s, and PRC MiGs gave the EC-121s a wide berth despite the proximity to Hainan island, from where PRC harassment flights had previously originated. Much to the frustration of the pilots of the F-104s, during the entire deployment of the 476th only two fleeting encounters between F-104s and enemy fighters occurred. As it became apparent that the MiG threat had decreased, PACAF sought to find other uses for the F-104s to supplement their air superiority role. Toward the end of the 476th’s deployment, the F-104s began to be tasked for weather recce and ground attack missions. Weather recce missions normally involved two F-104s, which flew near enough a NVN strike target area to determine the pre-strike weather conditions without revealing the target’s identity. Twenty-one strike and AAA-suppression sorties were flown against targets in NVN, but the great majority of the 476th’s ground attack sorties were in-country CAS missions flown while under the control of airborne FACs. From these CAS missions, the F-104s quickly gained a reputation for accuracy with their cannon and bombs, and were specifically requested by FACs on numerous occasions because of their fast reaction time. The CAS missions took their toll, however, when an F-104 went down during a sortie 100 nm SSW of DaNang on 29 June. The pilot was rescued with minor injuries. On 11 July 1965, the 476th TFS completed its 96th day of TDY deployment. In all, 476th aircraft had flown 1182 combat sorties. 52% of these sorties were EC-121 escort; 24% were MiG screen; 5% were weather recce and 18% were ground attack missions. During this period, the 476th F-104s maintained an in-commission rate of 94.7%, a testimony both to the quality of 476th maintenance personnel and to the simplicity and maintainability of F-104 systems. Operation Cross Switch saw the 436th TFS assuming the 476th commitment in DaNang on 11 July, and the 436th began flying combat sorties the next day. From the outset however, the overall mission of the 436th was of a different flavor than the 476th’s. Although a small number of MiGCAP and escort sorties were flown in July, the great majority of the sorties initially flown were of the CAS type. Beginning in late July, the 436th was fragged to maintain four F-104s on fifteen-minute alert to provide quick-reaction close support of friendly ground troops. This alert commitment was not dropped until the end of September when the escort missions again took precedence. Interdiction/strike and ResCAP missions in NVN were also flown. By the end of their three-month deployment, 56% of the combat sorties flown by the 436th were of the ground attack type. Although the F-104’s high speed and small size made it a difficult target for AAA gunners, questionable missions such as strafing AAA sites inevitably had an impact. Aircraft began returning from CAS missions with battle damage. On 23 July, Capt. Roy Blakely attempted to crash-land his battle-damaged F-104 at Chu Lai. Blakely successfully set his aircraft down gear-up, but died when his F-104 swerved off the runway into a sand dune. PACAF headquarters apparently took notice of Blakely’s death, because mission fragging took a more realistic turn soon thereafter. The 436th’s bad luck did not end with Blakely’s death, nor with the return to escort missions. On 20 September, Capt. Philip Smith became lost while flying an EC-121 escort mission over the Gulf of Tonkin. After several equipment failures and numerous incorrect steering commands from DaNang and a tanker, his F-104 wandered over Hainan and was shot down by a PRC J-6 (MiG-19S). The day was not over though. Two F-104s returning from searching for Capt. Smith’s F-104 collided while penetrating weather on a nighttime approach to DaNang. Both pilots ejected and were recovered unharmed. The events of 20 September would have far-reaching effects on the employment and eventual removal of the F-104 from SEA service. Despite its losses, the 436th’s deployment was a success. PRC and NVN MiGs were never encountered during any of the escort or MiGCAP missions, a sign of the enemy’s continued respect for the capabilities of the F-104. The 436th also expanded on the 476th’s tradition of quick-response and accuracy while flying in-country CAS missions and NVN strike missions. During their deployment, 436th F-104s flew 1382 combat sorties, for a total of 3116 hours, while maintaining an in-commission rate of 88%. The first seven F-104s from the 435th TFS arrived at DaNang on 14 October 1965 to assume the mission commitments of the 436th TFS. The arrival of the 435th also marked the practical end of F-104 fragging for CAS missions in 1965. Only 12 CAS sorties were flown by the 435th; the other 407 combat sorties were of the escort or MiGCAP type, including 12 ResCAP sorties. The primary mission of the 435th was the escort of EC-121D and C-130E-II Silver Dawn aircraft over the Gulf of Tonkin. The aircraft were escorted separately, with flights of four F-104s rotating to cover the general area of the EC-121, and flights of two F-104s rotating to provide constant visual escort for the Silver Dawn aircraft. Coverage was maintained ten hours per day. The 435th’s deployment was cut short when, on 21 November, its F-104s and personnel were recalled to Kung Kuan in preparation for re-deployment back to the US. TDY units were to be replaced by permanently based units, and the F-4Cs of the 390th TFS assumed the 435th’s escort mission at DaNang. The 435th deployed back to George AFB, with the final equipment-carrying cargo aircraft landing on 25 December, the start of the 1965 Christmas bombing halt. During the F-104 Two Buck deployments, NVN and PRC MiG activity had decreased to the point where MiGs were not considered a primary threat to USAF aircraft in SEA. TAC and the State Department recognized the F-104’s contribution to the decrease in MiG activity, but PACAF seemed only to dwell on the “waste” of maintaining single-mission aircraft in SEA. PACAF felt that the F-4C could effectively fill the F-104’s MiGCAP and escort roles while also providing the capability of delivering larger tonnage (read: high bomb counts) in CAS missions.
Return Engagement
In the early months of 1966, MiG operations in SEA again began to increase. In addition, NVN MiG-21s began to be spotted in recon photos in March, and were first seen flying over NVN on 23 April. On 26 April, two MiG-21s attacked a pair of F-4Cs that were escorting an EB-66C over NVN. One of the MiGs was shot down by one of the F-4s, and the other MiG escaped, but the limitations of the F-4C and its missile-only armament soon became of great concern to 7th AF. Air superiority in SEA was again in jeopardy. On 29 April, 7th AF’s request for more F-104s was met with approval by the Air Staff. PACAF then explained the need for an F-104 re-deployment to CINCPAC, and received concurrence on 14 May. After granting of JCS approval, eight F-104Cs of the 435th TFS landed at Udorn, Thailand on 6 June 1966. At the time of the F-104’s second deployment to SEA, TAC was in the process of phasing-out the type. The 479th TFW was converting to F-4 aircraft and when the 435th’s F-104s crossed the international dateline, they were attached to PACAF’s 8th TFW. On 7 June, the eight F-104s began flying missions in concert with 8th TFW F-4C aircraft, escorting F-105 strikes over NVN. Special tactics were employed which exploited the unique capabilities of the F-104s and the F-4s. Unfortunately, no MiGs were encountered. These missions also involved close coordination with the F-105 strike aircraft, the Thuds providing SAM warnings for the F-104s, which lacked RHAW gear. Soon after the F-104s arrived at Udorn, the Wild Weasel III EF-105Fs deployed to Korat, Thailand. After some unsatisfactory attempts at using F-4s to escort the Wild Weasels, it was decided to give that mission to the F-104s. The F-104’s range and speed was superior to the F-4’s in the Weasel escort mission. The Weasels appreciated the F-104’s ability to stay with their Thuds, often tailoring missions to the availability of F-104s for escort. F-104 availability was enhanced on 22 July, when an additional twelve F-104s deployed to Udorn and joined the 8th TFW. 1 August brought tragedy to the 435th when two F-104s were lost to SAMs within one hour. Their pilots, Lt. Col. Arthur Finney and Capt. John Kwortnik, were both killed. The loss of one-tenth of the USAF’s remaining combat F-104C force in one day led to a re-assessment of the need to escort Wild Weasel missions. It was reasoned that at the speeds and altitudes at which Weasel F-105s operated, the MiG threat was negligible. Furthermore, the Weasels were regularly exposed to intense target defenses, and it was judged a reckless utilization of very limited F-104 assets to place them in harm’s way if a viable MiG threat could not be demonstrated. The F-104s were therefore withdrawn from strike escort missions over NVN until they could be fitted with ECM gear, and until the MiG threat increased — because, once again NVN MiG activity dropped perceptibly when F-104s entered the theater. By late August 1966, F-104s had been shifted to a primary ground-attack role. Missions in the lower RPs, in Laos and SVN were deemed safe enough for F-104s. However, losses continued to mount. On 1 September, an F-104 was shot down by AAA while conducting a road recce mission over northern Laos. Its pilot, Maj. Norman Schmidt, was captured and died in captivity. On 2 October, another F-104 went down over northern Laos; this time to a SAM. The pilot, Capt. Norman Lockhard, was rescued. The final blow was struck on 20 October when Capt. Charles Tofferi, 1962 William Tell winner, was shot down and killed by AAA over northern Laos. Although the Air Staff had repeatedly questioned F-104 use in the ground attack role, there was no mission change until Tofferi’s death. In early December, the F-104s were assigned exclusively to escort missions. By late 1966, all F-104s in SEA had received APR-25/26 RHAW gear under Project Pronto. So equipped, the F-104s once again began flying missions over NVN. Sixteen F-104s took part in Operation Bolo on 2 January 1967. Notably however, the F-104s were not used to actively entice and engage MiGs, but were fragged instead to protect the egressing F-4 force. The F-104s of the 435th continued flying escort missions over the Gulf of Tonkin until 19 July 1967, when they were withdrawn from the theater and replaced by F-4Ds of the 4th TFS. The official reasons for the withdrawal were the need to shepherd remaining F-104C assets in case the MiG threat increased in SEA or elsewhere in the world, the imminent phase-out of the F-104 from active USAF service, and the deficiency in air-to-ground load that could be carried by the F-104. During their second deployment to SEA, the F-104s of the 435th TFS had flown a total of 5306 combat sorties, for a total of 14,393 combat flight hours. Due to increasing parts shortages and unrelenting sortie rates, aircraft in-commission rate dropped from a high of 85% to a low of 62%. Nevertheless, despite their tired birds, the 435th maintained the reputation of the F-104 among the warriors in SEA. If the F-104C is judged against other US aircraft for its ability to sustain battle damage, to deliver large bombloads or to conduct operations in bad weather, the 104 rates as an also-ran. If, however, the F-104C is judged for its ability to deter MiGs, to ensure the safety of the aircraft entrusted to its escort, or to out-perform any aircraft in existence at the time, the Zip4 is unrivaled.
The F-104 had a mission in SEA: air superiority — a mission it performed brilliantly.
Foot Notes
(1) Quote of unknown origin. Commonly attributed to the pilot of another fighter type in SEA.
(2) Contrary to popular opinion, the F-104 was not designed as a high-altitude bomber interceptor. The F-104 was designed as a daylight air superiority fighter, with secondary ground attack capability, to replace the F-86. The source of the interceptor misconception is probably the fact that the F-104 first entered service in February 1958 as an interim interceptor with the ADC in the form of the F-104A. The F-104C air superiority fighter did not enter service with TAC until October 1958.
(3) Bitburg, Hahn and Ramstein in 1961; Hahn and Key West in 1962; Homestead in 1964.
(4) By 1962, the F-104 had established a reputation as almost unbeatable in ACM. This reputation was later justified during the USAF’s Project Featherduster evaluations, the USN’s F-4/F-104 maneuvering target testing, and numerous F-104 wildcard appearances at the USAF-FWS. Notably, the F-104’s ACM capability was assessed by the USAF as “superior to all other aircraft evaluated at altitudes below 20,000 ft.”
(5) The reputation of the 479th TFW was well known even before the introduction of the F-104C. Somewhat akin to the USN’s F-8 community, the 479th continued to regularly develop ACM skills even when this practice became politically incorrect in the late ’50s thru early ’60s. Furthermore, the 479th was the first USAF wing to adopt Riccioni’s “Double-Attack” tactics, which proved ideally suited to the F-104, and were instrumental in the performance of the 479th’s F-104s against other aircraft in ACM practice.
(6) The first encounter involved a pair of F-104s, which were vectored after a MiG-21 that had just departed Hainan island. Directed by Red Crown, the two F-104s engaged in a supersonic chase over NVN before the MiG ran across the Chinese border. One of the F-104 pilots, Capt. George Wells, related how his flight was rapidly closing on the MiG at Mach 1.4 when they entered the buffer zone and were forced to turn back before crossing the Chinese border. The second encounter occurred during the return from a MiGCAP mission approximately 30-35 miles south of Hanoi. Four F-104s were proceeding back to DaNang, low on fuel, when a PRC J-6 popped out of the undercast only 1-1.5 miles in front of the flight, facing away. Before the Starfighter pilots could react, the J-6 lit both of its afterburners (confirming its ID as a Farmer) and dove into the clouds. It is the opinion of one of the pilots, Capt. Thomas Delashaw, that the J-6 had been under GCI control, and had been warned of the F-104s’ approach by ground radar.
(7) The F-104’s high speed and simplicity of systems allowed it to reach targets 250 nm from DaNang within forty minutes of alert — including the ten minutes required for the pilot to travel the 1/4 mile to his aircraft.
(8) The official cause of this loss was AAA fire received during roll-in for a dive bomb pass. However, it is the opinion of several 479th pilots that the loss was due to pitch-up and departure, caused by error on the part of this F-104’s inexperienced pilot.
(9) It should be noted that Capt. Smith’s shootdown was in no way his fault. Smith was an experienced and accomplished pilot, and was one of only two F-104 USAF-FWS graduates. Smith got lost because of a series of equipment failures (primarily his IFF transponder and his standby compass) and bad luck. The J-6 that shot him down was GCI vectored from within a cloud layer to attack position. It is testimony to Smith’s nature that after being hit by the J-6, he cleared a compressor stall, selected his remaining Sidewinder (the other had been shot off along with a wingtip), and was maneuvering into firing position against the J-6 when his hydraulics failed and he was forced to eject. For more details of Smith’s shootdown and subsequent imprisonment, the author highly recommends “Journey Into Darkness,” by Col. Philip E. Smith (ret) and Peggy Herz, Simon and Schuster, 1992.
(10) Again, it should be noted that the pilots, Capts. Harvey Quackenbush and Dale Carlson, were not at fault. Quackenbush had only two formation lights and Carlson had no instrument lights; the frenzied pace of F-104 operations at DaNang had precluded maintenance of such “non-essential” equipment as that required for night flying.
(11) Following Smith’s loss, there was official concern about the F-104’s lack of advanced navigational gear. It was feared that F-104s would be susceptible to border violations because they did not have a doppler, INS, or even a UHF/ADF system. Such equipment did not guarantee against wayward aircraft however, as was stressed when two USN A-6Es with INSs and navigators wandered over China and were shot down in 1967. F-104C pilots were very adept at navigation and beside Capt. Smith’s loss — which was due to equipment failure and bad luck — there were no instances of F-104s unknowingly violating buffer zones, bombing the wrong target, getting lost on the way to a target, etc.
(12) While PACAF expressed great confidence in the F-4C’s ability to successfully engage MiG’s with AIM-7s, TAC had misgivings. Experience with SEA RoE and the F-4C’s weapon system was to prove TAC’s concerns well justified. The JCS agreed, and directed that F-104 assets be carefully utilized and conserved until the internal-gun-armed F-4E entered service and proved itself capable to handle all projected threats.
(13) Looker-shooter tactics. F-104s would accelerate ahead to obtain visual ID on targets located by F-4 radar. If possible, the targets would then be engaged by the F-4s’ AIM-7s. If Sparrow engagement was not successful, the F-104s would then re-engage the targets and shoot them down with cannon or AIM-9.
(14) “In-Country and Out-Country Strike Operations in Southeast Asia, 1 Jan 65 – 31 Dec 69, Volume 2 – Hardware, Strike Aircraft,” HQ PACAF. It is a common myth that F-104s have a short range. In the low-altitude Weasel escort mission, the F-104C has approximately 1.15 times the range of the F-4C. In the medium-altitude strike escort mission, the F-104 has approximately 1.05 times the range of the F-4C. 1F-104A-1 and 1F-4C-1-1.
(15) Tofferi had won the 1962 William Tell meet in the F-104C’s second appearance, collecting a total of 19,018 pts. His performance included perfect scores in air-to-air gunnery (Tofferi destroyed the dart in only 63 seconds with 86 rounds), air-to-ground rocket, strafing and napalm attacks.
(16) In defense of the Operation Bolo planners, the 435th’s F-104s were somewhat of an unknown quantity to the 8th TFW staff, so their inclusion in the plan in only a support role is understandable. The F-104s would have undoubtedly been useful if included in the MiG engagement force. Besides the performance and weapons advantages the F-104s could have offered, the F-104s also had a much smaller visual signature than the F-4s thus decreasing the range for positive visual ID by MiGs, and the F-104’s RCS more closely resembled the Thud’s.
(17) It may seem contradictory that the F-104s were being shepherded to ensure their availability at the same time that they were due for phase-out. The plan was to retire the F-104Cs to ANG service once sufficient F-4Es were available to replace the Starfighter; however, F-104 retirement was accelerated because of the operational toll of sustaining operations in SEA. It was thought that F-104Cs could be safely managed by the 198th TFS of the PRANG, and could be returned to active service should the need arise.
(18) Notably, the accuracy and effectiveness of the F-104 in the air-to-ground role were never questioned, only its ability to deliver large numbers of bombs.
(19) “In-Country and Out-Country Strike Operations in Southeast Asia, 1 Jan 65 – 31 Dec 69, Volume 2 – Hardware, Strike Aircraft,” HQ PACAF.
(20) The rarity of the F-104C in the USAF, and its proximity to a planned phase-out date, led to numerous parts shortages. Even equipment common to other aircraft in SEA was not available to the 435th, and cannon spares were particularly scarce. The level of F-104 operations was only able to be maintained because of the quality of the 435th’s maintenance personnel and the dedication of individuals such as Lockheed’s Ben McAvoy.
(21) In December 1966, the F-104s of the 435th flew 506 combat sorties for 1706.9 hours. Nine aircraft flew over 100 hours, and one flew 156.4 hours that month. Eight of the 435th’s pilots flew over 100 hours, and one flew 127:25. When the State Department became aware of these facts, it sent a letter to Gen. Momeyer suggesting that the 435th be decorated for its outstanding achievement. Momeyer responded by directing an investigation of the 435th’s records, apparently disbelieving that only eighteen single-engined fighter aircraft could fly such hours. The records were confirmed, but the unit decoration was never issued. When the records were finally released to the press after the F-104’s withdrawal, the totals for the month of December 1966 were listed as the totals for the entire tour of the 435th in SEA, a mistake that endures in many publications to this day.
Tom “Sharkbait” Delashaw.
Tom has 6,000+ hrs. in fighters: F-84F; F-100A/D/F; F-104C/D/G/TF/CF; F-4C/D/E. He was one of only two active F-104 pilots to graduate from the USAF Fighter Weapons School. He completed two tours of duty in SEA, flying F-104s and F-4s. Tom maintains his ACM proficiency flying as an air combat instructor for the Texas Air Aces, Houston, TX. He is also currently flying civilian-owned F-104s as demo/instructor, F-100s, Hawker Hunters, and F4s. “Sharkbait” was the call sign of Tom’s F-4 squadron in SEA.
Mark “Top Wop” Bovankovich.
Mark is an engineer working for Lockheed Martin as a Operations Analyst. His expertise is in aero propulsion, aircraft performance, air combat tactics and history, and he has seven years experience in air combat simulation development. Mark is part owner of a MiG-21F-13 and is an avid sailplane pilot. The moniker “Top Wop” was bestowed upon him after he shot down two Su-27s while flying an Italian F-104S/ASA in an air combat simulation.
Here’s the story of Mel’s 1959 mid-air experience:
As described by Dave Perry, Mel’s wingman:
……. It occurred 40 years ago Nov 12th. We were headed for Myrtle Beach for deployment to Moron, Spain. I was in close formation on Mel’s wing when the T-bird out of Enid, OK slashed the cockpit off his airplane. I don’t know how it missed me, but it did. When I looked back after the explosion, the attached picture is about what I saw, except for the cockpit. It was gone! I can still see that in my mind’s eye. I thought Mel was a goner. Mel had flash burns on his face from the fire, but other than that he was OK. What a miracle! The picture is of a Mig-29 that was involved in a mid-air also. The pilot made it out of this one too.
Also from Dave Perry: I will try to reconstruct events as I recall them.
I don’t remember the exact time of day, but it was somewhere around noon I believe. I know we were to be in Myrtle Beach before dark. Weather conditions were high overcast with good vis underneath. This was a flight of 4. Mel was lead, I was 2. We had noticed the T-bird shooting a GCA missed approach as we lined up. We lined up in right echelon heading south. We were making a left turnout and I had to cross over after takeoff. 3 & 4 took the standard spacing for that time frame, what 7 secs maybe? I had just crossed over to the left wing to allow 3 & 4 to join on the right. I was in fairly close on Mel to stay out of the way of the element. I picked up the T-33 in my peripheral and recall seeing the front seater (IP) looking at Mel and the back seater (Student) did not have his hood over him. I did not have time to do anything but throw the stick in the Northwest corner. I felt the tremendous explosion and as my A/C completed the roll I looked back right and saw Lead’s A/C completely engulfed in flames. There was no cockpit on it. I heard 3 call for a right break to avoid debris and 4 responding “I am breaking right.” I looked for chutes and sighted only one. I began an orbit of the area to see if I could spot any other survivors. I was told to recover at Tinker after burning down fuel. Mel would probably have a copy of the report and could fill in the details. It was my perception that the T-33 was trying to buzz us and had misjudged our acceleration. I vividly recall the front seater looking up at Mel. He survived, but the student’s chute did not fully deploy. We were equipped with downward ejection at that time. Again, my recall is getting hazy when it comes to specific time etc., but I will never forget the sight of Mel’s plane or seeing the T-bird just before impact.
Here is Mel’s description:
will try and fill in some of the events that Dave left out. It was 1632, 12 Nov 59. We were supposed to refuel over Tex that morning and then non-stop to MB. The WX in the refueling area was too bad to RF so we waited. About 1300 they said to launch and refuel at Tinker. Landed, refueled and taxied out to the end of the RW. Twr cleared us on the RW but I said I would hold for the AC on final. Twr said ac was a GCA missed approach, low approach. I said I would still hold. T-bird made low app and I saw the hood up in the back and front seat pilot really giving us the once over. We took off and as Dave said, the element was joing up when Dave dropped down slightly, back in formation, then broke left. There was a BIG bang and the cockpit filled with smoke and I had no control of the AC.. I was forced to the left side of the CP at which time I pulled the ejection seat ring between my legs. I was forced to the left side of the CP and when I went down,(yes downseats at that time) my elbow hit the console. Everything worked like it was supposed too and the moment my chute deployed, the engine of the T-33 came right by me, burning my jacket, some of my face and part of my G-suit. CLOSE. I looked around and a B-45 was heading right for me. He max turned the bird to miss me. I then saw some Zippers flying by. I waved but they didn’t see me give them the thumbs up. Looking down, there wasn’t anything below me but oak trees. I crossed my legs, threw my arms up over my face and hit the trees. I came to looking up hanging by my straps in the tree. I said to myself, I’ve got to get out of this tree. I looked down and I was about 10 inches from the ground. I quick released my chute and dropped to the grnd. I was smoking then and had 2 quick cigs. I then felt something warm in my left glove and found it full of blood, bleeding from a slash in my elbow. I pulled my chute down, rolled it up and headed for a farm house I saw on the way down. I had not gone more than a 100 yards when a farmer and his son met me. I told them I needed to make a call to the base. We walked another 100 yards and a staff car pulls up. It was the Base Cmdr. He was really shook and I assured him I was OK. On the way back to the field, he was so shook up, he ran into the ditch once. I told him to slow down, I didn’t want to be killed in his staff car. Any way we made it. As a matter of record, the T-Bird pilot was stationed at Vance AFB, OK. The cadet did not have his D-ring fastened to his chute, therefore did not have an automatic chute. He separated from from the seat but was too low for his chute to open. The T-Bird pilot saw us on the end of the RW and wanted to shine his apple and make a pass on the Zippers. He got the T-bird going full speed on the deck and came around for a pass on us after we took off. We were at 3500ft and he did not see Dave and I, but was making a pass on the element, thinking it was Dave and me. the accident bd gave the T-bird pilot 90% pilot error and I got 10% for not writing up a weak radio receiver. As a matter of record, the work force at tinker had just gotten off work and there was over 450 witnesses. Also that night, the CG of Flt Safety was the guest speaker at the dining in at the O club. His topic that night was on Mid Air Collisions. Hope this gives you a little more info. The Zipper is still one of the greatest AC that was ever built and my favorite.
Racconto pubblicato nel 1982 su Aerospazio Mese.
“Se c’e un aeromobile che ha sempre goduto dl cattiva stampa quello è stato certamente il Lockeed F-104 Starfighter, il “cacciatore di stelle”. Intendiamoci: noi siamo stati tra i primi a parlare male dell’F104, soprattutto dell’F-104G come aereo da strike (bombardamento tattico nucleare), ma parlar male non vuol dire sparlare. L’F104 è stato concepito dal suo capo-progettista nel 1951 come intercettatore diurno e per superiorità area, relativamente leggero ed economico, ma con prestazioni elevatissime. E su queste prestazioni, riassumibili in una velocità di punta tra Mach 1.0 e 2.4 secondo le sltuazioni e le configurazioni, crediamo che non ci sia da discutere. Soprattutto, nel 1951, nessuno riuscì a “pensare” qualcosa di meglio. Anche per avionica ed armamento (direzione di tiro NA-SARR, cannone Vulcan da 6.000 colpi ai minuto e missili aria-aria ad autoguida) per molti anni ancora non si potè fare di più. Purtroppo, nel novembre 1952, quando fu definitivamente scelta la formula che ben conosciamo, il geniale progettista forse sbagliò, inconsapevolmente, data la scarsa conoscenza del fenomeno dell'”inertial coupling” (o accoppiamento inerziale) che colpì macchine per alcuni versi simili, come X-3, X-7, YF-100, XF-88, F-101, ecc, Il fatto, comunque, sarebbe stato ancora accettabile se l’F-104 avesse continuato a servire soltanto nel suo ruolo tipico, quetlo della “polizia aerea”; una rapidissirna “zoomata”, nella quale ancora oggi la “spillone” ha pochi rivali, verso un bersaglio anche ad elevate prestazioni ma di scarsa maneggevolezza (come un bombardiere), l’identificazione e l’eventuale distruzione. Ma qui entra in ballo la politica (e, con una certa probabllltà, anche le famose “bustarelle”): in un’epoca di transizione durante la quale i veri Mach 2 non erano encora disponibili e giravano rnolti aerei dalle vocazioni non troppo precise, la Lockheed ebbe buon gioco e NATO, CENTO a SEATO aderirono abbastanza in massa al programrna di costruzione di questo che oggi si definirebbe “world fighter”. Economico per l’USAF, lo Starfighter sembrò abbastanza caro per paesi che non erano andati più in là di F-84, T-33 ed F-86, per cui si pensò subito di far fare all’F-104 tutti i ruoli bellici e non solo la caccia pura per la quale era nato. Non bisogna poi dimenticare che quei diavoli degli “yankees” -il volo l’hanno nel sangue e, da sempre, hanno saputo volare su qualsiasi cosa avesse le ali (talvolta anche se le ali non le aveva) per cui l’F-104 “addomesticato” e migliorato della NATO era per loro una cavalcatura facilissima da domare, quasi divertente. La stessa cosa non potrá dirsi per alcune forze aeree che solo da pochissimi anni avevano potuto riprendere a volare dopo le pastoie del trattato di pace (leggi Giappone e Germania) o che, per motivi economici, avevano “saltato” una generazione di caccia: l’AM Italiana, ad esempio, passò dai “classe 80” che, diciamolo, erano poco píù che Mustang a reazione, ai 104, senza aver mai visto altri “classe 100”, mentre, ad esempio, Francia, Grecia, Danimarca,Turchia, Taiwan, ebbero anche la generazione dei vari F-100, F-101 ed F-102. Si aggiunga poi un discorso che non piace perché sa un pò di razzismo, ma che ha un profondo senso di verità (come potrà confermare qualsiasi istruttore anziano italiano): anche se non si deve generalizzare, ci sono alcune forze aeree che soffrono di una certa “resistenza” allo studio approfondito della macchlna prima del volo e durante. Se si aggiungono poi alcune “magagne” tecniche non facilmente sradicate, si avrà un quadro del perché gli F-104 cadevano (e cadono) con preoccupante frequenza. Ma l’obiettività del cronista obbliga ad aggiungere altri parametri: in alcune forze aeree gli F104 erano numerosissimi e volavano molto e quindi era logico che avessero anche più perdite, mentre in altre erano numerosi ma volavano poco, non permettendo agli equipaggi una sufficiente confidenza, se poi si pensa che i poveri cacciatori di stelle venivano trasformati in “cacciatori di carri” e li si costringeva a volare a bassissima quota e con pesanti carichi esterni, in condizioni di visibilità non sempre ideali, ecco che cominciamo a guardare lo “Spillone” con una certa simpatia. Tra le leggende che girano più frequentemente nell’ambito dell’AM ce n’è una che non viene quasi mai messa in dubbio, tanto che, tolti i nomi, i luoghi e le date, è ormai quasi storia ufficiale. Si parla di un finto combattimento fra un F-104 ed un F-4, nato per scommessa e finito con la perdita accidentale del Phantom. II protagonista da parte italiana sarebbe, secondo le varie fonti che abbiamo sentito, un F-104G o un TF-104G, nel primo caso dei 4° Stormo (o forse del 20° Gruppo), nel secondo caso esclusivamente del 20° Gruppo. La “vittima” sarebbe, invece, per parere unanime, un McDonnell-Douglas F-4B Phantom II dell’US Navy. La data dello scontro, per fortuna incruento, é di collocazione abbastanza incerta, per cui non ci sbilanceremo situandola, grosso modo, nella prima metà degli anni settanta. La località è invece indubbia, il Mar Tirreno e, secondo alcuni, più precisamente il Golfo di Napoli. Proviarno ad ipotizzare i contorni. Qualche vecchio manico (vecchio di F-104, ma non di età) del 20° Gruppo inviato a Grazzanise a ritirare, come talvolta avvenne, un F-104G monoposto del reparto locale ha incontrato alla mensa ufficiali un equipaggio di Phantom della 6° Fleet americana. Non é neppure da escludere che l’incontro sia avvenuto a Decimomannu in occasione di un’esercitazione. Ed ecco che la discussione si fa animata: “La nostra bestia tira quasi Mach 2 in cabrata”, “Si, ma l’F-104 ha una Specific Excess Power più esuberante”, “… Ma noi con il Phantom possiamo girarvi attomo…”, per cui si decise, dalle parole al fatti, di addivenire ad un “dogfight in bianco” il giorno dopo, con la complice approvazione delle autorità militari delle due parti, sempre pronte ad attizzare lo spirito di corpo. Non ci é facile ricostruire cosa è successo, in quanto abbiamo avuto il racconto da personale non pilota che, di fronte ai termini tecnici più ostici, ha preferito “Interpretare”. Ci vediamo una giornata serena sul Tirreno: l’F4 viene sparato dalla catapulta della sua unità, mentre il TF104G rulla sulla pista di Grazzanise. Il TF104G, con poco combustibile, ha un rapporto spinta-peso molto favorevole e “va su bene”. La sua “linea rossa” è posta molto in alto sul Machometro per un aereo della sua anzianità: da Mach 1,14 (teorici ad altrettanto teorici 0 m) si arriva a 1,25 a 1.500 m, 1,37 a 3.050 m, 1,5 a 4.575 m; la giornata è calda, siamo sopra l’ISA (Internacional Standard Atmosphere) e a 17.500 piedi (5.340 m) il ‘ 104 fa Mach 1,57 (la sua massima assoluta è Mach 1.92 ma a 9.150 m può fare 2.2 seppure con un continuo aumento della temperature delle prese d’aria, mentre in picchiata si dice che si siano registrati Mach 2,4-2.6). Lo Starfighter ha anche la possibilità di usare i suoi armamenti a numeri di Mach molto alti, cosa che a non tutti i caccia è consentito, in genere tra 1,5 e 2, mentre i Sidewinder da esercitazione possono essere tirati fino a Mach 1,4. La traccia dell’ F-4B è sullo schermo radar e tra poco gli aerei giungeranno a contatto visivo. il Phantom, pur poderoso, in certe configurazioni è un arrampicatore meno brillante, per cui la prima mossa è dell’F104 che arriva rispetto al “fantasma” in posizione migliore per il combattimento. Forte della migliore manovrabilità, i due marinai americani fanno di tutto per scrollarsi di dosso lo “One-O-Four”. Ma a bordo di questo, come abbiamo visto, c’è un equipaggio che di ore di Starfighter ne ha abbastanza e sa sfruttare tutti i 6,4 g positivi e 2,7 g negativi che la macchina può raggiungere. Il pilota dell’US Navy é un grosso professionista ma l’euforia del combattimento Io spinge a mettercela tutta, a forzare un po’ troppo. Quel maledetto “Spaghetti fighter” é sempre a ore sei e lo tiene sotto il tiro della cinefotomitragliatrice del Vulcan. Ancora uno strappo sulla “cloche” e… i cicalini si mettono a suonare, il bireattore sussulta e la superficie del Tirreno, ora meno amichevole, sta diventando troppo vicina. Il caccia americano è finito in un cosiddetto “assetto inusuale”, prossimo allo stallo e con un preoccupante calo di potenza nei motori. Non rimane che saltare, ed ecco che mentre l’F-104G compie un victory roll (tonneau della vittoria) si aprono i due paracadute dell’equipaggio dell’F-4. Quel giorno I’US Navy ha perso tre milioni di dollari e un po’ del suo orgoglio. (testo di Nico Sgarlato)
Testo di Sergio Comitini ex Comandante 311°Gruppo RSV
Erano diversi anni (metà anni 80 circa) che l’RSV non effettuava la presentazione in volo del 104 e ciò per diversi motivi. Nel 1997 l’A.M.I prevedeva l’imminente ingresso in linea di circa 60 F104 ASAM e TF/M e personalmente ritenevo fosse corretto riprendere la presentazione del velivolo che, almeno sulla carta, avrebbe costituito la spina dorsale della D.A. per il decennio successivo equipaggiando ben 4 Gruppi (+ 1 di conversione). Il problema che incontravo, ovvero lo scarso entusiasmo per la presentazione di un velivolo “difficile” e “potenzialmente pericoloso” fù superato nell’italica maniera dei piccoli passi o chiedi un dito e ti prendi il braccio con tutto quel che viene. Nel Giugno del 97 era previsto il raduno del 3° Stormo a cui l’RSV partecipava con la presentazione dell’AMX e nell’occasione con alcuni passaggi col 104. Incaricai Marco Feller di preparare una sequenza che fosse più di qualche passaggio ma non includesse manovre verticali. Il problema era quello di non far spaventare nessuno, ma, sopratutto, non avendo effettuato presentazioni da così lungo periodo, non avevamo quel know how tale da permetterci un display tirato come per gli altri velivoli da noi presentati (TORNADO, AMX, 339 e G222). Dovevamo ora farci approvare il programma e l’occasione ci venne data da una visita ufficiale presso l’RSV guidata dal CSM dell’A.M. A sorpresa infilai la presentazione del 104 nonostante quel giorno la BAK 14 fosse inop (ma avevamo 15 kts frontali e Marco decollava con 5000 lbs). La presentazione fù un successo e dopo la benedizione del CSM (grande appassionato di 104) iniziammo a girare l’Italia e l’Europa. Il grande merito di Marco è stato quello di non sbagliare mai convincendo anche i più scettici della sicurezza della macchina. Infatti dopo il Raduno del 3° andammo all’open day della 1^ R.A. quindi chiamammo Fairford e gli dicemmo che, se ma solo se lo volevano, potevamo presentare il 104. Dopo 15′ ci chiamarano dicendoci che mettevano a disposizione 3 slots per il 104 e che alla serata di gala presieduta da Sua Altezza Reale il Principe Andrea, questi sarebbe stato nell’hangar a fianco dei più operativi ma pur sempre Lockheed F117 e F 16. Rilanciammo ed ottenemmo altre 6 slots per AMX, TORNADO e G222. Quell’anno vincemmo a Fairford col G 222 e l’anno successivo, grazie alla nostra migliore conoscenza della macchina (sempre riferita ai flying display) Pietro Venanzi introdusse qualche manovra verticale ed onestamente ritengo che fosse giunto al limite delle possibilità del 104. Nel 1998 il 104 fù presentato al 75° dell’AMI, a Carpi, a Bardufoss, a Fairford ed all’Ostia air show. A Fairford in 5′ e 10″ Pietro effettuò la presentazione alta ovvero decollo, mezzo otto cubano, slice back, John derry, triplo tonneax, John derry, passaggio sporco, 360° fronte pubblico, John derry, passaggio veloce, rientro, rollunder fonte pubblico, John derry ed atterraggio. I miei ricordi finiscono qui, ovviamente comprendi come, in qualità di Com.te del 311° e biga durante le presentazioni, anche io fossi costretto ad allenarmi mio malgrado. E così da una semplice richiesta di passaggi al raduno del 3° Stormo (il dito), nacque la presentazione del 104 (il braccio, la spalla e 2-3 costole).
Io, amici miei, questo aeroplano l’ho amato come la più bella donna.
L’ho amato fin da quando l’ho visto volare al giuramento del mio corso, il Falco 3°, era il 1967.
Ho continuato ad amarlo fino al giorno del mio ultimo volo, quando da soli siamo andati in giro a fare capriole fino al fuel low-level.
Quel giorno gli ho anche parlato, potete anche non crederci ma sono convinto che mi abbia risposto.
Sarà anche per questo che da quel giorno non sono salito mai più su un aeroplano, nemmeno quelli delle giostre.
E son passati 16 anni, ma quando qualche volta lo sento lo riconosco dal rumore e se lo vedo mi viene ancora un tuffo al cuore.
Non ho cose grosse da raccontarvi, sì qualche emergenza, anche seria, ma niente di più. Insieme ce la siamo goduta per 13 anni, siamo andati in giro per tutta l’Europa, abbiamo sparato e fatto acrobazia, volato in formazione (una volta eravamo in 18), insomma davvero una bella vita.
Come dicevo l’ho amato come la più bella donna, ma come la più bella donna non gli ho mai dato tutta la mia fiducia, non mi sono mai abbandonato del tutto a lui, mi sono sempre lasciato un margine, non ho mai cominciato un looping a 1000 feet nè ho mai girato un tonneaux sull’asse a 200 feet. Mi sa che lui l’ha capito che tipo ero e per questo non mi ha mai fatto brutti scherzi, adrenalina tanta, ma niente di più.
L’ho amato e lui mi ha ripagato con delle sensazioni che vorrei ogni pilota avesse provato, certo vi ricorderete com’era elegante in aria, la tagliava come il burro; una volta sono andato al poligono di Maniago in coppia con un Jaguar inglese, c’era un pò di turbolenza in aria, io al 93% filavo liscio come l’olio, flaps up a 420 nodi, lui a tutto motore arrancava e saltava come un capretto. Quando ho accennato ad una sfogatina son sicuro di aver visto le lacrime del pilota inglese che poi, chissa perchè, a terra bestemmiava contro il suo aeroplano.
I piloti di oggi forse sono più fortunati con tutta quell’elettronica a bordo, volano by-wire ed hanno velivoli con prestazioni di manovra che io non mi sono mai nemmeno sognato, li possono strattonare, se li mettono in testa e li rovesciano come un un giocattolo.
Io non lo potevo strattonare perchè mi beccavo una serie di kicker nei denti, in un certo senso o facevi come voleva lui o non facevi per niente, ma quando l’avevi capito, se lo assecondavi allora ti ripagava e sentivi che eri tu a volare e non lui.
Allora e solo allora te ne innamoravi, proprio come della più bella donna, e come con la più bella donna quando l’ho lasciato ho pianto.
Yes, the F-104 “Zipper” is still my favorite fighter – single seat, single engine, deadly, and FAST! A Fighter Pilot’s pride! Even when I was a kid, the Starfighter was my favorite airplane and it was the first plastic model that I built in the ’50s. Then 20 years later, I actually got to fly it after stints in the F-4 Phantom, and then the AT-38 “Lead-In Fighter” (training new fighter pilots with gun, rockets, bombs, and air combat flying). After flying the “Zipper” in Europe for three years, I finished off my AF career in the F-111 and the EF-111. The Starfighter was difficult to learn to fly, and it did ‘bite’ many pilots, but that just increased the mystique and the pride of mastering it. Besides “Widowmaker”, the F-104 had all kinds of nicknames including “Missile with a Man in It”, and of course – “ZIPPER”. The movie “The Right Stuff” had the F-104 sequences filmed at Luke Air Force Base in Arizona, but I had transferred to Europe to fly with NATO pilots. In the early ’80’s many NATO nations still flew the ‘Starfighter’ and I gave Tactical Evaluations around Europe with weeklong wargames at their bases. It was a great adventure that I’ll never forget. I flew over 1000 hours in the F-104G, the Italian “S”, and the Turkish “MAP” Starfighters from 1979 to 1985. The “zipper” carried only 5800 pounds of fuel internal plus two tip tanks with 1100 pounds each. For nuclear strike missions it carried an additional two tanks with 1200 pound each. On most missions, we were expected to be in the landing pattern with 1200# remaining to give us a 20 minute reserve. At the 450 to 510 knots speeds flown, that still only gave about a two hour or so mission carrying a B61 nuclear bomb. We did fly with that configuration, but of course, with a ‘shape’ instead of the actual B61. Normal training or tactical check ride missions were with two tip tanks, 4×25 lb blue BDU33 smoke bombs for “iron sight’ dive bombing (no computers), and two orange Mk106’s for ‘skip’ bomb simulation of Napalm. These were also used to simulate drogue chute nuclear deliveries. We also carried 2.75” folding fin rockets plus 100 20mm rounds for the internal M61 cannon. Although I always stayed qualified in dive bombing and did fairly well in the monthly “Turkey Shoots”, my best events were skip bomb, rockets, and gun which got me “Top Gun” occasionally. Just as a comparison, using equivalent distances releasing the bomb (High Altitude 4500′ pulloff for small arms fire) and the qualification bombing circle diameter, getting the bomb in the circle is equivalent to sinking a 40 foot putt every time! A clean F-104 without the tip tanks had 23′ wingspan and what a climb & roll rate! My best mission was a January flight taking off from Luke AFB, AZ early in the morning when it was nice and cool. From a standing start, the J79 Afterburner had a hard light that really gave a clean 104 a real kick. Acceleration was awesome with liftoff at about 170 knots as I recall. (fully loaded with bombs the liftoff was up to 227 knots with those small wings!!) At 400 knots, I pulled up to about 45 degrees and rocketed up to 40,000 gradually reducing the climb angle as the air got thinner. I turned south towards Gila Bend Gunnery Range and pushed it up to MACH 2. The only indication of this 20th Century speed was the round gage with “2” in the little window! That calculated out to over 1300 MPH! The Arizona of one hundred years earlier was traversed at ‘burro speed’. As I entered the unrestricted gunnery range, I gently pulled the nose up bleeding off airspeed to a mere 600 knots, but topping out at 60,000 feet. The sky was black that high up and I could see the curvature of the earth. Black above, the bright blue sky ahead, and the brown Arizona dirt below! In full afterburner the whole time, it was a short 20 minute flight and I was at Bingo Fuel already. Easing the throttle out of AB and back to Idle, I pulled the nose around to the northeast and aimed slightly left of Phoenix. LUF TACAN on the nose. I got below FL450 before leaving the gunnery range and continued gliding the sixty or so miles back to ‘homeplate’. I actually had to use a little speedbrake to get down to 1500 feet AGL for the 325 knot Pitchout and 135 knot touchdown. Adding the standard 5 minutes for ‘taxi time’ I logged a .7 hour flight for the day, and jumped out of my jet with a real smile of satisfaction. It was 7:45 am, and most ‘groundpounders’ were just driving to work. A magnificent engineering marvel, the F-104 “Century Series” Starfighter was a real joy to fly and was the first production fighter to exceed MACH 2 in level flight! … and I flew it!!
Intervista al Tenente Colonnello Andrea Costa di B. Oostmeijer per “Zipper” del 1998
One of the long standing pilots with 22 Gruppo is Lieutenant-Colonnel Andrea “Rib” Costa. The deputy squadron commander happens to be a member ot the International F-104 Societyas well, so enough reasons to have a glance at the life and times of a Zip driver!
Having accumulated more than 1300 hours on the F-104, Andrea is a real fan of the Lockheed design. “There is no middle course: either you love it or hate it. Aircraft like the Tornado have a lower pilot workload and probably better results, but what lacks in the feeling, the spirit of the machine.” On the question to describe his relation to the 104 in three words, Andrea leans back in one of the chairs in the briefing room, thinks two seconds and replies resolute. “It’s a part of me! The cockpit is small so when you strap into it you become literal a part of the aircraft. But also figurative is the 104 a part of me. And in the way it responds to you, the pilot.There is no fhase in the flight in which you can sit back. You are in an uninterupted dialogue with the aircraft. You have to do everything yourself. No computers to control your behaviour, like in an F-16. You have to check the flaps in relation to the speed, check the amount of g.forces. The lot, all by yourself. The aerodynamics of the plane are critical : it’s hard to fly in the beginning, but even an experienced pilot always has to be careful. You have to be prepared for about everything. When you for example lose the TACAN, you must be able to continue the flight by just using your compass and chronometer. In short: I love it!”
How does a monday-to-friday week look like for a 104 pilot? “Most of the time i fly 2 or 3 times every week. The remainder is filled with paperwork and planning. A lot of paperwork…. As an “older” member of the squadron I have more paperwork than younger colleagues. The planning concerns all operational flying of the squadron – that’s my responsability – and of course the planning of my own flights. Planning a flight in a 104 takes a lot of time. You don’t simply set coordinates into computer, but have to calculate everything in advance and plot it on the map. When you are participating in for example a TLP, this means a disadvantage compared to computerized aircraft like Tornados and Mirages. As a Starfighter pilot you have to hurry a lot! We sometimes fly against US, Belgian and Duch F-16s that are stationed in Italy, or we fly escort missions with AMX bombers. Besides this, so called MFFOs are flown. This stands for Mixed Forces Fighter Operations: Aircraft with different air defence qualities are teamed up, like Tornado and 104 or F-16 and 104. We sometimes participate in international exercises. Recently we participated in “Distant Thunder” in Turkey. We went there each year we visit the ACMI range at Decimomannu. Now and than long distance navigation flights are made into Europe. My last one was to Bodo in November 1996. This was quite an adventure, because we are not allowed to land on or take-off from snow covered runway…”
“The 104 is one of the oldest jets in the AMI inventory, but the best pilots in the air force only are selected for the Starfighter! They don’t go to the Tornado or AMX. It’s a demanding aircraft, but I love all parts of its flight envelope. Except when it becomes a brick while flying at very low speed, hahaha! The 104 is an aircraft for real pilots!
Monografia del FIAT Lockheed F/RF/TF 104G tratta da una collana curata da Claudio TATANGELO – F-104G, RF-104G, TF-104G “SUPER STARFIGHTER”
Il 3 marzo 1962, sull’aeroporto di Palmdale in California, si esibì in una dimostrazione di volo un caccia bisonico che portava le coccarde tricolori dell’Aeronautica Militare Italiana: ai comandi c’era un pilota italiano, il capitano Bonazzi. Pochi minuti prima, l’aereo era stato ufficialmente consegnato all’Italia, ove subito dopo venne inviato – smontato – per servire da modello alla produzione su licenza. Iniziava così la realizzazione di un programma che era stato deciso agli inizi del 1961, con una scelta di enorme importanza tanto sul piano tecnico-operativo che su quello industriale. Non era stato facile arrivare a definire il tipo di velivolo su cui basare praticamente tutta la linea operativa della Forza Armata per un numero prevedibilmente elevato di anni, soppesando tutti i fattori implicati nell’operazione: livello di prestazioni, esigenze operative, organizzazione logistica, complessità di impianti e di manutenzione, possibilità di produzione locale (e quindi valutazione delle capacità dell’industria nazionale e dei vantaggi che questa ne avrebbe ricavato in qualificazione tecnologica), addestramento di piloti e specialisti su una macchina che doveva rappresentare un salto di qualità estremamente impegnativo. Non ultime, le implicazioni internazionali di una scelta tra quanto offriva di meglio l’industria europea (“Mirage” III francese, “Lightning” britannico, “Draken” svedese) e quella statunitense (F-4 “Phantom”, F-8 “Crusader”, F-11F “Tiger”, F-101 “Voodoo”, F-104 “Starfighter”, F-105 “Thunderchief” e F-106 “Delta Dart”). Molte di queste macchine, in realtà, erano già praticamente eliminate in partenza, per i costi troppo elevati o per l’eccessiva specializzazione: l’Italia voleva una soluzione in cui la questione costo fosse, quanto meno giustificata da un massimo di polivalenza, così da bilanciare l’inevitabile dispendiosità del materiale necessariamente sofisticato con i vantaggi dalle standardizzazione di tutti o quasi i reparti da combattimento. Questa ricerca di standardizzazione non poteva che indicare come soluzione ottimale il velivolo – l’F-104G – su cui già diversi Paesi della NATO si erano orientati, arrivando ad avviare un consorzio internazionale per la sua produzione integrata. Inserire l’Italia in questa organizzazione avrebbe esteso il concetto di standardizzazione ad un piano di “interoperabilità” di ovvia importanza con le Forze Aeree alleate, abbassato notevolmente i costi dell’operazione, e portato l’industria nazionale a partecipare al più qualificante passo tecnologico intrapreso in Europa. Da tutto questo risulta evidente come il peso della scelta già operata da Germania, Olanda e Belgio (oltre che dal Canada, inserito nel programma integrato USA – Europa, e dal Giappone, per citare solo i Paesi interessati alla produzione) non poteva che essere determinante nella decisione italiana, pur senza sottovalutare il peso delle pressioni americane cui non c’erano, in realtà, concreti elementi da contrapporre dato il clima relativamente teso, allora, dei nostri rapporti con la Francia che faceva escludere il “Mirage”, unico candidato effettivamente in grado di corrispondere ai requisiti dell’A.M., o almeno di avvicinarsi meglio degli altri al livello di polivalenza e di prestazioni desiderato. Si arrivò così alla decisione, non senza contrasti e polemiche che sarebbero durate sino ai giorni nostri, di adottare il bisonico Lockheed e di aderire al consorzio europeo che frattanto era stato organizzato, e che quando si costituì comprendeva l’Italia come quarto dei suoi gruppi di produzione: Gruppo Sud (ditte della Germania meridionale, per la costruzione di 210 esemplari), Gruppo Nord (Olanda e ditte della Germania settentrionale, per 350 velivoli) Gruppo Ovest (Belgio, per 188). L’Italia, parzialmente associata al Belgio e con la FIAT come capocommessa, avrebbe prodotto 199 esemplari. Il totale dei velivoli programmati era infatti di 947, che con successive commesse arrivò a 1.300 F-104G costruiti in Europa. La collaborazione tra industrie di diversi Paesi si stabilì su una basi di continui contatti, cui partecipavano anche le Forze Aeree interessate, con positivi riflessi sull’integrazione effettiva di esperienze e di procedure; il complesso meccanismo di interscambi comprendeva la fornitura reciproca di componenti e, in molti casi, anche quella di aerei completi: per esempio, dei primi 199 F-104G prodotti in Italia 50 erano per l’aviazione tedesca e 25 per quella olandese, mentre componenti costruiti in Italia servirono a produrre aerei completi montati in Belgio. Analogamente avvenne per i motori, per la cui produzione vennero costituite delle società binazionali tra la General Electric, casa d’origine del turbogetto J79, e le principali aziende di ciascun Paese del consorzio europeo: BMW (poi MTU) in Germania, FN in Belgio, FIAT in Italia. All’interno di ciascun Paese, il lavoro si organizzò pure su basi integrate che coinvolgevano praticamente tutte le aziende aeronautiche, motoristiche, elettroniche e di equipaggiamenti, sempre con una capocommessa responsabile del programma per tutta l’attività nazionale. In Italia la FIAT si riservò l’assemblaggio finale, la produzione delle fusoliere e, in collaborazione con l’Alfa Romeo, del motore, oltre all’integrazione del lavoro ed ai collaudi. All’Aerfer fu affidata la costruzione di tutte le semiali e degli impennaggi, mentre all’Aermacchi, Piaggio, Officine Aeronavali, SACA, SIAI-Marchetti, e numerose altre aziende spettò la produzione di componenti minori, mentre altre ditte fornivano elementi, sottosistemi o sistemi completi per gli impianti. Sul piano internazionale, la partecipazione della Lockheed era intesa a garantire alla industrie associate il “know how” necessario per affrontare l’importante salto tecnologico derivante dall’operazione F-104, oltre che a fornire esemplari sia da montare come modello sia interamente montati come il biposto TF-104G (prodotti oltre 200). La Canadair era invece interessata a produrre 200 aerei per la propria Forza Aerea (i CF-104, differenti dal modello standard in molti dettagli) e su commissione degli USA in conto MAP (Military Assistance Program) 140 F-104G standard per quelle nazioni europee che erano rimaste fuori dal consorzio oltre che per altri Paesi amici. A parte da questo contesto va ricordata la produzione in Giappone di 207 F-104J “Eiko” (Gloria), diversi dal “Super Starfighter” standard in quanto destinati esclusivamente all’intercettazione. Il coordinamento della complessa attività riguardante l’integrazione del consorzio europeo e degli apporti della produzione statunitense e canadese richiese la costituzione di un apposito organismo, il NASMO (NATO Starfighter Management Office), con sede in Germania, a Coblenza. Prefigurava, per compiti e struttura, le organizzazioni internazionali NATO che verranno create nei decenni successivi (NAMMA e NEFMA) per i programmi Tornado MRCA e EFA: il processo di integrazione di industrie europee in programmi aeronautici avanzati è nato infatti con l’avvicinamento tra diverse nazioni che si verificò per lo “Starfighter”. LE ORIGINI La specifica per un velivolo bisonico polivalente nacque nel 1958 dalle esigenze operative della Luftwaffe, cui la Lockheed fu pronta ad offrire uno sviluppo estesamente rielaborato del suo F-104 “Starfighter” cui diede il suffisso G (Germany; è vero peraltro che questa versione è immediatamente successiva all’F-104F e pertanto la G corrisponde anche all’ordine naturale) e che univa alle elevatissime prestazioni richieste la idoneità a venire riprodotto anche da industrie, come appunto quelle tedesche, rimaste tagliate fuori dagli ultimi progressi della tecnica aeronautica: la sua progettazione infatti aveva tenuto conto delle esigenze di relativamente facile producibilità dei maggiori componenti e sistemazione delle attrezzature interne durante la costruzione. La vera difficoltà, sul piano tecnico, consisteva nel riuscire a trasformare un velivolo nato come intercettore relativamente leggero, iperspecializzato nella sola funzione del combattimento aereo (diurno ad alta quota e con bel tempo, a breve distanza dalle basi), in un aereo che unisse a brillanti capacità d’intercettazione la possibilità di effettuare incursioni a notevoli distanze con un rilevante carico bellico, in ogni condizione atmosferica e per gran parte della missione volando (a forte velocità) nella turbolenta atmosfera delle basse quote. Era chiedere tutto ed il suo contrario; eppure il gruppo di progettisti guidato da Clarence “Kelly” Johnson – il padre di aerei prestigiosi che vanno dal P-38 “Lightning” allo SR-71 “Blackbird” – riuscì a risolvere il problema, essenzialmente irrobustendo la struttura compensando il risultante incremento di peso con una maggiorazione della superficie alare (senza variarne la ridottissima apertura) e della spinta del motore. Rispetto ai predecessori, F-104A intercettore puro e F-104C che per essere un caccia polivalente aveva già avviato il processo d’irrobustimento strutturale e di aggiornamento impiantistico, il G ebbe pure il carrello rinforzato, un gancio di arresto, e dotazione elettronica decisamente ampliata e rinnovata. Dall’F-104C si ereditava l’innovazione del sistema di soffiamento dello strato limite, e l’applicazione di piloni alari per carichi di caduta; dal biposto F-104D era ripreso il piano verticale ingrandito del 25%. Totalmente nuova era invece l’avionica, comprendente piattaforma inerziale per la navigazione ed il volo a bassa quota, e il sistema radar di ricerca e direzione tiro NASARR nella versione F-15A, bivalente (aria-aria e aria-terra). Aggiunte ad un’infinità di modifiche di dettaglio (tra cui parecchie significative, come il comando idraulico irreversibile per il timone), queste innovazioni trasformavano e miglioravano talmente il velivolo da indurre la casa costruttrice a chiamare l’F-104G “Super Starfighter”: è infatti questo il nome ufficioso, ma per ovvi motivi di brevità gli viene sempre preferito il nome che spetterebbe solo ai modelli precedenti. LA DESCRIZIONE TECNICA L’F-104G è un monoreattore monoposto polivalente (intercettore e “strike”) con capacità di operazioni ogni-tempo, realizzato anche nelle varianti biposto (TF-104G) e da ricognizione tattica (RF-104G), di architettura ad ala media ed impennaggio a T. La velatura è composta di due semiali a profilo sottile (3,26%) laminare biconvesso, a forte diedro negativo (10°) e di pianta trapezoidale a basso allungamento, senza freccia ma con forte rastremazione (26° sul bordo d’attacco), con superfici mobili su tutto il bordo d’attacco (slats) e su quello d’uscita (flap di curvatura, con attivazione dello strato limite per soffiamento, e alettoni).Le semiali sono costruite ciascuna su due longheroni con rivestimento lavorante su due unici pannelli fresati (dorsale e ventrale) irrigidito da 3 centine e da correntini, e sono unite alla fusoliera mediante attacchi frontali alle ordinate di forza di questa. Il complesso di ipersostentazione aumenta circa del 20% la portanza critica alle basse velocità. Per l’estrema sottigliezza del profilo alare (da meno di 11 cm alla radice a circa 5 cm all’estremità, con raggio di curvatura di 0,4 mm per il bordo d’attacco) la velatura non contiene carburante, ed i servocomandi per la manovra degli alettoni sono ripartiti in 10 martinetti in parallelo per semiala allo scopo di ridurre le dimensioni dei singoli attuatori, mentre quelli che azionano i flaps sono contenuti in fusoliera. La fusoliera è realizzata in 3 tronchi di struttura monoguscio. Quello centrale è diviso longitudinalmente in due semigusci affiancati, che vengono completati delle attrezzature interne durante l’assemblaggio prima di essere riuniti tra loro; esso è basato su un trave di chiglia e 5 ordinate di forza, a due delle quali vengono collegate le semiali, e contiene 5 serbatoi flessibili di carburante, le prese d’aria e gli elementi principali del carrello; nello RF-104G alloggia anche le fotocamere ventrali. Il tronco anteriore ospita l’apparato radar, l’elemento anteriore del carrello, l’abitacolo, il compartimento avionico (in cui è alloggiata anche la piattaforma inerziale) ed il cannone (sostituibile con un serbatoio supplementare). Il tronco posteriore che è costruito in titanio e acciaio inossidabile, a differenza degli altri elementi delle strutture prevalentemente in lega leggera, alloggia il complesso turboreattore – postbruciatore. Sempre sul tronco posteriore sono montati gli impennaggi, la pinna ventrale, il gancio d’arresto, il freno aerodinamico (diviso in due elementi sui fianchi) e il paracadute – freno (diametro 3,5 metri). Gli impennaggi sono composti da un ampio piano verticale cui è articolato il timone di direzione, servocomandato da due martinetti idraulici contenuti nello spessore della deriva così come gli attuatori del piano orizzontale monoblocco, interamente mobile e posto alla sua sommità. Questo piano ha struttura monolongherone su profili estremamente sottili. Il carrello, del tipo H.M. Loud, è triciclo anteriore, con ammortizzatori idraulici, servofreni e sistema anti-skid. L’elemento anteriore, monoruota, si retrae ruotando verso l’avanti (verso l’indietro nella versione TF-104G), e quelle principali – pure a ruote singole – sono ad articolazione composita per disporsi obliquamente nei vani di fusoliera, sempre ruotando verso l’avanti. Il motore è un Generale Electric J79GE-11A, turbogetto a flusso assiale con compressore a 17 stadi, turbina tristadio, camera di combustione a 10 tubi di fiamma, postbruciatore e ugello a sezione variabile, alimentato da due prese d’aria semicircolari laterali munite di coni d’urto e staccate dalla fusoliera per evitare l’ingestione dello strato limite. L’alimentazione di combustibile fa capo ai serbatoi di fusoliera (per un totale di 3.392 litri ridotti a 2.650 nel TF-104G,, più eventualmente il serbatoio supplementare da 460 litri installato al posto del cannone e del relativo munizionamento) ed ai raccordi per i serbatoi esterni: due da 740 litri ciascuno appesi ai piloni alari e/o due da 645 litri applicati alle estremità alari. L’armamento comprende un cannone M-61 “Vulcan” a 6 canne rotanti da 20 mm, con una dotazione massima di 725 colpi, installato – eccetto che su RF e TF-104G – come sistema a sé stante (e pertanto rimovibile, sostituendolo con un serbatoio supplementare) in un vano sul fianco sinistro della prua, oltre a 5 punti di attacco per carichi esterni. Quello centrale può sopportare carichi di 907 kg, ai due subalari si possono applicare piloni per carichi di 453 kg ciascuno, e quelli delle estremità alari possono portare due missili aria-aria AIM-9B “Sidewinder” 1A. Tra i vari armamenti possono essere utilizzate bombe Mk 82 da 500 lb (227 kg), Mk 83 da 1.000 lb (453 kg), Mk 84 da 2.000 lb (907 kg), M-117 da 750 lb (340 kg) contenitori NAPALM, contenitore lancia-bombe da esercitazione SUU-21A, lanciarazzi LAU-3A da 24 razzi da 52 mm, LAU-10 da 4 razzi “Zuni” da 127 mm e contenitori MLU-10B da 750 lb (340 kg) per bombe-mina. La dotazione elettronica comprende l’impianto di ricerca e telemetria bersagli NASARR (North American Search and Ranging Radar) F-15A, sistema di navigazione (inerziale con piattaforma Litton LN-3, d’emergenza C-2G), apparati TACAN (ARN-52) e IFF (APX-46), radio in UHF (ARC-522, d’emergenza ARC-504), autopilota MH-97, sistema Lockheed di puntamento all’infrarosso per i “Sidewinder” e apparati General Electric per il tiro con le armi di bordo. Gli RF-104G dispongono di tre fotocamere disposte in tandem (complesso “Trimetrogon”) per riprese verticali ed oblique. Il seggiolino eiettabile, inizialmente Lockheed del tipo C-2 utilizzabile a bassa quota, è stato successivamente sostituito col Martin Baker tipo IQ-7A impiegabile anche a quota e velocità zero. L’IMPIEGO La Germania stipulò il contratto di sviluppo per l’F-104G il 18 marzo 1959; solo 15 mesi dopo, il 7 giugno 1970, il primo esemplare usciva dalle officine Lockheed ed effettuava il primo volo. Nel corso dei collaudi le qualità di volo risultarono sostanzialmente non dissimili da quelle dei precedenti modelli di F-104, in pregi e difetti: prestazioni brillantissime, comportamento impeccabile in condizioni ideali, propensione ad aggravare irrimediabilmente le situazioni anomale derivanti da cause tecniche o di pilotaggio. La formula aerodinamica che caratterizza l’F-104 – che è infatti l’unico velivolo della sua classe ad adottarla – comporta inevitabilmente l’accentuazione delle difficoltà complessive per una condotta sicura in tutte le condizioni di volo, che tutte le macchine di alte prestazioni ed elevata sofisticazione presentano, esigendo il rispetto più meticoloso e continuo delle procedure stabilite tanto per il pilotaggio quanto per la manutenzione e tutto il complesso di supporto tecnico-logistico. Basterà ricordare che il “104” esige 40 ore di manutenzione per ogni ora di volo, da parte di una squadra composta da 12 specialisti per ogni aereo: specialisti la cui formazione ha richiesto particolari cure per la complessità degli impianti. Una macchina che dà molto e che molto chiede, e che non perdona errori. Infatti, pur non potendosi affermare che lo “Starfighter” sia una macchina intrinsecamente pericolosa, e pur tenendo conto di quello che riesce a fare (dalle missioni a bassa quota anche in terreni orograficamente difficili, alle impressionanti dimostrazioni di manovrabilità offerte da una pattuglia acrobatica belga), è indubbio che le polemiche riguardanti questo velivolo hanno trovato nelle statistiche degli incidenti un solido terreno. In Italia, merita di essere segnalato per contro che un reparto dell’A.M., il 102° Gruppo del 5° Stormo ricevette nel ’65 il “Trofeo Lockheed” per la sicurezza del volo, mentre un altro, il 21° Gruppo lo ricevette per ben due volte. Quanto precede può dare un’idea dell’importanza dell’operazione che portò l’Aeronautica Militare dai caccia transonici o supersonici in picchiata al bisonico: una tappa forse meno significativa, ma indubbiamente più impegnativa, dell’operazione “Vampire” affrontata negli anni ’50 per il passaggio dall’elica al getto. Nel personale l’entusiasmo fu grande: pivelli e vecchi manici chiedevano di essere ammessi ai corsi di qualificazione istituiti per il nuovo aereo, compresi ufficiali anziani che avrebbero potuto facilmente evitare il gravoso impegno rappresentato dall’impostazione “scientifica” che si era data al pilotaggio moderno ed i rischi e la fatica impliciti in un velivolo dalle altissime prestazioni. I primi piloti italiani destinati allo “Starfighter”, cominciando da uomini del Reparto Sperimentale di Volo dell’A.M. e ai collaudatori della FIAT, seguirono corsi negli Stati Uniti; alcuni vennero assegnati al primo reparto da riequipaggiare sul nuovo materiale, altri divennero istruttori, così come avvenne poco dopo per un numero maggiore di piloti che però si qualificarono presso la scuola di Norwenich della Luftwaffe, per quanto possibile con istruttori italiani che istruivano i colleghi in 6 missioni a doppio comando sui primi “Starfighter” biposto dell’aviazione tedesca, gli F-104F.Frattanto sulla Base Aerea di Pratica di Mare venivano tenuti i primi corsi per specialisti, ed i primi “Starfighter” prodotti in Italia cominciavano ad essere consegnati: il primo esemplare montato a Torino volò nel giugno del 1962, seguito il 5 ottobre dal primo aereo interamente di costruzione nazionale. I piloti addestrati in Germania affluirono al 9° Gruppo della 4a Aerobrigata, a Grosseto, per iniziare l’attività con 10 missioni su monoposto, in coppia con velivoli pilotati da colleghi già qualificati. Non si era infatti ancora risolto interamente il problema della conversione e dell’addestramento operativo su basi autonome, come sarebbe avvenuto nel febbraio 1965 quando, sempre a Grosseto, si costituì il primo reparto italiano analogo agli OCU (Operational Conversion Unit) britannici: il 20° Gruppo Autonomo Addestramento Supersonico, coi primi 12 biposto TF-104G di produzione Lockheed. Per l’addestramento all’uso dell’apparato NASARR si era pensato ad apposite versioni dello MB-326 ( C )e del G-91, rimaste però sulla carta. Lo Stato Maggiore A.M. aveva pianificato il riequipaggiamento con il “104” di 8 Gruppi, quelli ancora dotati di materiale meno prestante: 4 da intercettazione equipaggiati coi Canadair CL.13 “Sabre” Mk4, e di 4 di cacciabombardieri rimasti sui Republic F-84G “Thunderjet”. Come si è visto la precedenza andò al 9° Gruppo della 4a A/B Intercettori; il primo F-104G gli venne consegnato il 13 marzo 1963, e la qualifica di “Combat Readiness” venne conseguita nel 1964, anno in cui il primo reparto italiano su caccia bisonici divenne operativo ed in cui un secondo reparto, il 10° Gruppo sempre della 4a A/B, completò il passaggio sul nuovo aereo. Nel 1965 l’Aerobrigata del “Cavallino Rampante” era operativa sullo “Starfighter”, col quale accumulò le prime 5.000 ore di volo partecipando anche a manovre NATO. Frattanto erano iniziate le consegne agli altri reparti. Il 21° Gruppo della 51a A/B passò sull’F-104G nel 1963, temporaneamente distaccato a Grosseto. Nel 1964 fu la volta della 6a Aerobrigata CB, anche questa operante su un solo Gruppo (il 154°, a Ghedi Montichiari): è il reparto che per primo ha raggiunto (dicembre 1977) il traguardo delle 50.000 ore di volo su questa macchina, appannaggio del Cap. Cacciatore. Nel ’64 (12 maggio) era la 5a A/B Cacciabombardieri a passare sul “104” coi suoi 2 Gruppi, 101° e 102°. Nel 1075, come si è detto nasceva (per la seconda volta) il 20° Gruppo, che dopo una serie di ristrutturazioni assunse la denominazione di Gruppo Autonomo Addestramento Operativo. Il 1966, anno della ristrutturazione dei reparti A.M.I. con lo scioglimento di quasi tutte le Aerobrigate che tornarono alla fisionomia di Stormi, iniziò una serie di variazioni che ampliarono l’assegnazione dello “Starfighter” a nuovi reparti. Il 101° Gruppo, passato al ricostituito 8° Stormo, lasciò l’F-104G, ma il 10° Gruppo, passando (27 gennaio 1967) a formare il reparto di volo del risorto 9° Stormo a Grazzanise – che fu dedicato a Francesco Baracca, mentre la 4a Aerobrigata ridiventata Stormo assumeva quello di Amedeo Duca d’Aosta – dava vita ad un nuovo reparto, così come fece il 21° Gruppo, diventando nel 1964 autonomo sulla base di Cameri, e quindi passando il 1° aprile 1967 al ricostituito 53° Stormo Caccia Intercettori: nel 1968 il 21° adotta come distintivo un tigre, che gli permette di partecipare ai pittoreschi “meeting” del “NATO Tiger Club”. Dal 1970 anche il reparto da fotoricognizione, 3a Aerobrigata Ricognitori Tattici a Verona-Villafranca, iniziò a ricevere gli “Starfighter”; entro l’anno era completato il riequipaggiamento del suo 28° Gruppo, assegnato alla 5a ATAF (Allied Tactical Air Force) della NATO, cui vennero consegnati gli RF-104G: aerei dotati di un complesso di macchine fotografiche poste in un vano carenato nella parte ventrale della fusoliera. Nel 1972 anche il 132° Gruppo della 3a A/B passò su “Starfighter”, e così il 18° Gruppo nel 1973: per questi due Gruppi si tratta però di normali F-104G in cui l’equipaggiamento da ricognizione è contenuto in un “pod” esterno (le consegne di questi complessi “Linescan-Orpheus”, sono avvenute dopo una lunga valutazione). Va poi ricordato il Reparto Sperimentale Volo (311° Gruppo, a Pratica di Mare) che sin dall’inizio del programma ebbe in dotazione alcuni F-104G per una varietà di compiti inerenti alla propria particolare attività. Il 5 giugno 1994, a Grosseto, il tenente colonnello Fabio Landi, comandante di Gruppo, porta in volo l’ultimo F-104G; esso si fregia del “Leone Ruggente” del 20° Gruppo OCU (Operational Conversion Unit) del 4° Stormo. L’ultimo “G” ancora in attività è un esemplare di TF-104G in carico sempre al 20°. Così, dopo una storia quasi quarantennale, a Grosseto si chiude il cerchio della vita operativa dell’F104G: un velivolo che, nel bene e nel male, ha segnato indelebilmente la storia dell’Aeronautica Militare Italiana. Centinaia di piloti si sono formati ed hanno operato sullo “spillone”, tanti sono stati i caduti, tanti sono stati quelli che lo hanno amato per le sue esaltanti e difficili caratteristiche di volo: pochi sono quelli che non provino un orgoglio smisurato per aver volato su un velivolo che costituisce l’essenza del volo (più alto e più veloce!) e l’esaltazione della figura del pilota da caccia.
E’ una bella giornata, il cielo è libero da nubi e l’aria ha il profumo del mare. Sono il Leader di una coppia di velivoli programmati per una missione d’interdizione contro un ponte ferroviario nel sud d’Italia. Il mio gregario è Luca, giunto al gruppo da qualche mese, grintoso, disciplinato ma ancora con poca esperienza. Decolliamo in perfetto orario e dirigiamo verso sud; come pianificato Luca si porta in formazione di “line abreast” (2 velivoli in posizione affiancata alla distanza di 800- 1000 metri circa). Saliamo inizialmente ad una quota di 9000 piedi (3000 metri circa) ed iniziamo i controlli dell’armamento. Salendo passiamo a fianco di grossi cumuli che ci appaiono come montagne di panna montata. Lasciamo la frequenza radio di “Romagna Avvicinamento” cambiando con “Bracco” il radar amico in questa prima parte della missione. Tra qualche minuto attraverseremo un’area di lavoro dove usualmente “giocano” i colleghi intercettori che mai disdegnano un confronto con noi bombardieri. Le direttive dell’Aeronautica vietano il combattimento aereo durante lo svolgimento di normali missioni a bassa quota, ma la rivalità che oppone da sempre i Cacciatori ai Bombardieri fa spesso dimenticare tale divieto. Chiedo perciò al mio gregario di curare particolarmente la posizione e di controllare attentamente il cielo intorno a noi per evitare spiacevoli incontri. Proseguiamo così in silenzio radio fino a quando Bracco ci avverte che una coppia di Intercettori si sta avvicinando minacciosamente a noi. Trascorre qualche secondo e avvisto alla nostra destra i due “nemici” in virata tentare un ingaggio in coda: in rapida successione ordino al gregario di virare e gettarsi in picchiata, quindi lo informo della posizione dei due “Sceriffi” (i piloti caccia in gergo). Raggiunti i 500 piedi, circa 150 metri di quota, manteniamo alta velocità fino a quando vediamo i due incursori allontanarsi. Navighiamo ora a bassa quota simulando la penetrazione in territorio ostile; chiamo al mio gregario un paio di “waves” (manovra nella quale le traiettorie dei 2 velivoli si incrociano per consentire di controllare reciprocamente le spalle e rilevare eventuali nemici in coda), proseguendo poi verso l’obiettivo. Volando tra valli e colline ci avviciniamo al punto dove ci separeremo per seguire rotte differenti verso lo stesso obiettivo sorvolando lo “split point” ordino al gregario di seguire la sua rotta pianificata. Sarò il primo ad attaccare il ponte e lui seguirà a 25″: si avvicina la parte cruciale della missione di un Bombardiere. Mi avvicino al “pull” (punto d’inizio della manovra d’attacco), guardo alla mia destra e sinistra, i parametri di volo corretti, attendo il contasecondi e …. giunto il momento tiro la cloche alzando il muso verso il cielo vado alla ricerca del ponte sul fiume e …. eccolo! Manovro con rapidità e decisione, lo punto mantenendo il collimatore costantemente sul target e giunta la quota sgancio…. Sorvolando il target eseguo alcune manovre di disimpegno e attendo il sorvolo del gregario che giunge puntualmente dopo i 25″ pianificati: bravo Luca. Dirigiamo ora entrambi verso il punto di ricongiungimento: qualche secondo e riesco ad acquisirlo. Non è trascorso nemmeno un minuto dal termine dell’attacco ed il mio gregario è già in formazione per la reciproca copertura. Siamo in rotta di rientro verso casa, sorvoliamo la costa e ci teniamo bassi sul mare. La foschia non facilita la navigazione ed un senso di vuoto tende a prevalere se non fosse per la costa che s’intravede alla nostra sinistra. Cielo e mare si fondono in un azzurro uniforme e solo qualche imbarcazione ci rende consapevoli della velocità dei nostri aeroplani. Abbiamo superato la parte cruciale della missione ma al rientro ci attende nuovamente il confronto con gli Sceriffi del cielo! “Questa volta vi frego”. Decido quindi di rimanere basso sul mare per rendere più difficile il lavoro d’intercettazione al nemico. La missione volge al termine, la Base madre è a pochi minuti di volo. Comincio a sentirmi soddisfatto e tranquillo e la missione è riuscita bene soprattutto perché il mio gregario è stato preciso e concentrato in ogni fase di volo, ora è in formazione stretta a pochi centimetri dall’ala del mio 104. Il radar ci ricorda gli ultimi controlli e inizia il vettoramento per un atterraggio che avverrà in coppia. A terra parcheggiamo gli aeroplani uno accanto all’altro e velocemente ci dirigiamo nella saletta piloti per l’analisi della missione appena effettuata. I nostri pensieri si proiettano al domani e alle missioni che ci consentiranno di mantenere alto il livello addestrativo di noi bombardieri.
Uno degli eventi preferiti dai piloti militari è lo Squadron Exchange, l’incontro annuale con un gruppo di volo della NATO. Quest’anno siamo a Leeming, in Inghilterra, base di Tornado ADV. Noi ci siamo rischierati con tre monoposto ed un TF. Nella migliore tradizione anglosassone al nostro arrivo ci attendono sottobordo i piloti di Sua Maestà con le immancabili cassette di birra. Per oggi con il volo di trasferimento dall’Italia, l’attività è terminata e qualche birretta non ci sta male….. per recuperare i “sali”!! Fatta questa premessa, l’attività di volo programmata per i 10 giorni di permanenza è alquanto avvincente: inizieremo con delle intercettazioni e combattimento due contro due ad alta quota. Passeremo successivamente a quote più basse in aree dedicate per effettuare, congiuntamente ai Tornado, CAP a bassa quota contro velivoli bombardieri d’altre basi. Siamo coscienti che l’addestramento sarà notevole e desideriamo approfittare dell’opportunità che ci si presenta. In Italia, infatti, la dilagante burocrazia, che attanaglia anche le nostre FF.AA, è un concreto ostacolo ad un addestramento all’altezza dei compiti richiestici (Bosnia e Kossovo ne sono la conferma). Iniziamo quindi il briefing per la nostra prima missione: 2 F104 versus 2 Tornado ADV. Sono analizzati tutti gli aspetti del volo, dalle procedure di decollo a quelle di navigazione verso l’area, le regole d’ingaggio, le safety rules, la gestione delle emergenze ed il rientro. Ci separiamo, ogni coppia per sé, per stabilire la tattica migliore da usare contro il “nemico”: Zio Pino è molto sintetico anche perché abbiamo poco da inventarci. Il nostro sistema d’arma è in sostanza inefficace oltre le 20 NM. Cercheremo di ridurre le distanze il più rapidamente possibile evitando, con cambi repentini di quota ed incroci, di finire sul loro radar. Sotto le 10NM proveremo a vederli e simuleremo un ingaggio VISUAL con il Sidewinder. Il CRC (o radar della difesa) a nostro supporto ci fornirà tutte le informazioni necessarie sugli avversari in LOOSE CONTROL (rilevamento magnetico, distanza e quota del target). Detto e fatto! Siamo in zona, un parallelepipedo immaginario sopra il Mare del Nord che va da una quota di 5000 ft all’infinito, larga 30NM e lunga 60NM. Orbitiamo ogni coppia ai due estremi dell’area nell’attesa dell’autorizzazione ad iniziare l’ingaggio. Passano 10″, appena il tempo di posizionare le nostre prue in direzione del target e il CRC c’informa che i TORNADO ci hanno già acquisito sul loro radar: sono ancora a 40NM. Com’è possibile????!!!! In effetti, non sappiamo molto delle loro capacità ma questa proprio non lo avremmo immaginato. Acceleriamo a Military e rapidamente siamo in transonico, portandoci in rapida discesa da 20000ft a 10000ft.Pochi secondi ancora e il radar ci avverte del lancio di 2 missili: siamo a 20NM e non ci rimane che rompere l’ingaggio con una repentina virata di 130° 150° alle massime prestazioni e scappare. Ma il tempo che trascorre dalla chiamata del leader alla separazione dall’arena, non è sufficiente ad evitare di subire il “kill” (colpito e distrutto). Ci posizioniamo nuovamente provando questa volta una manovra a tenaglia: ci allargheremo cercando di colpirli ai fianchi chiudendo sui lati esterni della formazione. Ma anche in questo caso il risultato cambia di poco e finiamo “killati” nell’arco di una manciata di secondi. Il resto …non cambia di nulla!!! Alla fine della giornata, dopo un dettagliato de-briefing, concludiamo con magri risultati: 7 kill subiti a 0. Nei giorni successivi proviamo ogni possibile tattica contro i Tornado ma a quelle quote, contro aeroplani che riescono a vederti già a 40NM e che anticipano ogni nostra mossa, è fatica sprecata. Mai, di fatto, riusciamo ad avvicinarci sotto le 10NM senza subire sonanti bastonate. In occasione di una MFFO contro dei Tornado IDS condotte a bassissima quota ci accorgiamo che il loro radar non è così efficace come lo era nei giorni passati nel bel mezzo del mare del Nord. Infatti, siamo noi piloti di 104 a vedere, a vista, i bombardieri, prima che i Tornado ADV acquisiscano le tracce sui monitor. Di fatto, gli unici ingaggi sono effettuati da 2 dei nostri. Verso la fine del rischieramento iniziamo l’attività di combattimento a bassa-bassissima quota. L’area dove effettuiamo gli ingaggi si trova questa volta nel bel mezzo dell’isola, tra Scozia e Inghilterra e circa 80NM dalla base di Leeming. Decollano prima i Tornado e seguiamo noi a 10 minuti. Il trasferimento avviene a bassa quota, inizio a familiarizzare con il paesaggio che da piatto diventa collinoso: finalmente mi sento a mio agio; infatti, in origine ho volato come bombardiere e la terra mi è più familiare dell’azzurro infinito del cielo. Prossimi all’area di combattimento, contatto il radar ed iniziamo a manovrare per ingaggiare i Tornado. Le due formazioni si avvicinano rapidamente: noi siamo affiancati ad un paio di chilometri. Intorno alle 20NM il radar c’informa che i due ADV hanno acquisito uno dei due centoquattro. Ci abbassiamo e cerchiamo di nasconderci alla loro vista sfruttando il mascheramento offertoci dalla collina di fronte a noi. La manovra ha successo, e con un paio di repentini cambi di prua riusciamo a ridurre la distanza alle 10 NM. Superiamo la collina e, in rapida successione vediamo entrambi i Tornado. Ordino al gregario di puntarli mentre manovrerò per colpirli al fianco. Le distanze si riducono e i due Tornado acquisiscono il mio gregario. Manovrano anche loro per incrociare il 104 con prua opposta per ridurre il ritorno IR ed eludere ogni possibilità di lancio. Ma incredibilmente non vedono la mia manovra, incrociano il gregario ed iniziano una virata verso destra. Pochi secondi e sono nei parametri di tiro ideali per il lancio ipotetico di un AIM 9L. Chiamo al CRC i parametri di volo del velivolo sul quale, nella realtà, lancerei il mio missile. Nel frattempo manovro sul secondo e più esterno ADV. Quando finalmente questi mi vede non ha più alcuna possibilità se non tentare di virarmi contro. E’ finita anche per lui, comunque!! Il radar che ha seguito tutto, al mio secondo “kill” chiama la fine delle ostilità e riposiziona le formazioni per altri ingaggi. Sono stupito e meravigliato dalla sequenza d’eventi che nel breve trascorrere di un centinaio di secondi ha visto un vecchio ma scatenato centoquattro “colpire due moderne macchine da 70 miliardi”. Negli ingaggi successivi, i Tornado imparata la lezione, prendono le dovute precauzioni ma sono costantemente costretti alla difensiva. La giornata si conclude positivamente: il nostro addestramento, forzatamente vincolato dalla precarietà dei sistemi di bordo (specialmente il radar) ci ha portato ad affinare le tecniche di ricerca affidata unicamente ai nostri occhi. Questa ci ha permesso di vederli prima che il loro radar potesse fornirgli informazioni utili. La debole traccia radar lasciata dal nostro 104 aggiunta al mascheramento del terreno hanno giocato a nostro favore: siamo riusciti ad avvicinarli ad una distanza che ha reso tardive le loro manovre ed inefficace il loro missili. Ma più di ogni altra considerazione, oggi abbiamo dimostrato che, in antitesi ad un comune credo, una macchina concepita per volare alta e veloce ha costretto alla difensiva una macchina assai più moderna e aerodinamicamente concepita per volare a bassa quota. Finalmente a noi piloti della “Regia Aeronautica” l’onore di offrire da bere ai piloti di Sua Maestà.
E’ una bella giornata oggi; sto terminando il mio programma addestrativo e sono contento del lavoro svolto.. Oggi sono in il target per una missione addestrativa. Decollerò 5′ prima di una coppia e mi porterò in zona di lavoro. Poi mi metterò a girovagare per l’area stabilita in attesa che gli altri facciano il loro lavoro … simuleranno un ingaggio frontale con chiusura nel settore ore 6. Il velivolo che mi e’ stato assegnato e’ un bel monoposto; un G. Credevo che non avrei mai volato su un G, dopo l’assegnazione a Rimini il G era altamente improbabile. Invece, eccomi qui, a prevolare un vecchione. Tutto e’ a posto; anche il carburante. Abbiamo richiesto le taniche a metà, visto che riempirle tutte non aveva scopo. Mi accorgerò più tardi dell’importanza del particolare. Inizio a rullare e uscendo dal parcheggio vedo gli equipaggi della coppia che raggiungono i due TF. Decolleranno poco dopo di me. Vento calmo oggi….pista 03. Non devo quasi virare per andare in zona. TWISSCOREDA effettuati pronto alla partenza. La torre mi autorizza all’allineamento e decollo. Ultimi controlli, flaps, tettuccio, mi rammento la procedura di aborto, pronto. Il J 79 sembra nuovo, un motore veramente affidabile. Prova motore OK, freni liberi, MIN A/B, inserito, Full A/B. E’ sempre una bella sensazione, come se ti catapultassero in aria, X speed regolare. Rotazione, il muso si solleva leggero, tra un istante sarò in volo. Un’ombra veloce, da destra a sinistra, proprio sotto di me; TONK. Come una martellata sullo stelo del carrello anteriore. Da questo istante il tempo si ferma, un centesimo di secondo diventa un secondo. Un Uccello..poco da ridere… Cos’era, sembrava grande, anche il colpo sembrava forte. ho ruotato, mi devo considerare in volo e proseguire il decollo, ma…. Ma ho le tip a metà e sono leggero. sono a terra e non so se il J 79 si e’ mangiato le ossa….come flusso aerodinamico direi proprio che il ruotino e’ ad altezza prese d’aria. ABORT. Sono sicuro della bontà della decisione presa oggi come allora. Sono ancora altrettanto stupito di quanto semplice sia stato prendere la decisione e di quanto tempo ho avuto a disposizione per eseguirla con tranquillità. Ma sono consapevole che ciò e’ avvenuto grazie alle migliaia di volte che ho immaginato quella situazione. Throttle min AB, max DRY, IDLE.Le cinghie si attaccano alle mie spalle. Anemometro 200, Se aprissi ora il parafreno si farebbe in 100 pezzi; brakes, anemometro 180 che diminuiscono, parafreno. Ancora quella sensazione delle cinghie, ma più forte. dall’inizio manovra all’arresto velivolo passeranno 9″. Ne sono passati 3″!!!! Gancio: quante volte mi hanno detto di stare attento a non premere la luce conferma gancio credendo che sia il pulsante di estrazione gancio; li vedo entrambe ho tutto il tempo di ricordare le funzione di quei due particolari, premo il pulsante e la luce si accende. Ricordo che la precarica del gancio al prevolo era ottima, non rimbalzerà a lungo. Freni…..quanto saranno caldi…molto! Ma continuano a frenare bene. La barriera e’ ancora…lontana…2″. 150 KTS, la barriera mi terrà. Controllo la maniglia di eiezione inferiore, quella che ho sempre preferito e mai usato. La torre avrà già avvisato per l’emergenza? Sto entrando in barriera, glie lo dirò dopo che sono fermo. 110 kts, TUM TUM, dopo il carrello ancora le cinghie, ma una frenata molto dolce; mi ha preso. Mi libero subito dalle preziose cinghie e contatto la torre; ha già avvisato gli A/I che saranno da me tra poco. La avviso di allertarli circa la situazione dei miei pneumatici…..i dischi saranno rossi. Una volta a Rimini assistetti allo spegnimento di un motore con un leggero vento. I freni non erano rossi, forse caldi, ma non come i miei ora. Il JP8 prese subito fuoco e solo la prontezza del pilota nello scendere e dei crew chief nell’intervenire permisero di evitare guai. Tengo il motore in moto, anche quando gli A/I mi dicono di spegnere; voglio il crew chief con il secchio.Finalmente arriva e spengo tutto. Scendo. Naturalmente, come nella mia migliore tradizione dimentico il collegamento seggiolino secumar, e rompo le palle ad una serie di persone in volo. Sono così bravo oramai nel disinnescarla (La radio) che potrei lavorare per la manutenzione dei secumar…non si sa mai. C’e’ già un sacco di gente…che palle. Anche il Comandante di Stormo. Ma come c…o fa’ ad essere già qui. TEMPO RELATIVO; Il jolly e’ finito e la vita torna a scorrere normalmente, con i Natali che si comprimono più vicino ogni anno che passa. Tempo relativo.
Carissimi Amici permettetemi di presentarmi, sono uno dei pochi appassionati che ha potuto avvicinarsi veramente agli aeroplani, quindi capisco molto bene la vostra sete di notizie, specialmente quelle che riguardano lo Starfighter. Cosa ne direste di fare una Prima Prova Motore con me? L’aeroplano e appena uscito dall’ispezione è sistemato al centro dell’hangar, è verniciato a nuovo di un grigio chiaro, lo chiamiamo “Grigio Piemonte” perché è come il nostro cielo in buona parte dell’anno. Ha il tettuccio chiuso, il muso alto per la mancanza del seggiolino eiettabile, dovremo controllarlo tutto poiché non possiamo lasciare nulla al caso, ne va della nostra sicurezza e di quella altrui. Ha una linea magnifica, ha 40 anni, ma non li dimostra, come un antico “Veliero” solca i cieli ancora con orgoglio. Cominciamo con un Walkin-Round, ci posizioniamo davanti al Pitot, le ali sono livellate, i pneumatici gonfi, ci spostiamo sulla sinistra, sblocchiamo la leva del tettuccio e lo apriamo accompagnandolo con delicatezza sino al fermo di sicurezza. Entriamo in cabina per un rapido controllo, quanto è piccola! Il nostro viso è all’altezza del collimatore possiamo vedere solo attraverso il blindo e i quarter light, non invidio il pilota. Ci giriamo verso la consolle sinistra i pannelli di controllo sono tutti installati, Shut/Off (valvola d’intercettazione carburante) aperta, rompiamo il sigillo in rame, alziamo il cappellotto di protezione per poter chiudere tempestivamente il carburante in emergenza. Proviamo la manetta motore, per sentire se vi sono rugosità di scorrimento e libertà di movimento da Stop, ad Idle a Military di qui con un movimento verso sinistra passiamo in Min A/B poi fino in Full A/B, ritorniamo indietro badando che la frizione manetta sia regolata a dovere né dura né molle. Un collega si porta sotto il motore e da un piccolo foro controlla che la posizione manetta data dai fermi posti in cabina chiamati ancorette corrisponda alle tacche di riferimento del Regolatore Combustibile Principale, se non necessitano regolazioni della posizione ancorette si inseriscono i C/B (cirquit breaker ovvero interruttori elettrici automatici) riguardanti la Post/Combustione detta A/B spostiamo la manetta da Military a Min A/B sentiamo così che la candeletta comincia il suo canto tic..tic..tic.. torniamo su Military e entro 3 secondi deve smettere, la si riprova per sicurezza. Riportiamola manetta su Stop, sulla consolle centrale osserviamo che la manetta carrello è Down, pannello gestione Armamento, Flight Director, Indicatore d’Assetto, Variometro ecc… in ordine. Strumenti motore davanti ai nostri occhi sulla destra troviamo gli indicatori dei giri RPM, temperatura Tbt, area ugello Aj, Flussometro in PPH (libbre per ora) Pressione Olio Lubrificazione in P.S.I. Non dimentichiamoci di controllare di avere il pieno di carburante, la quantità varia in base alla versione del –104- L’indicatore CIT Temperatura Ingresso Aria Compressore, gli Indicatori Pressione Idraulica ci sono, il CWP Central Warnig Panel ammicca. Uno sguardo alla consolle destra dove troviamo la gestione del condizionamento cabina, proviamo l’Air Scoop quel piccolo sportellino che serve in emergenza per ventilare la cabina, con la mano destra impugnamo la maniglia di chiusura in Emergenza Ugello tiriamo poi la facciamo rientrare con una piccola spinta, non deve presentare resistenze in caso di dubbi controlliamo col dinamometro. Il solito collega si porta vicino alla presa d’aria destra, noi in cabina tiriamo l’apposita maniglia controllando i valori di sforzo mentre lui controlla la regolare apertura della RAT Ram Air Turbin, la quale ha il compito di fornire Pressione Idraulica per i comandi di Volo e Energia Elettrica per poter abbassare i Flaps in Down in caso di Flame Aut motore . Con l’apposito interruttore sblocchiamo gli sportelli prese d’aria ausiliari mentre i colleghi dopo aver rimosso la spina di sicurezza tirano a se verso l’esterno, questa manovra si fa manualmente in quanto siamo senza pressione idraulica che in queste fasi non utilizziamo in quanto tranciare un uomo in due con uno sportello azionato idraulicamente è un amen. Scendiamo sotto, esaminiamo accuratamente tutta la zona della presa d’aria specialmente i condotti di estrazione dello strato limite, controlliamo la RAT, poi con torcia e tuta ci infiliamo in presa d’aria attraverso lo sportello ausiliario, questo si fa sia sull’-S che sul –G col tempo si impara ad assumere le posizioni più consone per evitare tanti lividi, si passa giusti giusti, si và verso il motore che ci aspetta con le IGV completamente aperte (le troveremo chiuse dopo la messa in moto) con fatica siamo arrivati a poter ruotare a mano le palette compressore, le esaminiamo, manca l’aria, calma niente panico o non riusciremo più ad uscire, per tirarci fuori l’unico modo è smontare il motore, misuriamo il centraggio dello stesso rispetto alla presa d’aria, i vari flabelli che in volo durante fasi critiche si aprono così il motore può attingere anche dal vano motore per poter fornire i circa 70 Kg d’aria al secondo che questo “tubo” ingoia per poter fornire tutta la spinta. Tutto regolare, cominciamo ad uscire, se entrare è stato difficile uscire è tragico, la forma a V della presa d’aria ci permette solo il movimento a spinta, ma siamo su una superficie liscia, con un sospiro con la scarpa tocchiamo bordo dello sportello, col piede ci agganciamo e così ci aiutiamo a uscire, badando a sollevare bene il bacino, pena grossi lividi alla coscia sinistra, fatti dal bordo dello sportello. Beati i piloti che non hanno questi problemi! Ma animo, siamo fuori.
Era il 18/3/86, e alle 15.50 decollavo col mio “Spillone” totalmente “pulito” per un volo prova supersonico. Per un pilota caccia-bombardiere abituato ad andare in giro con tips, pylons, dispenser e talvolta anche razziere, volare con l’ avione pulito rappresenta sempre una sensazione particolare!
Decollo, salgo come una “spia” ed in men che non si dica mi ritrovo a 37.000 ft.; accelero e, dopo i primi controlli supersonici, salgo a 39.500 ft per il “rush” finale . L’ A/B è ancora tutto dentro, l’avione corre, mach 2.2, la “SLOW” si accende: devo rallentare.
Sono di nuovo subsonico, a destra c’è il Conero, un attimo prima c’era il delta del Po. Viro a destra in discesa per quote pių “umane” inbound alla base per effettuare gli altri test, e a metā virata una prima luce antipatica : Fix Freq Out (l’F104 ha energia elettrica a frequenza fissa (Fixed Frequency) e a corrente alternata (A.C.). Fix Freq Out è una luce del pannellino avarie che indica che si è persa l’energia a Frequenza Fissa).
Quante volte mi sarà successo nelle (allora) quasi 2000 ore di volo che ho passato sullo Starfighter : premo quel famoso pulsante e tutto torna come prima! E allora lo faccio, ma non succede assolutamente niente, la Frequenza fissa rimane Out. OK, lo faccio di nuovo, e qui cominciano le grandi sorprese. In un attimo mi trovo “al buio” : Gen1 Out e Gen2 Out, completa avaria elettrica.
La cosa si fa seria: sono in Emergenza. La dichiaro subito a Romagna APP, e subito si inserisce la SOR (la sala operativa (Squadron Operation Room) per darmi manforte – Biagio che hai ?-
– Sono in completa avaria elettrica, adesso imposto il “precauzionale”,e vengo gių.
– OK, ricordati che dovrai tirare fuori la “R.A.T. (Ram Air Turbine, č un generatore esterno di energia elettrica. Si tratta sostanzialmente di un’elica che viene estratta dalla fusoliera del velivolo e, investita dall’aria, comincia a girare generando, con questo movimento rotatorio, l’energia elettrica necessaria per gli impianti base dell’aeroplano).
– Sì, ora applico tutta la procedura e la tiro fuori.
Ho già tanta esperienza, ne ho viste di cotte e di crude e adesso devo fare una cosa che non avevo mai fatto prima, devo usare la R.A.T.
OK, tiriamo questa maniglietta gialla…. quanto rumore, ma almeno le lancette degli strumenti hanno ripreso la loro vita “guizzante”: ho di nuovo energia elettrica. La velocità va bene, fuori i flaps. Intanto scendo, scendo, e scendo ancora: il campo si avvicina.
OK, la pista è là davanti, la velocità l’ho ridotta e ora è giusta,1600 ft, è ora di tirar giù il carrello : OK, č fuori.
Cribbio, cos’è questo silenzio improvviso? e perchè il muso ha preso a puntare il suolo?
– SOR, ha piantato il motore, mi lancio!
– OK
– NO, HO UN PAESE DAVANTI, CERCO DI SALTARLO E POI MI LANCIO !!!
– OK
Sto puntando un prato; DIO si avvicina troppo, l’ora di tirare la maniglia, quella più vicina !!!
Ma quanto tempo ci vuole prima che parta il tettuccio ed io venga cacciato fuori da questa trappola mortale !?
Che botta, ho male alla schiena, i fogli del cosciale mi volano attorno, che male alla schiena, sto facendo la capriola, che male alla schiena, un’altra botta, dev’essere l’apertura, guardo in alto, si è aperto bene, ora devo pensare all’atterraggio, ero molto vicino al suolo, guardo in basso, DIO ho male alla schiena e alla caviglia.
Sono sdraiato su di un fianco con gli occhi chiusi, ma dove? in quale mondo? sono ancora vivo o no?
Apro gli occhi, c’č l’autostrada, ci sono delle automobili che corrono, altre si fermano, sono ancora vivo, oppure “di là” ci sono le stesse cose che c’erano “laggiù”.
Mi alzo e mi guardo attorno, ho molto male alla schiena, vedo il fumo nero, arriva gente, una donnetta si avvicina con un bicchiere di Sangiovese in mano: ” beva, la tirerà su ” mi dice tutta affannata .
Le chiedo: ” dov’è caduto l’aereo, ci sono feriti, morti ? ” Ci sono stati tre morti ed alcuni feriti !!!
Il seguito è costituito da una storia giudiziaria ed una vicenda umana che si sono protratte per nove anni prima di arrivare finalmente alla completa chiusura la prima, mentre la seconda ha comunque lasciato dei segni indelebili.
Audio radio originale del lancio:
E’ mattina di primavera. Un fronte nuvoloso ha appena lasciato il centro Italia, dopo una notte di temporali l’aria è limpida e serena, fa un pò fresco. Siamo d’allarme io e Vittorio, siamo colleghi di corso d’Accademia, siamo arrivati insieme al Gruppo di Volo nell’86, abbiamo fatto insieme le Scuole di volo negli USA, insomma ci conosciamo da una vita. Squilla il telefono. Risponde Peppe. Comincia subito ad agitarsi. “Vittò, Salvo, andate a bordo, chiamate la squadra, si parte.” Quando può il radar ci avverte sempre della possibilità di partire su scramble. Se si accendono tutti gli apparati elettronici e si fa allineare la piattaforma inerziale di navigazione, si possono ridurre i tempi di reazione della coppia di allarme a 2 o 3 minuti. Comincio a chiamare i Sottufficiali a me assegnati, stanno sempre insieme, Mario e Giggino, detti Cip e Ciop. Mentre camminiamo veloci verso i velivoli dico a Vittorio che mi legherò completamente, senza attendere l’ordine di decollo, lui mi dice che farà lo stesso. Salgo sul velivolo dopo avere infilato la tuta anti G. E’ una tuta che si gonfia automaticamente all’aumentare dell’accelerazione centrifuga subita dal pilota. Con questa tuta il corpo del pilota viene compresso a livello dell’intestino, della cosce e delle gambe, permettendo al sangue di non andare via dai vasi del cervello. Senza una tuta del genere si resiste male alle accelerazioni, il sangue defluisce dalla testa a causa della forza centrifuga, che può raggiungere valori sino a 8 volte superiori a quella terrestre, avendo dapprima problemi alla visione e poi perdendo conoscenza. Un pilota allenato senza tuta anti G resiste senza problemi sino a 6 G, una persona normale sviene. Con questa tuta si resiste sino a 9 G, anche se è molto faticoso specie per il collo e la schiena. Salgo a bordo, comincio a legare le numerose cinghie del seggiolino. Ce ne sono 2 per retrarre le gambe, due per le spalle, 4 per l’addome, infilo il casco e arriva il suono della sirena. Si parte!!! Guardo verso lo shelter di Vittorio, mi fa un cenno d’intesa, anche lui è pronto. Gigino ha portato già il motore al 10% dei giri, vado con l’ignition e si accende subito. Seguo l’accensione, tutto regolare, faccio il cenno di staccare il compressore dell’aria, il motore gira da solo e si stabilizza al minimo. Mentre mi tolgono le sicure del seggiolino, che Gigino mi mostra e stiva alle mie spalle, accendo la radio ed il resto degli apparati. Faccio un rapido giro con le dita ed al tatto sento che tutti gli interruttori sono a posto, controllo che gli specialisti abbiano terminato e che si siano tolti davanti come i meccanici ad un pit stop di Formula 1. “Il 2 è pronto”, dico a Vittorio. “1 pronto. Torre, Golf Tango per scramble”. I velivoli d’allarme si chiamano con un codice di due lettere ed ogni Gruppo ha il suo. “Golf Tango scramble, rullate al punto attesa 22, vento 240 12 nodi, pronto a copiare i dati?” “Pronto” “Per voi vettore Bravo 2, livello 80, contatterete il radar sulla Papa 218” “Copiato Bravo 2, livello 80, dopo il decollo Papa 218” Abbiamo ricevuto istruzioni sulla direzione di decollo, il punto da raggiungere dopo il decollo, libero da traffico civile, da cui cominciare la nostra missione ed infine la frequenza su cui contattare la difesa aerea per l’intercettazione. Vittorio si ferma all’imboccatura della pista. 2 Sottufficiali armieri rimuovono tutti i sistemi di sicura dei missili, danno una rapida occhiata al velivolo, si mettono ai lati e mostrano le spine di sicurezza rimosse al pilota. L’aereo adesso può andare in volo. “Golf Tango 32 allineamento” “Autorizzati all’allineamento e decollo pista 22, vento da 240 gradi 12 nodi” “Autorizzato, attende il 2 in pista” “Roger” Vittorio si allinea al centro pista, attende che anch’io abbia raggiunto l’imboccatura della pista. Quando gli armieri hanno terminato di togliere le mie sicure, Vittorio dà tutta potenza. Mi allineo in pista anch’io. “Golf Tango 45 allineamento e decollo, il vento è copiato” “Autorizzato” Allineo il velivolo al centro pista e gradualmente dò motore avanzando la manetta fino al massimo della corsa, senza accendere il postbruciatore. Il motore c’è, il velivolo accelera gradualmente e dopo un centinaio di metri sento il cavo d’acciaio della barriera d’arresto passare sotto le gomme del 104. E’ un cavo d’acciaio perennemente steso di traverso alla pista, a 300 metri dalla fine della stessa e ce n’è uno per ogni estremità della pista. Il cavo è d’acciaio trefolato, simile a quello che si vede sulle portaerei per consentire l’arresto dei velivoli imbarcati, è largo 5 cm e può arrestare un F104 al peso massimo che decida di interrompere il decollo. La barriera d’arresto viene tenuta sollevata da dei gommini del diametro di 15 cm per permettere al gancio di arresto d’emergenza del nostro velivolo di poterla afferrare saldamente con il proprio uncino terminale. Passata la barriera, accendo il postbruciatore. L’afterburner (A/B) dà un bel calcio in più, adesso non ci faccio più caso ma la prima volta sembrò di andare nell’iperspazio. Prossimo a 175 nodi, eseguo la rotazione, tiro indietro la barra di un decina di centimetri e vado in volo. Non appena ho la sensazione di un rateo di salita positivo tiro su il carrello e comincio la virata a destra. A 30 metri d’altezza il carrello è già su e bloccato e ho 250 nodi, in rapido aumento. Vedo il leader davanti a me ad ore 2 che vira a destra e taglio all’interno della virata per avvicinarmi. A 1000 piedi, gradalmente esco dall’A/B e chiudo su Vittorio, posizionandomi al suo fianco ad un miglio di distanza. Viaggeremo parallelamente sulla rotta assegnata dal radar alla velocità di salita di 400 nodi o Mach .85. “Golf Tango, cambiante con il radar sulla Papa 185” “Ricevuto, Golf Tango, canale 22” “22” Abbiamo cambiato sulla frequenza del radar, già memorizzata sulla radio di bordo sulla posizione di memoria 22. Il leader contatta il radar della Difesa Aerea. “Buongiorno radar, i Golf Tango sono in volo, raggiunto livello 80, 2 check?” “2 su questa ” “Golf Tango buongiorno a voi, prua 090° salire e mantenere livello 290 da raggiungere prima dell’aerovia, ci sono problemi?” Dobbiamo salire poco al di sotto della quota del target (29000 piedi) e, se salissimo senza usare tutta potenza, saremmo costretti ad attraversare spazi aerei pieni di aerei civili. Finché si può si cerca sempre di evitare di fare deviare il traffico aereo civile, ma salendo con tutta potenza aumentiamo il consumo e riduciamo l’autonomia del velivolo. “Negativo, saliamo veloci” “OK salite a 290, il target è a 200 miglia con prua 350, velocità .85 di Mach, livello 310” “Abbiamo copiato, Golf Tango via con l’A/B, ora!” Dopo avere ricevuto l’ordine, inserisco il postbuciatore e salgo a 29000 piedi in 2 minuti. Adesso viaggiamo in formazione tattica, alla velocità di crociera di .95 di Mach. Dò un occhiata al carburante e travaso il contenuto delle taniche sulle estremità alari. Sistemato il carburante dobbiamo solo pensare a trovare il target. Stiamo convergendo gradualmente sul velivolo da identificare, quando si avvicinano rapidamente le nuvole che all’alba hanno scaricato tutta quell’acqua sul nostro aeroporto. Ben presto siamo in condizioni di volo strumentali, non vedo più il leader e la formazione si trasforma: arretro e seguo ad un miglio di distanza il leader arretrato di 45 gradi rispetto a lui. Il tempo si fa brutto, fra poco si comincia a ballare. Sarebbe il caso di salire ma non si può, dobbiamo mantenere il livello di volo. Il radar di bordo mi dice che oltre al nostro target nella zona ci sono dei temporali enormi, che si estendono a quote molto alte. Il target è veloce, deve essere un jet, magari qualche velivolo di linea. Lo seguo sul radar e mi posiziono alle sue spalle, il leader fa lo stesso. Vedo entrambi sul radar, il mio leader ed il target. Siamo in volo da 20 minuti e l’intercettazione è virtualmente conclusa. Dopo una corsa di 15 minuti ci siamo affiancati al velivolo da identificare ma non riusciamo a vederlo a causa dei temporali. Restiamo alle sue spalle a distanza di sicurezza, almeno 1 miglio. Da terra ci chiedono di confermare il tipo di aeromobile, ma è impossibile. Siamo in nube, sia io che Vittorio, non possiamo vedere nulla, le nubi sono così spesse che è quasi buio, pur essendo quasi a 10000 metri di quota. Continuiamo a seguire il target buoni buoni, quando improvvisamente la turbolenza aumenta. L’aereo ha degli scossoni violenti, sento il rumore della grandine sul tettuccio, l’autopilota non cela fa a stare dietro alle continue variazioni di volo e devo portare l’aereo a mano. Il mio 104 improvvisamente rolla di 60 gradi a destra e a sinistra. Vedo un lampo, il velivolo adesso è pieno di elettricità statica e si formano i fuochi di Sant’Elmo sulle parti metalliche che bordano il tettuccio. Il radar mi dice che siamo in mezzo ad un temporale, ma che diavolo di velivolo stiamo inseguendo? Non può essere passeggeri, avrebbero vomitato tutti. Se un 104 prende queste botte, figuriamoci un velivolo civile, molto più sensibile alla turbolenza a causa del suo ridotto carico alare. Manca poco ad uscire, smette la turbolenza, aumenta la luce del sole, finalmente sono fuori delle nubi. Eccolo davanti a me, dove mi dice il radar. Fra poco ricomincia una serie di nubi devo sbrigarmi. “Radar, il 2 è in tally, mi avvicino” “Vai Salvo, io sono ancora dentro, fra poco sono fuori anch’io” “Autorizzato all’identicazione, Golf Tango riportare tipo di velivolo” Già, che diavolo di velivolo è, che viaggia in mezzo ai temporali come se nulla fosse? E’ grigio, colorazione mimetica, mi avvicino velocemente e poi metto il motore al minimo per fermarmi al suo fianco. “E’ un Badger, un Tupolev 16!!! Anzi è un Badger D”. L’aereo è una versione di un bombardiere sovietico, nella sua versione per il pattugliamento e la ricerca elettronica, pieno di bozzi per le antenne di ascolto in fusoliera. Siamo in acque internazionali, starà tornando in Unione Sovietica dopo qualche rischieramento in paesi amici del Mediterraneo. Mi avvicino, prendo la mia Canon EOS e comincio a scattare un pò di foto. Mi avvicino ancora e comincio a fare foto ai particolari del velivolo. Sulla coda, sotto la stella rossa c’è un enorme bulbo, una torretta d’osservazione; dentro c’è una persona, mi sta fotografando. Si avvicina anche Vittorio, adesso siamo in due sotto la pancia del Badger. Dall’aereo la persona che ci fotografa ci mostra una lattina di Coca Cola e fa cenno di offrircela. Rispondiamo a gesti “no grazie”. Il radar ci richiama all’ordine: “Golf Tango, quanto volete restare ancora in zona?” “Stiamo rientrando, ci aggiorna sulle ultime della Base e ci conferma l’aeroporto alternato?” “La base ha colore blu, l’alternato è immutato, colore verde” Per minimizzare le chiamate radio si usano codici: se la base è blu il tempo è ottimo, i colori si incupiscono sino al colore rosso, base impraticabile. Vittorio si avvicina in ala e mi dice: “Salvo, sei passato in mezzo ad una nuvola di cartavetrata? Hai pezzi di fusoliera sverniciata!” Mi giro e non riesco a vedere nulla, ma le prese d’aria del motore sono state scartavetrate dalla grandine intensa di quel temporale, che impattava la fusoliera a velocità quasi supersonica. Guardo il velivolo di Vittorio. “Vittorio, guarda che anche tu non stai messo meglio. Anzi…vai un pò avanti a destra…” Vittorio si allarga, avanza a destra e assume la posizione di leader. Mi avvicino sotto la pancia del suo velivolo. Quella che era un impressione si conferma una realtà. Oltre ad essere solo sverniciato sulle prese d’aria ed in qualche punto della coda, uno dei missili è stato colpito da un pezzo di ghiaccio molto grosso e si è spaccata la testina di guida, aprendosi come un carciofo. Torniamo a terra dopo un ora e mezza di volo, le foto sono venute bene, la testa di guida del missile va sostituita e l’Ufficiale addetto alla Sicurezza del Volo farà una relazione ai Comandi Centrali. Non accade spesso di incontrare tempo così brutto. Di quelle foto ci tratteniamo una copia. Mettiamo la firma ed è ancora lì che campeggia nella Sala Piloti del Gruppo a ricordo di una giornata di lavoro tosta.
Scramble in inglese significa una corsa disordinata e scomposta di un gruppo di persone verso un qualcosa di grande valore per chi corre. Per un pilota intercettore questa parola di 8 lettere significa una scarica di adrenalina ed una vampata di energia improvvisa. Scramble è la parola in codice con cui i controllori guida caccia seduti 24 ore su 24 davanti ad uno schermo danno l’ordine ai piloti intercettori di alzarsi in volo per intercettare una “traccia”, un oggetto volante sulla cui identità ha deciso di indagare il Comando Tattico che sovraintende il territorio coperto dal raggio di azione degli intercettori. In tempo di guerra la traccia può rivelarsi un aereo con intenti ostili, o può essere un velivolo amico la cui identificazione è dubbia. Durante il tempo di pace si tratta di vedere chi è quel velivolo il cui piano di volo o il cui comportamento è sospetto. Insomma, dopo l’ordine di scramble si decolla ma non si sa dove si va, né chi si va ad incontrare. Chi è un pilota intercettore? L’intercettore nasconde, sotto una apparenza assolutamente nomale nella quotidianità, un “animale da guerra” estremamente flessibile, dalle superiori capacità di adattamento, nervi saldi e capacità di fare funzionare il cervello anche sotto stress. Chiuso nel suo ufficio incernierato ad una fusoliera che si muove ad alta velocità nelle tre dimensioni, l’intercettore ha un compito difficile. Lontano dalla sua base madre, collegato via radio al sito radar di terra, non sa chi va ad incontrare a molte miglia di distanza dall’aeroporto da cui è decollato con un compagno di pattuglia, pronto a dargli una mano in ogni evenienza. Ha pochi secondi per pianificare, deve sapere prendere decisioni giuste per evitare di creare incidenti diplomatici in tempo di pace, oppure, in tempo di guerra, di abbattere l’aereo sbagliato o di farsi abbattere da qualcun altro. L’intercettore deve potere essere in volo in 5 minuti. Sempre. 24 ore su 24. Tutti i giorni e con ogni tempo meteorologico. Il pilota intercettore deve sapere a memoria le regole di ingaggio, che prescrivono come comportarsi qualunque cosa accada durante l’intercettazione, l’identificazione ed, eventualmente, l’intervento sul velivolo oggetto dell’interesse dei Comandi NATO o nazionali. Qualsiasi regolamento di questo mondo, però, non può prevedere tutto, né la realtà può essere totalmente aderente ad una fattispecie astratta quale quella prevista dalle regole di ingaggio sancite dai Supremi Comandi. Subentra allora l’addestramento e la capacità dell’intercettore di usare il contenuto della zucca in qualsiasi condizione ambientale. Condizioni davvero difficili, talvolta. Nel tempo in cui una persona normale impiega alle 5 del mattino per svegliarsi, prendere conoscenza fra uno sbadiglio e l’altro, alzarsi dal letto, stiracchiarsi, grattarsi la testa, darsi una occhiata allo specchio e lavarsi i denti, l’intercettore si è svegliato, è saltato nell’abitacolo del suo F104, è decollato e sta livellando il velivolo a 36000 piedi, prossimo alla velocità del suono. Dopo l’uscita dallo shelter, il rifugio corazzato dove gli aerei da caccia sono sempre custoditi, la situazione meteo della Base può anche sembrare pessima, ma se il bollettino meteo dice che la minima di visibilità i pista permette il decollo, si va. E solitamente non è mai abbastanza brutto per non partire. Al limite dopo lo scramble si atterra da qualche altra parte d’Italia, un’alternativa all’aeroporto di decollo c’è sempre. Non a caso ogni intercettore porta con sé dentifricio e spazzolino… Come svolge il suo servizio il pilota intercettore? Si inizia la giornata con un briefing generale a cui assistono tutti i piloti disponibili sulla base, gli addetti al Servizio del Traffico Aereo (ATC), i capi dei Servizi di Supporto, Logistico e Tecnico e, ovviamente, il Comandante della Base. A turno, l’Ufficiale Meteo, un addetto ATC, un addetto del Comando Operativo della Base (Ufficio Operazioni) espongono i dati salienti della situazione della Base. Viene illustrata la condizione generale delle infrastrutture e dei mezzi, viene indicata la situazione delle Basi aeree della Difea Aerea nazionale ove possiamo essere inviati durante il servizio, viene indicato l’aeroporto alternato, ove recarsi in caso di momentanea chiusura della Base madre. Un pilota, solitamente il più giovane, espone in dettaglio, a memoria, sotto lo sguardo attento di tutti i piloti e del Comandante di Base il comportamento da tenere in caso di una avaria al velivolo, emergenza selezionata fra le tante previste dal manuale di volo, indicata dal responsabile di Sicurezza Volo. A questo punto restano solo le persone abilitate alla classifica di segretezza NATO SECRET e si assiste alla discussione o alla illustrazione di temi intelligence: esercitazioni in atto, situazione delle forze aeree dei paesi d’interesse, illustrazione delle caratteristiche di altri aeromobili o mezzi. Al termine prende la parola il Comandante di Base che, dopo aver chiesto al Comandante di Gruppo o al Capo Ufficio Operazioni se vogliono aggiungere qualcosa, chiude il briefing dopo il saluto formale sull’attenti da parte dei piloti. Arrivati nella zona operativa, i piloti in servizio d’allarme, che per 24 ore saranno pronti a partire nel minor tempo possibile, si avviano alla sala equipaggi e controllano il proprio giubbotto di sopravvivenza. E’ una specie di gilet del peso di una decina di chili, dotato di tasche dove è contenuto di tutto. Vi si trova * un piccolo kit di automedicazione, con pillole, bende e garze; * fiammiferi antivento sigillati in un contenitore stagno; * una coperta termica in un materiale leggerissimo simile all’alluminio capace di fornire una discreta eco radar; * torce elettriche; * cioccolato * una lampada stroboscopica visibile a grande distanza, da portarsi su una specie di cuffia per la testa, a sua volta catarinfrangente, * delle piccole cime, attrezzatura per la pesca, * una cima d’acciaio speciale, seghettata, che termina con 2 anelli: afferrando con le dita i due anelli e facendo scorrere la cima si ha l’effetto di una lama; facendo forza con il peso del corpo, un ramo viene giù in un attimo! * un pugnale; * un piccolo manuale di sopravvivenza per utilizzare le risorse custodite nel più voluminoso kit contenuto nel seggiolino eiettabile; * dispositivi di segnalazione ottica: fumogeni, razzi, sostanze coloranti; * una radio di emergenza collegata al seggiolino eiettabile: in caso di espulsione, comincia a trasmettere immediatamente; * 2 salvagenti automatici che entrano in funzione non appena si entra in acqua; * molto altro. Dopo avere controllato il contenuto del giubbotto, si prende il casco, la borsetta personale con le cartine di navigazione e si va a preparare i velivoli. Ciascun pilota, Capocoppia e Gregario, effettua la prova del velivolo e dell’armamento, si controlla che tutte le sicure dei missili siano posizionate e dal quel momento solo il suo Sottufficiale specialista e lui si potranno avvicinare a quel velivolo. Tutto deve restare pronto al decollo, con gli equipaggiamenti elettrici costantemente alimentati e riscaldati. Insieme ai 2 piloti, effettua il servizio 24 ore una squadra di Sottufficiali specialisti. Anche loro dovranno correre giù da un letto o lasciare immediatamente la propria attività per armare e far decollare il velivolo in pochi minuti, anche loro dovranno possedere la lucidità necessaria per fare in pochi minuti azioni delicatissime e senza errori, che potrebbero risultare nel fallimento della missione. Anche loro sono soggetti ad un allenamento costante per eseguire rapidamente e bene il loro compito. Sotto lo sguardo attento dei più anziani, un Sottufficiale impara a riconoscere a colpo d’occhio quel che va o non va e a dare il segnale di via libera al pilota, che si deve fidare ciecamente, non c’è molto tempo per controllare. Terminata l’accurata preparazione del velivolo, si controllano i collegamenti elettronici diretti con i radar della Difesa Aerea e si conferma l’avvenuto termine delle preparazioni dando la “prontezza” al Comando Tattico. Da quel momento si sarà pronti a partire e cominciano 24 ore di attesa. Ognuno vive l’attesa a modo suo. Si inganna il tempo lavorando negli uffici del Gruppo di Volo (c’è sempre qualcosa da fare e da studiare), si tiene d’occhio la situazione meteorologica ed operativa delle altre Basi. In genere il pilota più anziano della coppia di piloti d’allarme coordina l’attività di volo del giorno, svolta dai piloti in addestramento di routine. Durante il tempo libero si legge, si cucina qualcosa da mangiare insieme agli amici Sottufficiali (si divide insieme qualcosa portato da casa). Si va a letto tardi, dopo molta tv, e ci si alza presto per preparare l’attività dei piloti che verranno a lavorare il giorno dopo. Si vive così, apparentemente tranquilli, pronti a balzare verso i velivoli appena un altoparlante comincia a gracchiare “Scramble, scramble, scramble!!!”.
Era Nel novembre del 1986 cadde finalmente il divieto di effettuare combattimenti fra velivoli dissimili. In altre parole, fino a quel momento non era possibile effettuare combattimenti, per esempio, fra F104 e Tornado. Nel supremo interesse della Sicurezza del Volo ciò era proibito, si temeva il ripetersi di eccessi da parte dei piloti, che in passato avevanoportato ad incidenti. Un F104 poteva scontrarsi solo con un suo simile. Ovviamente qualsiasi pilota degno di tale nome si menava quasi quotidianamente con qualsiasi velivolo gli capitasse a tiro e fosse consenziente, ma ciò non era legale, con tutte le implicazioni del caso. Finalmente il divieto fu tolto e quel giorno, nel poligono ACMI di Decimomannu si trovavano Sea Harrier inglesi e F104 italiani. Il primo a combattere fu il T.Col. Carlo Tondi, comandante del 10° Gruppo Caccia di Grazzanise, adesso collaudatore di elicotteri per l’Agusta. L’incontro finì zero a zero. Con stupore scoprimmo che quando il gioco si fa duro era difficile abbattere un 104, per una serie di motivi. AUTONOMIA DI COMBATTIMENTO Il 104 era troppo veloce per alcuni avversari e, cosa che fino ad allora non sapevamo, il fatto di potere accelerare in breve tempo senza un consumo elevato di carburante ci dava un’elevata autonomia di combattimento. Cioè, per restare nell’arena di combattimento non eravamo costretti a sprecare molto carburante, perché dovevamo usare potenze di poco più elevate di quelle di crociera. Altri velivoli che in crociera era più risparmiosi quando cominciavano a manovrare bruciavano carburante che era una bellezza. E ciò li rendeva molto caldi, ma questo lo vedremo dopo. In 40 minuti di tempo a disposizione, senza taniche ausiliarie esterne, un F104 poteva effettuare 4 combattimenti. Un Phantom 3, un F15 3 o 4, un Tornado ADV o un F5 solo 2. VISIBILITA’ Visibilità significa vedere ed essere visti. L’F104 non ha una grande eco radar, né era facile da acquisire a vista, cosa a cui gli altri piloti non erano abituati. I radar del nemico si dovevano avvicinare più del solito prima di spararci un missile a guida radar AIM 7, entrando anche loro nel raggio d’azione del nostro missile a guida radar, che, per quanto vetusto, era sempre un pasticcone pericoloso per chiunque mettesse le sue zampine nel nostro territorio. Ricordiamoci che in combattimento aereo chi ha le armi che colpiscono alla maggiore distanza detta le regole del gioco all’avversario. Un aereo i cui missili non hanno un grande raggio d’azione dovrà inventarsi qualcosa per potere avvicinarsi all’altro aereo fino al punto di potere usare il proprio armamento prima di essere a sua volta colpito dall’altro. In quegli anni F16, Harrier, Jaguar, qualche tipo di Mirage non era dotato di missili a guida radar e ciò li poneva in condizione di impostare subito delle tattiche che evitassero i nostri AIM7. Quando anche loro hanno acquisito missili AMRAAM o equivalenti, la situazione si è rovesciata… L’essere costretti ad esercitarci ad acquisire visivamente un 104 a 10 miglia durante le esercitazioni quotidiane ci dava un vantaggio enorme. Vedere un F15 o un Tornado che sono dei camion volanti era un gioco da ragazzi. Non dimentichiamo che deve vedere anche il nostro missile infrarosso. Per potere lanciare il missile IR dobbiamo essere sicuri che questo abbia visto e agganciato il bersaglio giusto. Se vai in giro usando grandi potenze e bruciando carburante a tutta forza l’aereo diventa caldo ed ha una grande segnatura infrarossa. Il missile ti vede prima se combatti a tutta potenza (sviluppando molto calore), se come il 104, non hai sempre bisogno di tutto il motore… il missile avversario ci mette più tempo. LATI NEGATIVI Gli altri avevano dei radar bellissimi, avevano sistemi RWR che potevano acquisire i nostri radar non appena li avessimo accesi. Come si poteva fare per non farci scoprire prima che gli altri avessero scoperto noi? Come si fa a combattere contro piloti che mantengono una situazione più aggiornata di noi? HARRIER!!!!! Nell’estate dell’87, come da accordi presi in precedenza, ci rincontriamo con i colleghi inglesi del Sea Harrier. Progriammiamo subito uno scontro 3 Harrier contro 3 F104. L’appuntamento è alle 7 di mattina nella sede inglese. A Decimomannu inglesi, tedeschi, americani e italiani, dividono equamente la base ed ognuno ha le proprie strutture per il comando e controllo delle missioni e l’indottrinamento dei piloti. Le missioni si svolgono in un ampio rettangolo di 150 km per 80 km circa, al largo della costa occidentale della Sardegna. Un calcolatore elettronico elabora i dati di un dispositivo (POD) montato al posto di un missile a bordo degli aeromobili che combattono. Posizione e velocità del velivolo e molto altro viene inviato dal POD ad una serie di stazioni di terra che permettono di non perdere nessun dato. I piloti a terra possono rivedere quanto accade in aria stando comodamente seduti in una saletta davanti ad un enorme schermo. Su questo schermo appaiono le sagomine degli aerei in volo rappresentate secondo le fattezze proprie del velivolo. Si può selezionare la vista del poligono in qualsiasi maniera e ruotare tridimensionalmente la vista per mettere in risalto ciò che si vuole. Un altro schermo permettere di seguire istantaneamente i dati cinematici fondamentali di un singolo velivolo o di un velivolo in relazione ad altri. Quando un pilota in volo agisce sul sistema di sparo e lancia un missile, in aria gli altri in volo sentono un tono acustico (un missile è stato sparato) ed a terra il calcolatore ricostruisce la traiettoria del missile sulla base delle caratteristiche cinematiche dello stesso e delle caratteristiche del sistema di guida e di acquisizione. A terra dall’aeroplanino così come è rappresentato sullo schermo parte il simbolo del missile che lentamente si dirige sull’aereo avversario. Il calcolatore assegna la vittoria o meno disegnando una bara lampeggiante intorno all’aereo abbattuto che è costretto ad allontanarsi ed attendere l’inizio del nuovo combattimento. Insomma, come avete visto, si può ricostruire un combattimento in ogni singolo dettaglio ed imparare molto da ciò. Ci presentiamo puntualissimi. Siamo in 5. C’è Attilio, comandante del 10° Gruppo (Comandante di MD80 in Alitalia), Ettore (pilota della Pattuglia Acrobatica Nazionale in seguito), Peppe, adesso allo Stato Maggiore Aeronautica, sanguigno campano che non volerà la missione ma farà da controllore a terra davanti ad una delle consolle destinate ai superisori dello scontro. C’è inoltre un controllore guidacaccia del sito della difesa aerea di Licola detto “il Lupo dell’Irpinia” ed io. Peppe o’ pilota ed il Lupo dell’Irpinia sfornano battutacce in continuazione. Ci accoglie un equipaggio formato da un ufficiale anziano, uno più giovane, sicuramente esperto ed uno giovanissimo, in addestramento. Hanno fatto come noi, penso, meno male, non hanno sparato i grossi calibri. Il briefing è dettagliatissimo, vengono assegnate quote di sicurezza, zone di partenza, vengono stabilite frequenze radio su cui troveremo i nostri guidacaccia. Al termine del briefing ci viene chiesto con estremo fair play se desideriamo uno scenario diverso o che gli Harrier mettano in pratica qualche tattica particolare per favorire il nostro addestramento. Attilio con il suo inglese un pò frammentario risponde di no, fate il meglio che potete contro di noi. Ci salutiamo, ci auguriamo buon lavoro reciprocamente ed abbandoniamo la sala. All’uscita noto che colui il quale ci ha fatto il briefing prima del combattimento campeggia su un articolo di un giornale inglese incorniciato su un quadro perché ha abbattuto qualche nemico durante la guerra delle Falkland… Molto bene ci sarà da imparare. Torniamo nella sede italiana. Attilio ripete il briefing e decidiamo quale tattica usare. Forti della maggiore velocità decidiamo di partire insieme verso il target (bersaglio, aereo nemico) e a 20 miglia dallo stesso ci apriremo. La formazione da 3 velivoli affiancati e separati di 2 miglia l’uno dall’altro diventa un triangolo. Il velivolo centrale incontrerà la formazione nemica per primo seguito dagli altri 2 a distanza di 20 secondi e da direzioni diverse. Il velivolo di Attilio cercherà di acquisire prima possibile il target per imporre ai Sea Harrier una manovra diversiva contro i nostri missili. Chi sbaglia mnovra dovrà fare i conti con uno dei 2 esterni che arrivano a forte velocità. “Dopo l’incrocio con gli Harrier che facciamo?” Attilio sorride e dice “Ognuno per sé e Dio per tutti. Stiamo vicini e occhio fuori. Non c’é niente di codificato a questo mondo quando sei nell’arena. Occhio fuori ripeto. Tu Peppe chiamaci le minacce ed al resto pensiamo noi. Del resto sarebbe così nella realtà, no?” Il briefing termina ed andiamo a vestirci. Prendiamo casco e tuta anti G, la borsetta con le carte per il volo ed andiamo. I marescialli fanno un tifo da stadio, mettiamo in moto e rulliamo. Gli Harrier decollano per primi. Non hanno taniche di carburante esterne, si sono tenuti leggeri, del resto è un velivolo di buona autonomia. Noi abbiamo solo il POD per la trasmissione dati a terra e un missile infrarosso a testa senza armamento esplosivo e propellente. In gergo si chiama “dummy” (lo stupido) e serve a fare sentire se la testata di guida IR ha acquisito il bersaglio. Non c’éè bisogno di un dummy per il missile a guida radar perché è il computer di bordo stesso che stabilisce se il missile va a segno o no e abilita al lancio. A terra abbiamo simulato di avere 4 missili, 2 IR e 2 a guida radar. Al termine di ogni combattimento il computer ci riassegnerà 4 missili totali. Gli Harrier decollano prima di noi, li seguiamo a 2 minuti di distanza. Sorvoliamo la Sardegna centrale, dirigiamo verso Oristano ad alta quota e entriamo nel poligono. Il controllo radar ci cambia con il controllore del Poligono ACMI, nel nostro caso Peppe. Attilio chiama. “Playground this is Ferrari formation” “2” “3”. Le missioni di combattimento aereo in Sardegna hanno assegnato il nome di una macchina da corsa della nazione. Dopo la chiamata radio del leader, Ettore ed io abbiamo risposto in sequenza per fare sentire che ci eravamo anche noi. Dicendo 2 e 3 abbiamo risposto col nominativo di formazione. “Ferrari cominciamo le prove di sparo” Tutti e 3 spariamo un missile verso un compagno. Il missile IR che ho non è dei migliori ma va. Ho visto testine di guida più sensibili, ma bisogna accontentarsi. Anche in guerra ti può capitare un missile che è una ciofeca. “Le prove di sparo vanno bene, andate a nord” Andiamo a nord e cominciamo a disporci nella formazione di partenza. Effettuiamo un primo ingaggio senza sparare un colpo. Attilio decide di non farci aprire la formazione per non fare capire qual è la nostra tattica preferita e per studiare l’avversario. Nessuno fa errori, loro sono sulla difensiva, noi dobbiamo capire loro come si muovono, se stanno insieme o si separano per attaccare da più direzioni. La scoperta che faccio è che loro dopo una virata sono molto lenti e non possono spararci i missili alle spalle perché andrebbero corti. Siamo troppo veloci ed una volta incrociati desistono nell’inseguimento. Anche il secondo ingaggio va come il primo. Al terzo ingaggio Attila decide di fare quanto pianificato a terra. Siamo a 50 miglia dalla minaccia e le formazioni cominciamo a convergere l’una contro l’altra. Io ed Ettore stiamo davanti, Attilio dietro e siamo disposti ai vertici di una V. “OK ragazzi, the fight is on, fight is on” Peppe da terra comincia a sparare informazioni all’aria. Acceleriamo a mach .9 e cominciamo a cercarli sul radar. Li vedo per primo, sono disposti specularmente a noi, uno davanti e 2 dietro. Lo dico agli altri. Anche Attilio li vede mentre Ettore ha qualche difficoltà con il radar. “Ettore tu guarda solo fuori” Apriamo la formazione e acceleriamo ancora. Ettore va ad ovest e sale, io vado ad est e scendo, Attila prosegue a sud. Dopo 20 secondi convrgiamo contemporaneamente sui target sia io che Ettore. Ettore alza gli occhi. Passa qualche secondo e dice “Tally ho, tally ho, sono davanti a noi più bassi a mie ore 12, 10 miglia, Attilio, tue ore 12 leggermente più bassi” “Tally ho” significa “bersaglio in vista”. Letteralmente vuol dire “ho visto la volpe” e deriva dal gergo dei cacciatori inglesi. Nell’aria risuonano i Tally ho. Tutti siamo in vista dei target. Il radar di bordo finalmente mi dà l’OK e faccio partire il mio missile a guida radar conto un Harrier più esterno alla formazione. Il bersaglio vira di 90 gradi alla sua sinistra e comincia ad accelerare per separarsi dal missile. Ancora una decina di secondi ed è fatta. Attila improvvisamente mi avvisa che un altro Harrier mi punta addosso i suo missili. La minaccia è alla mia destra a 90 gradi, comincia ad inseguirmi è ancora lontano ma fra poco devo fare qualcosa anch’io. Rompo gli indugi mi disingaggio dal mio Harrier e punto la mia nuova minaccia per passargli vicinissimo. Quando i velivoli si puntano l’uno contro l’altro i missili IR non hanno molte probabilità di sentire il calore. Meglio se il missile viene sparato con un angolo di 135 o 90 gradi rispetto al bersaglio, il missile va a segno sicuro. Il mio missile radar va sprecato, non sono riuscito a tenere puntato il target fino alla fine ed il missile ha perso le informazioni di guida del mio radar di bordo senza le quali è come un costoso fischione di capodanno. A terra mi confermano che il missile è andato a vuoto. Adesso la situazione si ingarbuglia. Mi incrocio con l’Harrier che mi minacciava, metto il motore al minimo per non risultare caldo e nascondermi così al suo missile. Dopo l’incrocio dò tutta potenza e mi allontano. I 2 Harrier adesso inseguono me, mentre Ettore è inseguito dal 3° Harrier che ha effettuato la stessa manovra degli altri. Attilio dopo l’incrocio si è allontanato ed ora sta rientrando. Non ho paura degli Harrier alle mie spalle, sono più lenti ed i loro missili non hanno possibilità di colpirmi. Il fatto è che non posso scappare all’infinito, devo portarli verso Attilio. Ci penserà lui a togliermi dai guai. Perché Attilio ritorni in gioco manca 1 minuto almeno, un infinità. Mi passa davanti ad almeno 4 miglia un aereo. E’ Ettore. Da dove sbuca? Mi dice di avere un Harrier alle sue spalle, lo vedo è 3 miglia dietro, lo punto ed accelero per chiudere verso di lui e dare maggiore velocità di partenza al mio missile IR, non uso il radar per non farmi sentire. La testina del missile non me lo dà buono, devo virare per inseguirlo con il collimatore e così facendo gli altri si avvicinano. Anche chi mi insegue si è accorto della situazione ed avverte il compagno, che sta inseguendo Ettore, che ora è sotto la mia minaccia. L’Harrier vira contro di me sperando di annullare in tempo la sua segnatura IR e ripetere la manovra che io ho fatto poco prima. L’aereo stringe talmente che si lascia una scia di vapore condensato dell’umidità presente a quella quota. Troppo tardi. Per lui, stavolta. Comunico all’aria che ho lanciato un missile. “Fox 2 away su quello che segue Ettore!!!”. Ne sparo uno solo, dovrebbe bastare, il dummy strillava come un matto un tono ottimale. Il mio missile parte, io viro via dall’Harrier e mi disinteresso dell’esito, ho sempre 2 che mi inseguono. Dopo 10 secondi di volo Peppe strilla “Salvo good kill, good kill!!”. Il simbolo della bara circonda sullo schermo di terra il simbolo dell’Harrier nemico. Mi volto alle spalle i 2 che mi inseguono sono adesso pressati da Ettore ed Attilio che è tornato di nuovo in gioco. Devono fare qualcosa per evitare i miei 2 compagni ed uno gira dalla mia parte nel tentativo di tirare giù Attila. Ettore arriva prima di me e spara 2 “fox” IR su quello più arretrato, io cambio su quello più avanti, mi basta tirare 6 g anziché 4 per pochi secondi. Ancora una volta la testa di guida non sente subito, passano i secondi…Tono!, ho il tono!!! “Fox 2 away su quello più avanti” “Ok, terminate, terminate, gli altri stanno tornando a casa sono al joker fuel”. Un elemento della formazione inglese ha consumato carburante in eccesso e preferisce rientrare. Attilio mi chiama:”Salvo dove sei?” “Sono dietro di te a 2 miglia vira a destra che viene anche Ettore. 2 vira a sinistra, il numero 1 è a tue ore 10 più basso” “OK il 2 è in vista di entrambi” “Siete tutti in vista?” “2 in vista” “3 in vista” “OK ricongiungiamo in formazione tattica, il 3 a destra” “2 segue” “3 segue” Attila chiama il controllo “Peppe rientriamo anche noi, per oggi può bastare”. Rientriamo da Iglesias, passiamo sulla piramide di Siliqua ed atterriamo a Decimomannu. A terra il capo dei sottufficiali, Giggino, toglie il suo sigaro di bocca e mi dice col suo pesante accento campano “Comandà, avite fatto carne di porco…e bbravo” Gli inglesi ci attendono per il briefing post esercitazione. Il combattimento viene analizzato scientificamente ancora una volta con estremo fair play, vengono discussi dati tecnici e caratteristiche di volo dei due velivoli. Ad ogni istante di sparo le immagini vengono fermate per analizzare tutto quello che può essere studiato. Per noi sarà una lezione di umiltà e professionalità ben superiore a quella data da noi in volo. Incassiamo le dichiarazioni di sorpresa ed i complimenti del pilota che aveva combattuto nelle Falkand. Nei giorni seguenti non l’avremmo più abbattuto e tutti i combattimenti saranno terminati alla pari. Per entrambi i gruppi sarà una esercitazione che non dimenticheranno.
Un pilota di F104 che non abbia tentato acrobazie a bassa quota non esiste. L’aereo è così difficile da manovrare che una manovra a bassa quota fatta bene dà proprio adrenalina a mille, perché è lenta, deve essere lavorata, vi sono molti punti di non ritorno (senza il rispetto dei quali è meglio non proseguire) da considerare. L’acrobazia (qualsiasi manovra con assetto superiore a 90° in cabrata/picchiata e rollio) era vietata al di sotto dei 5000 piedi di altezza sul terreno (AGL, above ground level). In passato non era così e si era pagato un tributo di incidenti eccessivo al punto da fare introdurre tale limite ad imitazione dell’USAF. Ciò nonostante, il sacro fuoco dell’ardimento che cova in ogni pilota ha fatto sempre conservare una discreta percentuale di piloti che facesse acrobazia a bassa quota. Spesso l’acrobazia era la continuazione di combattimenti a bassa quota. Del resto è meglio addestrarsi in tempo di pace o essere abbattuti dal nemico che sa fare un aggressivo combattimento a bassa quota? Per fare bene un loop (o looping o giro della morte) si ha bisogno di un minimo di 350 kts (nodi) di velocità, flaps di manovra estesi a 15° e un aereo abbastanza leggero, 4000 libbre di carburante o meno. L’evoluzione dela manovra è di 5000 ft (piedi) di quota. Per avere il minimo di sicurezza si deve cominciare a 1500 ft sul terreno applicando 3,5 G di tirata e contemporaneamente dando motore quanto basta (talvolta anche post bruciatore) per non fare scalare la velocità sotto i 300 kts quando si passa l’assetto di 90° in cabrata (velivolo in candela con muso alto). Attraversato l’assetto di 90° a cabrare, si può ridurre la potenza impiegata del motore e si continua ad applicare una tirata dolce ma continua, che ci consenta di essere rovesci a 200 kts di velocità, con una quota mai inferiore a 6000 ft. A quel punto si applica una tirata molto delicata ma aggressiva per permettere al muso di portarsi in verticale verso il terreno nel minimo tempo disponibile con il minimo spreco di quota. Fatto ciò si allenta la tirata e si consente al velivolo di avvicinarsi al terreno cercando di riportare la velocità a 400 kts con velivolo livellato, per potere cominciare una nuova manovra. ERRORI DA EVITARE Non continuate la manovra se il velivolo non ha 300 nodi attraversando l’assetto di 90 ° con muso alto. Arrivereste al top della manovra con poca energia residua e sareste bassi di quota. Mantenete una tirata costante e decisa nella fase di chiusura dopo essere passati rovesci, in cima al looping. Se non tirate finireste per chiudere la manovra dentro una fattoria.
Un appassionante “video racconto” di Walter Villa
Cacciatore di Stelle contro Fantasma
di Claudio Riato
Dopo un decollo singolo su scramble durante una tac-eval, ho intercettato un F4 americano che faceva da incursore e andava verso Gioia e mi è capitato di ingaggiarlo.
Dopo il tally-ho, minimo A/B per non fare fumo e radar e IFF su St/by altrimenti si sarebbe accorto che stavo arrivando.
Gli sono finito in coda non visto, nonostante i quattro occhi a bordo.
Appena ho acceso il radar, due miglia dietro, le ESM di bordo lo hanno avvisato e ha immediatamente piantato una virata a dx tirando come un dannato, non meno di 6/7g.
Gli sono stato dietro finchè ho potuto e prima di finire in overshoot, che era quello che voleva per mettermi in forbice, ho raddrizzato le ali, full A/B, flap su e ho guadagnato energia potenziale in cambio di energia cinetica. Tremila piedi più in alto di lui, ho visto che invertiva la virata.
Roll in cima e giù di nuovo per finirgli un’altra volta in coda.
Quando ho visto che non ci stavo più, un’altro yo-yo e la storia si è ripetuta.
Se fosse stato un’ingaggio reale sarebbero atterrati col paracadute.
Nell’ultimo yo-yo, quando ho visto che stavo andando di nuovo in overshoot, ho messo dentro i flap T/O, che in volo livellato sono solo resistenza, full A/B e ho “esteso” (sono andato dritto e leggermente in discesa: eravamo sui 10.000ft) mentre lui era ancora in una virata a sx da almeno 6g.
Quando si è accorto che avevo esteso ha invertito sicuramente la virata ma ero troppo lontano perchè potesse venirmi in coda distanza di tiro e poi ero quasi supersonico.
Sono entrato, lievemente in discesa, in un sottile strato di nubi accennando una virata a sx prima di entrare.
Una volta sotto ho immediatamente invertito la virata a dx.
Probabilmente è andato a cercarmi dalla parte sbagliata e comunque ero troppo lontano per un fox2 o per il cannone.
Fine del carburante (3.000lbs) e di uno dei miei piacevoli ricordi Sigonella.
Quel giorno che il “Gatto Tommaso” ci fece vedere i sorci verdi….
di Giovanni Artioli
Parlano i libri? Sì, libri hanno un cuore e parlano….Talvolta.
Non sempre.
Occorre che scatti un’alchimia indefinibile e sublime con colui che legge.
C’è però un libro ed un lettore che incontrandosi sanno ogni volta riaccendere questa alchimia.
E’ il libretto di volo di un pilota da caccia ed il suo compilatore.
Tiro giù dallo scaffale il mio libretto di volo ( in realtà sono quattro).
Mi soffermo volutamente su ogni pagina, rimugino…
Si chiude con circa 23mila e rotte ore di volo.
Giusto corollario di quarantasette anni, trascorsi fra Aeronautica Militare, Compagnie Commerciali, Jet executive e Aeroclub.
Ogni pagina, ogni riga è un ricordo. …sicuramente la parte più intensa riguarda le prime 2.300 ore, quelle nell’Arma Azzurra.
Il libro- oltre parlarmi – risveglia in me anche la memoria olfattiva, nella quale è impresso l’odore caratteristico degli aerei volati.
Chiudo gli occhi.
Rivivo l’odore del Macchi 326 che sa di “Pingue”.
Di quell’odore cioè misto di sudore, stress, talvolta malessere fisico.
Vomito.(….se hai dimenticato il sacchetto, vomita nei guanti…)
Ricordo G-91T così grintoso, così impegnativo e così recalcitrante al “G stallo” – con la sua notevole freccia alare – difficoltosissimo per noi “semi pingui” del corso avanzato. Sembra un paradosso, ma provai più difficoltoso il passaggio “ Macchino-G.91T” che non il successivo passaggio sullo” Spillone”.
(Questo è indicativo della validità di questo Trainer, firmato Gabrielli), Come non risentire il suo sapore di cordite, dovuto alla cartuccia di avviamento ed al fuoco delle due mitragliatrici nelle missioni di poligono.….
E lo “Spillone”, dalle ali affilate e taglienti, che sapeva di americano. O meglio come immaginavo l’America negli anni 60. Quell’odore di strumenti elettronici, di ozono, di pulito, di” Mamas and Papas”…
Ogni riga, scandita da una data, da un orario, dal tipo di missione è materia vivida.
E’ un nome, un ricordo, un evento.
Talvolta un caro amico che non è più tornato.
Il libro mi parla.
Le sue silenziose parole mi aprono il cuore, la mente e la memoria rievoca – come in una pellicola che scorre all’indietro – situazioni, circostanze che non potevo aver dimenticato. Erano solo sepolte, ma vive e pronte a balzare fuori.
….. Qui il decollo notturno a Lecce…. Questa l’ultima formazione prima dell’aquila militare… Qui la missione terminale per l’acquisizione della “combat readiness”…qui il primo volo alla SCIV…figuriamoci se Memè si lascia mandare alle scuole…..
…E qui, quando il “Gatto Tommaso” ci fece vedere i sorci verdi….
Trapani Birgi , 18 luglio 1974.
Il 37° stormo non era stato ancora costituito. Noi, intercettori, ci davamo il cambio ogni quindici giorni per assicurare il servizio di allerta. La pista dell’aeroporto non era equipaggiata per il volo notturno, per cui l’orario di impiego era “acca-iota”, cioè solo diurno.
Quella mattina all’alba avevo “ranappato” i velivoli con il comandante di squadriglia, l’allora biondo e folto crinito maggiore Giulio Mainini.
Le ore scorrevano lente. Dalle finestre potevo osservare il nostro “Spillone “ in quella strana ed inconsueta configurazione:
Due missili “ Sidewinder” all’estremità alari, due missili “ Sparrow” al BL-104, e due taniconi al BL-75 Il nostro indice di resistenza ‘drag index’ era prossimo a 90 unità. Abbastanza elevato,
Da due anni eravamo convertiti sull’Esse (F104-S), ed era stato introdotto il missile AIM-7 Sparrow.
Era indubbiamente un buon missile, che aumentava la nostra capacità operativa, consentendoci anche attacchi frontali e non solo in coda, però ci aveva costretti a rinunziare al cannone, e con i suoi 230kg di peso ed il suo’ drag index’ di 22 unità, ci riduceva irrimediabilmente le prestazioni.
La fine aerodinamica dello ‘ Spillone’ mal tollerava le protuberanze ed i carichi aggiuntivi.
Era un purosangue, nato per correre. Quell’armamento posto sotto le ali era come una spina conficcata negli zoccoli di ‘Varenne’.
Poteva ancora trottare, ma non era più baciato dagli Dei.
D’altronde questo è stato sempre il cruccio di ogni pilota da caccia.
Armamento o prestazioni?
Anche i cacciatori della Regia Aeronautica, passando dal Macchi 202 al 205, con i suoi due cannoni Mauser da 20mm alari, fecero le stesse osservazioni.
Questo armamento aggiuntivo aveva effetti devastanti sui bombardieri nemici, ma aumentava il carico alare e quando ti veniva addosso un P.47 o uno Spitfire, rimpiangevi quel mezzo “G” di prestazioni perduto…….
Mi consolavo pensando ai colleghi di Corso assegnati ai reparti di attacco, che andando al poligono avevano sovente dei ‘ drag index ‘prossimi a 130/140. In pratica, solo dopo lo sgancio delle bombe tornavano a volare su un F 104 .
Prima erano su un ferro da stiro ( vero Bastià? ).
Alle 8,00 intanto iniziavano le normali operazioni del reparto, secondo il programma stabilito.
Era un via vai delle solite facce: Giorgio Braccini, Gigi Piccolo, Ezio Racchi , John Erba, Sergio Falchero ed altri.
“..Ehi, Giumento, non stare per aria tre ore come al solito..” fa Giulio “..sennò ti caccio al ‘Pisume’….”
Sorrisi, battute, espressioni, atteggiamenti noti e scontati, che mi davano la calda sensazione di essere fra gente a me cara.
Nel mio Gruppo.
Il Ventuno.
A casa mia.
D’improvviso sentiamo la linea calda “sfrigolare”’, come se l’operatore del ROC avesse attivato il microfono, ed attendesse ancora alcuni secondi – per sincerarsi meglio- prima di dare l’allarme….
Secondi che sono eterni. ”..SCREMBOL,.SCREMBOL, vettore 285, 30 angeli, contattare MORO sulla Papa 4…”
Si accende la luce rossa, la sirena lacera i timpani, l’adrenalina ci frusta i nervi, come la puntura del pesce gatto.
Di corsa all’aereo, il carrellone dell’avviamento ulula a tutta canna.
Giulio, il leader, destinato al primo velivolo salta su ….. Sono nervoso, mi arrampico sulla scaletta e, nel legarmi a bordo, mi “incarto” con le cinghie gambali…..
Il maresciallo Renzo Contini è il mio “Crew Chief”.
Romano, dal cuore azzurro, affidabile, sempre in prima linea con entusiasmo, mi aiuta a districarle ed ad indossarle correttamente “ ….. Stia calmo Comandà….. ce l’avemo fatta…”
Intanto Giulio è già fuori dal parcheggio, entra in pista e decolla.
Lo seguo con un po’ di ritardo.
Al punto attesa il maresciallo Coppola e ‘Mister Frank’ con i loro berrettini rossi da armieri, scompaiono sotto l’ala per ricomparire mostrandomi ciascuno quattro spine corredate da bandierine rosse.
Il consueto calcio nel sedere dell’”Abì “e sono in volo; viro stretto per la prua assegnata… sento che lo “Spillone” recalcitra….capperi ho già 3,7 di APC…mollo un po’.
“Gianni , attraverso 12000 piedi…passiamo sulla Papa 4..” scandisce il leader.
Lo vedo. La “fumera” del J79 è visibilissima. Vi punto il muso e lo aggancio con il radar. Sono tranquillo, adesso potrò seguirlo anche in condizioni di volo strumentale.
“Tigri rosse, qui è Moro. Il target è a ore due , venticinque miglia, da destra a sinistra”-
“-No Gioi….“
Giulio mantiene tutto motore, per cui non riesco a farmi sotto.
Siamo in una formazione tattica non ortodossa, ma la tempestività di intercettare l’eventuale minaccia è prioritaria.
“-Il target è a ore una, 14 miglia, quota 30 angeli, da destra a sinistra -“
“-Contact-“ fa il leader, a cui fa seguire un secco”-Giùdi..-“.
“-Telli O’-“.
Eccolo là, un tenue puntino nell’azzurro.
“-Tigri rosse, interrompete l’intercettazione, è giunto il piano di volo del target. E’ identificato friend-“.
Si trattava di un EA-6 ‘Prowler’ ( la versione da ricognizione elettronica dell’’Intruder’) decollato dalla portaerei Forrestal e diretto a Sigonella. Come talvolta accadeva, il piano di volo si era perso nei meandri dell’etere.
La difesa aerea, alla vista di una traccia sconosciuta, aveva disposto per l’immediata identificazione.
Giulio riduce e si mette alla sua ala destra.
Mi faccio sotto e mi metto in ala sinistra.
E’ molto lento. Siamo al limite dello stallo.
“-Giulio, sono in scecchèr…”.
“-OK, Ti-O’..”.
Estraiamo i flaps, ed eliminiamo la fastidiosa vibrazione della bassa velocità.
Facciamo qualche miglio appaiati. L’equipaggio del “Prowler” ci fa delle foto ed ampi saluti, sbracciandosi.
Il mio istinto da cacciatore mi dice, però, che qualcosa “ non quaglia”…..
Mi sento come osservato.
Roteo la testa e vedo ad ore quattro, più in alto un candido ’ Phantom’ della Navy che ci osserva sul palmizio.
“-Giulio, abbiamo un “Fantom” più alto a ore quattro!-“
“-OK, andiamo a beccarlo. Abì……-“.
Le ciglia del suo J-79 si contraggono poi si aprono, lasciando intravedere la fiammata del post-bruciatore.
Accostiamo a destra di 30°, tiriamo su il muso, virandogli contro. Siamo, però, ad alta quota con bassa velocità ed i flaps estesi. Abbiamo 4,5 di APC. Non abbiamo energia…ci inerpichiamo come due “anatre lesse”.
Intanto, da gregario votato alla protezione del leader, seguo torcendo il collo – le mosse del presunto Phantom .
Gli vedo fare una manovra impossibile, non contemplata nel DNA di un pilota da caccia di quegli anni.
180° a sinistra, seguiti da 180° a destra in un fazzoletto, che gli consentono di venirci in coda…… Dalle trecce di Berenice, lasciate dalle sue ali, arguisco che stia tirando almeno “6 G”, e nel contempo accelera, il malnato…..
“-..Giulio…..ma sto’ Fantom gira peggio di un Macchino…-“.
Ammissione impropria, in quanto un Macchino non avrebbe mai potuto dare una simile ‘strizzata’ senza perdere velocità.
Il caccia americano, grande, di un bianco accecante, ci affianca, e muove le ali a geometria variabile verso l’avanti.
“-…Ma questo è un F 14!!!…”
Era sicuramente una delle prime apparizioni nel Mediterraneo del F 14 ‘Tomcat’.
Lo guardavo sorpreso ed ammirato. Tom Cruise ed il film “ Top-Gun “ non ci aveva ancora assuefatti alla sua bella linea.
Sulla fusoliera i nomi del pilota ed operatore: Lt. McCoy – Lt. Callaghan.
Facciamo un tratto di strada in stretta formazione. Mi sento come un parente povero al desco dello zio ricco.
Dopo qualche miglio McCoy e Callaghan ci salutano con un cenno. Avverto il brontolio assordante dei loro due post-bruciatori da 9.500 kg/s.
Il ‘Gatto Tommaso-Tomcat’ si impenna.
Cribbio, si impenna da fermo!
Avrà tirato almeno “7 g”!
Lo stomaco di McCoy e Callaghan sarà arrivato ai talloni!
Va su in verticale.
Su…….su, su, sempre più su fino a sparire nel blu indaco delle quote stratosferiche!
“-OK, torniamo a casa…-“ fa il leader.
“-..Eh, si. E’ meglio….-“.
Dopo l’atterraggio il mio sguardo si è incrociato con quello di Giulio. Le parole non erano necessarie.
Fintanto che c’era da vedersela con i Mirage, con i Lighting, con gli F4 Phantom avevamo ancora qualcosa da dire.
Anche con il MiG 21, di cui – senza averlo mai incontrato nei cieli – conoscevamo le prestazioni, le caratteristiche e gli inviluppi di volo, sarebbe stato uno scontro aperto. Ma con questi caccia della nuova generazione avevo la sensazione che fosse un ‘no match’.
Onestamente pensai che lo “spillone” avesse finito il suo ciclo.
Non fu così. Mi sbagliavo.
Tirò avanti ancora 30 anni. Fecero in tempo a volarlo ancora due generazioni di piloti.
Indubbiamente la macchina aveva ormai dei limiti, ma le nuove leve, con tanta professionalità, sacrificio ed impegno seppero usarlo al meglio, enfatizzando i suoi pregi – ancora tanti- e minimizzando i – purtroppo inevitabili per vetustà – difetti.
HIT and RUN, fu il nuovo dogma.
Attacco diretto al “Target” a tutta canna, alla massima velocità, scaricandogli addosso tutto l’armamento…”n’do’ coijo…coijo..” Senza fare un secondo passaggio ed accelerando supersonici con 5° sotto l’orizzonte, mantenendo la cloche in avanti per assicurare un fattore di carico pari ad un ½ G negativo, per correre via…..
Ai miei tempi sarebbe stata una bestemmia, permeati come eravamo ancora dallo spirito della Regia, che ci imponeva la manovra ‘pittata’, il combattimento manovrato, gli arabeschi nel cielo.
HIT and RUN.
In questo modo due successive generazioni di piloti di ‘Spillone’ si fecero onore.
All’ACMI (poligono per il combattimento fra velivoli dissimili nei cieli della Sardegna) non era raro che le nostre flights non fossero soverchiate da formazioni di velivoli più moderni. Anzi, per ammissione di ufficiali stranieri, il centoquattro rimase, nelle mani dei nostri piloti, sempre un osso molto, ma molto duro.
HIT and RUN.
Fino al maggio del 2004 –quasi trent’anni dopo i fatti raccontati-, dove in una splendida giornata fu dato l’addio definitivo allo “Spillone” a Pratica di Mare….
……..E così sull’onda dei ricordi il libretto di volo mi ha – come sempre – parlato.
Lo ripongo, ma sulla parte bassa dello scaffale, sarà più facile fare con lui una chiacchieratina di tanto in tanto……
Il sottostante disegno, raffigurante il “Tomcat” della Forrestal e l’evento narrato, è stato un ”krest” per il generale Giulio Mainini, in occasione del suo insediamento al comando della Squadra Aerea.
Racconto riferito dal Col Pilota Pietro Valente e pubblicato sulla rivista “Sicurezza del Volo” dell’AMI N.197, settembre/ottobre 1996.
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